"Ma cosa abbiamo fatto?!" Come l'Olimpiade può cambiare l'Italia

I giochi olimpici, tra tutte le competizioni sportive internazionali, restano l’evento più globale e globalizzante. Al punto di far diventare una star planetaria Yusuf Dikeç, tiratore turco che si va a prendere l’argento sparando come fosse al luna park: mano in tasca, sguardo oltre il rilassato, che mancava solo un pacchetto di nazionali senza filtro arrotolato sulla manica della maglietta e una bottiglia di Moretti da 66 sul tavolo. Le Olimpiadi entrano anche così nell’immaginario collettivo, ancora di più nel mondo contemporaneo che trasforma immediatamente gli aspetti più curiosi in ‘meme’ che invadono la rete, alcuni a dire il vero molto geniali. Ma oltre al folklore, l’Olimpiade, con la sua cadenza quadriennale, rappresenta sempre uno spartiacque temporale, segna in qualche modo un’epoca, esalta gli spiriti del tempo e talvolta fa intravedere un pezzo di futuro. Ho riavvolto il nastro e ho provato, senza cedere alla tentazione di andare a sbirciare sulla rete, ad appuntarmi le cose che mi sono rimaste di Parigi 2024. Partendo dall’inizio, da quella cerimonia interminabile, bagnata da una pioggia incessante. La Francia è la patria della rivoluzione e rivoluzionaria, questo senza dubbio, è stata anche l’apertura dei Giochi. Segnata da quell’idea mai soppressa di ‘grandeur’, gioco rischioso e infatti a tratti incompreso, perché c’erano tanta storia e tanta cultura francesi, materiale spesso non d’esportazione . L’idea di far sfilare gli atleti sui battelli, innovativa e anche gioiosa nelle intenzioni, si è scontrata con la scarsa capacità di renderla godibile sullo schermo. E il fiume ha pure inghiottito un anello nuziale. Eppure, in una cerimonia controversa e molto criticata, mi è rimasta impressa quella cavalcata dell’amazzone sulla Senna: meccanica, infinita, misteriosa, persino ipnotica. Così come mi ha risvegliato uno stupore fanciullesco scoprire che il braciere olimpico era una mongolfiera, un ponte tra passato e futuro. Quel ponte temporale che poi è stata l’Olimpiade. La prima nella storia con assoluta parità di genere: 5250 atleti maschi e 5250 femmine. E, mi perdonino i Duplantis, i Teddy Riner, gli Evenepoel e i Djokovic, io di quest’anno olimpico, di questo 2024, mi porto dietro cartoline quasi tutte al femminile. Metto sul piatto un vecchio disco dei Modena City Ramblers e in particolare scelgo il brano ‘Ramblers blues’. Lo ascolto sempre, a fine anno, mi aiuta a fare il punto su ciò che è stato e ricordarmi il necessario per l’avvenire. “C'è bisogno di aguzzare la vista Per capire quali sono gli amici Bisognerebbe restare svegli Per scoprire tutti i nemici” ASCOLTALO QUI Il quarto posto Vittoria e sconfitta sono gli amici-nemici della competizione olimpica. Alla cattedra di metafisica dello sport sono i due concetti portanti sui quali ci siamo sempre interrogati e sempre lo faremo. La posizione di chi pensa che non si possa essere soddisfatti per un quarto posto è legittima tanto quella di chi esulta pur non avendo conseguito una medaglia. Sono la tesi e l’antitesi nel dibattito sportivo. Il punto è sempre il modo e il contesto in cui esprimiamo un’opinione su questo interrogativo eterno sulle forme della competizione. Avremmo forse bisogno di essere meno ‘curve’, di trovare spazi di discussione fuori dai social, che polarizzano ed estremizzano, finendo poi per andare quasi sempre sull’insulto personale, sulla delegittimazione altrui. E potremmo anche capire che ci sono punti di incontro, di dialogo, in cui le singole convinzioni possano comunque essere rispettose di quelle altrui. Parto da qui perché la prima cartolina riguarda Benedetta Pilato. Arrivata quarta nella finale dei 100 rana, a bordo vasca viene intervistata ed esprime tutta la sua gioia per il risultato ottenuto, lasciando perplessi quanti ritengono non credibile essere felici per quella che viene chiamata ‘medaglia di legno’. Messa così, sembra una dicotomia difficilmente superabile. È necessario quindi andare più in profondità, uscire dalla superficie del momento, del commento istantaneo. Benedetta era felice, e a ragione, per il tempo realizzato. Considerando le difficoltà, i cambiamenti anche fisici di una ragazza di 19 anni , le decisioni prese, gli errori e le intuizioni giuste. Benedetta era felice di essere stata competitiva, che significa sapere di poter vincere una medaglia. C’è questo futuro che si intravede in larga parte delle nuove generazioni di sportivi, questa consapevolezza che la competitività sia la cosa davvero importante: forse sono proprio questi giovani che hanno davvero introiettato quell’idea letteraria per cui vittoria e sconfitta sono due impostori. Ci stanno, forse, insegnando una nuova attitudine sempre più presente nello sport: metterci il massimo dell’impegno, della professionalità, della cattiveria agonistica ma senza quell’ossessione arcigna e totalizzante per il risultato che abbiamo sempre immaginato come crisma imprescindibile del campione. Tesi, antitesi e poi la sintesi. L’ha trovata il presidente Mattarella, che non a caso per la prima volta al Quirinale ha invitato non solo le medaglie olimpiche ma tutti i quarti posti azzurri a Parigi, un vero record, 22 le volte in cui siamo stati ai piedi del podio . Quella del presidente non è stata una celebrazione della sconfitta ma proprio il voler omaggiare la competitività di una spedizione che ha pareggiato le medaglie di Tokyo ma con due ori in più e che è stata a un passo da vincerne molte di più. Non è la semplice, rassegnata accettazione della sconfitta che rischia di tradursi nella banalità dell’esaltazione della mediocrità. È tutt’altro, è la premiazione dell’impegno massimo per il risultato, è lo stimolo per tutti noi a essere certo severi giudici di noi stessi ma considerando tutto: che ci sono gli avversari, che c’è l’imprevedibilità, esistono la fortuna e la sfortuna e i dettagli. È riconoscere che siamo forti e che possiamo giocarcela e semplicemente a volte avviene a volte no. Quello che conta è la professionalità e giocarsela fino alla fine. “Ci vorrebbe un paio di scarpe nuove Per partire, per scappare lontano E poi seguire una traccia sbagliata Perdersi meglio e non tornare più indietro Non c'è bisogno di una foto ingiallita Per vedere quanto siamo cambiati Non c'è bisogno, no” Nuova era Siamo cambiati e stiamo cambiando. 9 ori su 12 a Parigi sono stati firmati da donne. Le citiamo tutte: Rossella Fiamingo, Mara Navarria, Giulia Rizzi e Alberta Santuccio nella spada femminile, Alice Bellandi nel Judo, Marta Maggetti nella vela, Sara Errani e Jasmine Paolini nel tennis, Alice D’Amato nella trave, Diana Bacosi nel tiro a volo, Caterina Banti nella vela, Chiara Consonni e Vittoria Guazzini nel ciclismo su pista. E poi: Ekaterina Antropova, Caterina Bosetti, Carlotta Cambi, Anna Danesi, Monica De Gennaro, Paola Egonu, Sara Fahr, Gaia Giovannini, Marina Lubian, Loveth Omoruyi, Alessia Orro, Ilaria Spirito e Myriam Sylla, le azzurre dello storico oro nel volley femminile. Le ragazze del Ct Velasco ci fanno capire come la foto di un intero paese sia, fortunatamente, ingiallita. Quella di oggi è di una luminosità diversa e diciamolo, di colori diversi e tutti indiscutibilmente italiani. L’aeroporto C’è un’altra cartolina. Aeroporto di Milano, il nostro Stefano Locatelli aspetta l’arrivo della Nazionale e nel frattempo intervista diverse giovani fan. Hanno tutte maglie di squadre giovanili di volley, molte di loro sognano di essere un giorno anche loro sul palcoscenico olimpico. Chiede chi sono le preferite: c’è chi risponde Bosetti, chi Egonu, chi Sylla. Semplicemente per una preferenza tecnica o emozionale, non per la presunta maggiore o minore italianità. I paesi cambiano così, con la semplicità e la naturalezza delle giovani generazioni. Che lo sport amplifica. Poi arriva proprio Myriam Sylla al microfono. Stefano la accoglie con un “Sei bellissima con la medaglia al collo”. E Myriam risponde: “Ma io sono sempre bellissima”. Una risposa perfetta, stupenda. Di una ragazza nata a Palermo da genitori ivoriani, che sa cosa vuol dire essere in quel limbo in cui non sai di che paese sei, in cui ti senti italiana ma non puoi ancora esserlo ufficialmente. La determinazione di chi lotta per un diritto, parla con naturalezza della sua esperienza e vince sul campo dando sempre l’impressione di una spensieratezza invidiabile. Un grande personaggio della cultura italiana, Gianni Borgna, fece scrivere sulla sua lapide: “Combattete per i vostri diritti, ma fatelo con grazia”. Quando sento parlare Myriam Sylla, rivedo questo concetto nelle sue parole, nel come le esprime, nel modo in cui rende evidenti le storture. In quella grazia c’è la nuova foto di un paese che sta arrivando. “Bisognerebbe fermarsi in tempo Non aver fretta ma rallentare Bisognerebbe solo ascoltare O ancora meglio, cambiare canale C'è bisogno di stare attenti Nell'osservare la nostra storia Guardarsi indietro e poi capire Che c'è bisogno di più memoria Sì, c'è bisogno” Memoria, le Olimpiadi sono un concentrato di storia e memoria. E allora fa bene, ogni tanto, guardarci indietro. Per due Olimpiadi consecutive abbiamo ottenuto 40 medaglie, migliorando il numero di ori. Siamo al quarto posto tra le nazioni per indice di competitività. 36 giorni di fila sempre a medaglia. Lontani i tempi in cui le medaglie erano poche, in cui nell’atletica non toccavamo palla e oggi invece possiamo persino essere dispiaciuti per un quinto posto nella finale dei 100 metri maschili. E invece oggi vinciamo medaglie o ci arriviamo sempre più spesso vicini. Il bronzo di Furlani nel salto in lungo e la splendida rincorsa d’argento di Nadia Battocletti nei 10000 metri. Nel tennis vinciamo due medaglie a 100 anni esatti, e sempre a Parigi, dall’unica medaglia azzurra, quella di bronzo Uberto de Morpurgo. Un altro bronzo con Musetti e l’oro magnifico di Sara Errani e Jasmine Paolini. Un’altra cartolina di Parigi. Perché il tennis è ormai una delle eccellenze italiane. Così come una cartolina la meritano Sofia Raffaeli e Claudia Mancinelli. Sofia vince un bronzo storico nell’all around della ginnastica ritmica. Anche grazie al ricorso della sua allenatrice Claudia Mancinelli. Con una camminata e lo sguardo verso i giudici che sono diventati uno dei simboli azzurri di Parigi 2024. E sì, anche di quanto può essere sensuale la determinazione della professionalità. Adesso occhi puntati sui Giochi invernali di Milano-Cortina 2025. E qui merita una cartolina a parte Sofia Goggia: tornata dopo l’ennesimo infortunio della sua carriera e subito, pronti-via, tre podi consecutivi in Coppa del Mondo. Siamo pronti anche per la prossima avventura sulle nevi. “Ci vorrebbe una muta di corde nuove Per suonare sempre scordati C'è bisogno di nuove canzoni Con parole per sognare più forte Bisognerebbe fare sogni grandiosi Oltre la noia e le nevrosi Avere cura, avere pazienza Di tutta quanta l'intelligenza Sì, c'è bisogno C'è bisogno! Sì, c'è bisogno” L’ultima cartolina Sogni grandiosi. L’ultima cartolina. Quella di Vittoria Guazzini e Chiara Consonni . È parecchio difficile seguire una gara di Madison nel ciclismo su pista. Bisogna mettersi lì con il pallottoliere e avere gli occhi bene allenati. Vittoria aveva dei conti in sospeso dopo una brutta caduta in ricognizione alla Roubaix nel 2023 e la frattura del bacino. In coppia hanno strappato un oro alla fine di una gara vissuta in apnea davanti al televisore. A fine corsa, con quel risultato stampato sugli schermi, Chiara si esibisce nel gesto più italiano che esista, con le mani fa il segno per cui siamo conosciuti nel mondo: “Cosa abbiamo fatto?” . Cosa avete fatto ragazze, una vittoria che resterà nella storia! E mi fermo qui: di fronte alla foto di Chiara, alla sua meravigliosa e spontanea espressione, cosa si può scrivere di più e di meglio?

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