Steph Curry, a 36 anni, è alla sua prima partecipazione alle Olimpiadi, culmine di una carriera già leggendaria. E, dopo essere stato grande protagonista della vittoria in rimonta sulla Serbia, ora la stella degli Warriors vuole l’oro nella finalissima contro la Francia. Nel frattempo, ai microfoni di Sky Sport ha racconto la sua avventura parigina con Team USA. I Giochi Olimpici di Parigi 2024 sono in diretta su Eurosport, con 10 canali a disposizione degli abbonati Sky
Fino alla semifinale con la Serbia, le Olimpiadi di Steph Curry erano state tutto sommato anonime, anche perché Team USA non sembrava aver poi davvero bisogno di lui per procedere in maniera spedita fino all’oro. Eppure, quel 5/20 da tre così inusuale per lui e frutto di quattro partite dove non era mai stato protagonista, aveva fatto storcere il naso a molti. E nella discussione erano entrati i consueti argomenti: la capacità di adattarsi al gioco con le regole FIBA, l’eccessiva fiducia nei propri mezzi, forse un percorso di carriera giunto alla sua fase finale. E poi è arrivata la partita conto Jokic e compagni, un incubo durato oltre trenta minuti in cui gli Stati Uniti non sono affondati del tutto proprio grazie a Curry e ai suoi 20 punti segnati nel solo primo tempo. Punti che poi sarebbero diventati 36 alla sirena finale, perché anche la poderosa rimonta americana ha portato la firma della stella di Golden State. Il giorno dopo l’impresa, Curry ha risposto ad alcune domande su quanto successo nell’incredibile semifinale della sera prima, sulla prospettiva di una finale contro i padroni di casa della Francia e più in generale sulla sua prima esperienza olimpica.
Come è stato il rientro in hotel ieri sera dopo la partita? Immaginiamo l’adrenalina, anche se nel corso della tua carriera questa non è certo la prima vittoria emozionante. E, soprattutto, come farete a ricaricare le batterie per essere pronti per una partita ancora più importante nel giro di 48 ore?
È un tipo di esperienza che qualsiasi giocatore ha avuto nella sua carriera: giochi, dai tutto ciò che hai, fai ciò che serve per vincere e sei felice quando succede, ma capisci anche che hai ancora molto da lavorare. Si vive sull’equilibrio tra queste sensazioni. Non immagino come dev’essere stato vedere una partita del genere da fuori, sappiamo che tutto il mondo ci sta guardando e che in tantissimi fanno il tifo per noi: è un grande momento. E cerchiamo di portarci tutta questa energia fino a sabato, quando dovremo strappare un’altra vittoria. Il trucco consiste nel concentrarsi sulla routine che precede una partita, per ricaricarsi fisicamente e mentalmente e quindi essere pronti per un’altra battaglia.
C’è un momento in particolare della partita di ieri che ti è rimasto in testa? Qualcosa che ha fatto Kevin Durant o magari che ha detto Carmelo Anthony da dietro la panchina? Qual è la prima cosa che ti viene in mente se chiudi gli occhi?
Non saprei, è ancora tutto troppo fresco. Ci sono tante cose: il clima al palazzetto, l’inizio difficile, Joel Embiid che si prende la partita nel 4° quarto, i rischi corsi, la scomoda sensazione di essere sempre sotto e di avere solo dieci minuti per rimontare. Penso che la tripla di Devin Booker dopo il fallo di Nikola Jokic sia stato forse il momento in cui la partita è cambiata. Siamo andati a -5 ed è come se da lì in poi la fiducia nei nostri mezzi fosse tornata di colpo, e il nostro attacco è di nuovo esploso. Spero che una volta vinto l’oro avremo il tempo di ricordare tutto ciò che è successo ieri sera.
È forse dai tempi del college a Davidson che non giocavi in un torneo con partite da dentro o fuori e ora tocca alla Francia, cosa sai di questa squadra arrivata in finale?
Sì, è ovviamente diverso rispetto alla NBA, con le serie al meglio delle sette partite ai playoff dove finisci per conoscere benissimo il tuo avversario. E sì, la partita con la Serbia di ieri mi ha in qualche modo riportato ai tempi di Davidson e alla rimonta contro Georgetown nel 2008. La sfida, ora, è giocare contro una squadra che non abbiamo mai affrontato. Conoscevamo il valore della Serbia, anche perché quella di ieri era la terza partita contro di loro nell’arco di due settimane. Per quanto riguarda la Francia, sta giocando molto bene: hanno cambiato alcune cose rispetto alla fase a gironi e hanno sfruttato bene la carica dei tifosi di casa. Sarà una battaglia, ma è così che dev’essere quando c’è una medaglia in palio. Credo che saremo pronti e concentrati.
Le ultime occasioni e cosa significa giocare per Team USA
Ieri LeBron ha detto che, a 39 anni e in prossimità della sua 22° stagione in NBA, non sa più quante opportunità avrà ancora di vincere. Condividi il suo pensiero e anche per te questo è un aspetto importante dell’esperienza che stai vivendo alle Olimpiadi?
Se parliamo di Olimpiadi, ho pensato fin dall’inizio che questa sarebbe stata la mia unica opportunità per vincere. Ecco perché ieri sera, dopo la vittoria in rimonta sulla Serbia, ero felice e sollevato: non volevo sprecare la mia unica possibilità e far parte della squadra che non ha vinto l’oro! Eppure, siamo andati molto vicini a non portare a termine la nostra missione, ma abbiamo dimostrato di sapere cosa ci vuole per vincere partite così. Ripeto: per me questa è l’unica occasione di vincere alle Olimpiadi e dobbiamo assolutamente riuscirci.
Si avvicina la sfida con la Francia: cosa ti aspetti dai prossimi avversari e come ti preparerai alla partita?
Mi aspetto che loro giochino la partita della vita, anche perché arrivano da due grandi vittorie e avranno il supporto del pubblico. Mi aspetto che giochino alla grande, ma mi aspetto che anche noi faremo la stessa cosa. L’ambiente non sarà dei più facili, ma a ognuno di noi è già capitato di giocare in palazzetti dove il pubblico ti è contro. Dobbiamo tenere alto il livello dell’energia ed essere pronti a qualsiasi cosa.
Dopo le Olimpiadi del 2004, Team USA ha incontrato solo successi nelle edizioni successive dei giochi. Come hanno influito questi precedenti sul tuo approccio all’avventura olimpica di Parigi?
Non c’è dubbio che la storia di successi di Team USA in questi ultimi vent’anno metta un po’ di pressione, ma credo che il modo in cui tutti qui ci siamo approcciati al torneo sia più che altro dettato dall’orgoglio di rappresentare il nostro paese e dalla voglia di vincere con la maglia della nazionale. Le aspettative sono ovviamente alte, ma sentiamo anche una grande spinta da parte dei tifosi e le risposte le dobbiamo dare sul campo. Anche accettando che non tutte le partite possono essere la tua partita, e se il protagonista è qualcun altro va bene lo stesso, perché ciò che conta è vincere. Giocare per Team USA significa questo.
Quando sei in una squadra piena di talenti come questa versione di Team USA, dove tutti possono segnare, la situazione è diversa rispetto a quella a cui sei è abituato agli Warriors. Ieri sera, però, sembravi davvero inarrestabile e ti sei preso tutti i tiri che volevi, come funzionano i vostri equilibri in attacco?
È l’andamento della partita a dettare le priorità, io nella gara precedente a quella con la Serbia avevo preso solo tre tiri, ma ero comunque contento. Per noi la cosa importante è non pensare troppo a cosa fare e lasciar fluire il gioco. Per esempio, ieri nel 4° quarto LeBron attaccava in contropiede, Embiid approfittava di ogni uno contro uno, Booker segnava le triple aperte e Durant metteva anche i tiri più difficili. Lì abbiamo giocato un basket quasi perfetto, è stata la miglior versione di noi stessi perché abbiamo giocato come una squadra e non abbiamo forzato nulla. Spero che sabato saremo in grado di farlo per tutta la durata della partita e non solo negli ultimi dieci minuti.