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NBA, Steve Nash ha già finito di allenare: "Non sarà la mia carriera"

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©Getty

Ospite della partita d’addio al basket di Goran Dragic, l’Hall of Famer Steve Nash ha fatto intendere che la sua esperienza da capo-allenatore potrebbe già essere conclusa dopo la prima e unica esperienza con i Brooklyn Nets: "È stato bello, ma non credo che sarà la mia carriera. In questo momento mi concentro sulla famiglia"

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Quando i Brooklyn Nets hanno annunciato nel settembre del 2020 che Steve Nash sarebbe diventato il loro nuovo capo-allenatore, era difficile contenere la sorpresa. Nessuno si aspettava che la leggenda canadese avesse intenzione di intraprendere una carriera in panchina, specialmente cominciando con un’esperienza difficile come quella di guidare una squadra su cui c’erano enormi aspettative, data la presenza di due superstar del calibro di Kevin Durant e Kyrie Irving, a cui successivamente si è aggiunto anche James Harden. Gli infortuni hanno avuto un peso sulle alterne fortune dei Nets, che nel 2021 avrebbero potuto vincere il titolo se non si fossero fatti male sia Irving che Harden nella serie contro i Milwaukee Bucks, persa solo al supplementare di gara-7 contro i futuri campioni NBA. Un anno dopo, nel novembre del 2022, i Nets e Nash hanno deciso di separarsi, dopo che il canadese aveva compreso di non avere più il controllo dello spogliatoio. Al momento, pare proprio che quella con Brooklyn rimarrà l’unica esperienza da allenatore per Nash, che ospite d’onore della partita di addio al basket di Goran Dragic ha ammesso di non pensare a un ritorno: "Allenare è stata una grande esperienza, ma non volevo diventare allenatore e non credo che sia quella la mia carriera" ha detto in conferenza stampa. "Sto allenando i miei figli, insegnando loro la vita. Mi sono guadagnato l'opportunità di scegliere, e questo è gratificante: ci sono sempre progetti, affiliazioni e partnership. Ho sempre qualcosa da fare, sono concentrato sulla mia famiglia".

Nash: "Allenando si parla poco con la squadra, mi concentravo sulle relazioni"

Nash, padre di cinque figli, non ha quindi intenzione di tornare in panchina tanto presto, anche perché ha ammesso che solo la situazione particolare di Brooklyn lo interessasse, e non tanto la carriera di coach in sè: "Non avevo pianificato di allenare, c'era una situazione unica a Brooklyn che ha bussato alla mia porta. È stata una transizione rapida. Hai a che fare con una dinamica diversa. Ci sono molte cose da gestire tra personalità, front office, giocatori e agenti. Quella è stata una componente enorme del mio lavoro: tutte le dinamiche, le personalità e il potere che i giocatori detengono al giorno d’oggi". Di fatto Nash ha ammesso di essere stato più un gestore che un allenatore, cosa peraltro piuttosto importante quando si ha a che fare con giocatori come Durant, Irving e Harden. "La cosa più importante è che, per essere onesti con i giocatori, devi arrivare a loro in modi diversi. È importante essere chiari e onesti con i giocatori in modo che non siano insicuri. La comunicazione è la chiave. La parte facile per me è stata essere a mio agio con il mio ruolo di leadership, dare l'esempio. Ciò che è difficile dal punto di vista del coaching è che è un tipo di leadership completamente diverso. Quando stai allenando devi guidare in momenti più brevi: una cosa che mi ha sorpreso è che non sei così tanto a contatto con la squadra. Hai cinque minuti con i giocatori prima della partita, all'intervallo e dopo la partita. Quelle sono le uniche volte in cui ti rivolgi alla squadra al suo completo. Io volevo connettermi con ogni giocatore individualmente. È importante costruire una cultura e un ambiente in cui le persone credano e si sentano di poter dare il meglio. Devi fare in modo che diventino la miglior versione di loro stessi", ha concluso Nash.

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