Jonah, il gigante delicato che ha portato il mondo in meta

Rugby

Lia Capizzi

IL RITRATTO. Lomu era semplicemente il più grande: nessuno aveva mai visto un terremoto simile in campo prima. Nel 2004 arriva il trapianto del rene, ma la malattia non riesce a tenerlo lontano dal rugby  

Era semplicemente il più grande, alla portata di tutti. Perché Jonah Lomu ha portato tutto il mondo in meta, anche chi non sapeva un 'acca di rugby. A sua volta è stato il rugby a portare lui, adolescente e ribelle, lontano dalle cattive compagnie e dalle risse nel quartiere povero di Auckland dove si era trasferita dalle Isole Tonga la famiglia. Il padre Semisi, con problemi di alcool, voleva il figlio la domenica andasse a messa e non che giocasse a rugby. Per 17anni non si sono poi più parlati. A parlare è stata la sua forza dirompente ma era pure veloce, velocissimo, e un allenatore lungimirante da avanti lo spostò trequarti, ala.

Nessuno aveva mai visto un terremoto simile in campo. Il debutto con la maglia degli All Blacks a 19 anni e 45 giorni, il più giovane di sempre: 63 match con la Nuova Zelanda e 37 mete. Devastante, come in quella che resta la meta più bella della storia del rugby: Coppa del Mondo 1995, semifinale contro l'Inghilterra, la cavalcata inarrestabile, avversari come birilli, impossibile fermarlo.

Lo ferma invece la malattia, una rara forma di nefrite che nel 2004 lo costringe ad un trapianto di rene, donatogli da un amico deejay. Non basta. Nel 2011 si aggrava, avrebbe bisogno di un secondo trapianto ma rifiuta corsie preferenziali e si mette in lista d'attesa continuando a girare il mondo, a servire il rugby quasi come una missione. Perché Lomu è stato il primo rugbista dalla fama planetaria, spot pubblicitari, ospitate, tutti lo volevano, tutti lo conoscevano. Della sua immagine, del suo carisma, aveva bisogno ancora il rugby di oggi come quando l'abbiamo incontrato a Londra, a Covent Garden, lo scorso settembre, molto affaticato. E' stata l' ultima haka di una leggenda, di un gigante delicato.