Sei Nazioni, a Roma si vede il buono e il cattivo azzurro

Rugby

Francesco Pierantozzi

Il tracollo nell'ultima mezz'ora non deve ingannare quanto di buono si è visto nei primi sessanta minuti del match con gli inglesi. All'Olimpico viene fuori lo spirito di un'Italia diversa, a partire dalla voglia dei più giovani

L'intercetto, il punto di non ritorno di Italia-Inghilterra, il momento in cui c'è tutto il buono e il cattivo azzurro. Il cattivo è troppo facile da spiegare: contrattacco dai 22 metri, alto rischio, palla passata banalmente agli avversari; equilibrio rotto dopo cinquanta minuti abbondanti giocati alla pari, frustrazione per il regalo, energie che vanno ancora più in riserva sotto la pressione inglese; rubinetto aperto e fine delle trasmissioni... punti che scorrono, da 9-11 a 9-40 in meno di mezz'ora.

Il buono nella stessa azione è nello spirito di un'Italia diversa, che va in campo per provarci, sempre, e non per prenderne pochi, nella voglia dei più giovani, nel caso Bellini e Sarto, che mancano di esperienza e magari si trovano nel momento decisivo senza qualche punto di riferimento, come Garcia, Zanni usciti per infortunio.

Non è l'Italia di Parigi, ma non è nemmeno l'Italia da punching ball. Chi invidia al rugby lo stadio olimpico pieno, il sostegno illimitato alla squadra, i suoi valori, riderà pensando al risultato finale. Agli altri, giocatori compresi, il compito di intercettare il buono e non il buonismo.