Durant cambia ancora: quella a Houston sarà la sua ‘last dance’?

In qualche modo Kevin Durant è tornato a casa. Già, perché Houston, dove dal prossimo ottobre giocherà la sua 19^ stagione in NBA, dista poco più di due ore di auto da Austin, dove ormai quasi vent’anni fa aveva vissuto la sua prima e unica annata di college basketball con i Texas Longhorns. E il fattore geografico non fa che irrobustire l’impressione che l’ultimo movimento di mercato con al centro Durant, nel frattempo arrivato alla sua quinta squadra da professionista, possa rappresentare una vera e propria chiusura del cerchio. I Rockets, d’altro canto, erano stati menzionati dal giocatore nella lista fornita ai Suns che comprendeva le destinazioni gradite in caso di trade e, forse più ancora delle altre squadre in lizza come Spurs e Heat, sembrano poter fornire a Durant esattamente ciò di cui ha bisogno adesso, nel tratto finale di una carriera tanto straordinaria quanto per molti versi accidentata. HOUSTON E DURANT: MATRIMONIO PERFETTO... SULLA CARTA A San Antonio Durant avrebbe trovato quella che è probabilmente la collezione di giovani talenti più preziosa di tutta la lega, un nucleo con a capo Victor Wembanyama che però parrebbe aver bisogno di un rodaggio di almeno un paio di stagioni per diventare davvero competitivo, anche perché affidato a coach Mitch Johnson, su cui ricade il peso dell’eredità di una leggenda come Gregg Popovich. A Miami, invece, con Bam Adebayo e Tyler Herro in campo e Erik Spoelstra in panchina lo avrebbe atteso una squadra in teoria già pronta per giocarsela con chiunque, ma sprovvista del talento per ambire a farlo davvero. Houston, per contro, rappresenta una sorta di mix tra le due situazioni, perché i Rockets hanno un roster costituito principalmente da giovani in rampa di lancio, ma hanno anche qualche veterano di lunga esperienza e una certezza granitica alla guida tecnica. I Rockets, infatti, hanno chiuso l’ultima regular season al 2° posto nella classifica della Western Conference e con il 4° miglior record di tutta la lega, anche se nella serie di primo turno di playoff poi persa a gara-7 contro Golden State è emerso un limite evidente, costato caro alla squadra: la difficoltà estrema nel segnare canestri di fronte alla difesa avversaria schierata nei momenti chiave delle singole partite. E quella è proprio la specialità di Durant, che dal punto di vista della pura capacità di crearsi un tiro e di segnarlo è forse il miglior giocatore di ogni tempo e, alla soglia dei 37 anni e dopo due decenni di basket giocato ai massimi livelli, ha dimostrato di poter fare ancora la differenza. COSA PUÒ DARE DURANT AI ROCKETS Nella scorsa stagione, nonostante qualche acciacco che gli affatto saltare 20 partite e a dispetto di un contesto tutt’altro ideale come quello di Phoenix, non a caso rimasta fuori dai playoff nonostante la presenza di un’altra stella di prima grandezza come Devin Booker, Durant ha chiuso con 26.6 punti di media a partita, 7° miglior marcatore di tutta la NBA. E tra i primi 15 top-scorer della lega, solo Giannis Antetokounmpo e Nikola Jokic hanno segnato con una percentuale dal campo migliore di quella di Durant . Il greco e il serbo, però, rispetto a KD operano decisamente più vicino al canestro, fattore che alza la facilità media delle conclusioni prese, e il dato della regular season conferma come l’ex anche di Thunder e Warriors rimanga ancora oggi il miglior attaccante puro tra i giocatori in attività e probabilmente il migliore di sempre. Ecco perché la sua sola presenza dovrebbe risolvere il problema dell’attacco stagnante e improduttivo di Houston, soprattutto perché i Rockets gli chiederanno proprio di fare ciò che gli riesce meglio: prendersi e segnare dei tiri. Grazie al supporto di autentici specialisti come Amen Thompson e Tari Eason, infatti, Durant dovrebbe essere quasi del tutto sgravato da compiti difensivi e attorno a lui lo stesso Thompson, ma anche Alperen Sengun e Jabari Smith Jr. dovrebbero trovarsi ad operare in un attacco assai più fluido e con spaziature decisamente migliori. Ai Rockets, quindi, Durant non porterà in dote solamente la sua esperienza e il bottino di punti garantito dal suo innaturale talento, perché la sua presenza in campo potrebbe facilitare il percorso di crescita dei tanti giovani a roster che potrebbero spiccare il volo e da cui non possono essere esclusi nemmeno Reed Sheppard e Cam Whitmore, fin qui rimasti molto ai margini delle rotazioni ma di certo tra i possibili beneficiari dell’effetto-Durant. COSA POSSONO DARE I ROCKETS A DURANT Se è quindi piuttosto chiaro ciò che Durant può dare ai Rockets, è altrettanto chiaro cosa i Rockets possono dare a Durant. Come detto, forse per la prima volta in carriera a KD non verrà chiesto di essere un fattore anche in difesa, dove la sua efficacia è spesso stata ingiustamente sottovalutata, particolare che gli dovrebbe permettere di concentrare energie e sforzi nella metà campo avversaria. E, come forse gli è capitato solo a Oklahoma City con Billy Donovan e a Golden State con Steve Kerr, Durant a Houston troverà anche una guida tecnica salda come quella di Ime Udoka. Laddove gli è stato chiesto di supplire alla scarsa presa del coaching staff sullo spogliatoio, come a Brooklyn e più recentemente a Phoenix, va detto, non è andata benissimo. Non solo, è chiaro come l’età e la lunga storia di infortuni piccoli e grandi, che hanno pesato anche nel prezzo tutto sommato modesto pagato per portarlo in Texas , impongano di fatto di ‘maneggiare con cura’ i muscoli e le ossa di Durant, magari limitandone il minutaggio in regular season . Anche sotto questo punto di vista, però, i Rockets, con il loro roster dall’età media bassa e piuttosto profondo, sembrano attrezzati per fornire al super veterano, il cui contratto in teoria scade a giugno del 2026 ma a cui il General Manager Rafael Stonesembra disposto a concedere un prolungamento biennale da oltre 122 milioni di dollari, tutto ciò che gli serve. Houston, insomma, parrebbe poter essere davvero l’ambientazione ideale per quella che si prospetta come la ‘last dance’ di uno dei giocatori che hanno più segnato la NBA contemporanea e il cui impatto è secondo solo a quelli di LeBron James e Steph Curry. E anche se al momento è praticamente impossibile non considerare Oklahoma City come la grande favorita a Ovest, qualora l’effetto-Durant di cui sopra dovesse davvero funzionare, il terzo anello di campione potrebbe anche non rivelarsi un miraggio.

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