Nuova Zelanda-Sudafrica in tv e streaming, dove vedere la finale dei Mondiali di rugby

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Lo Stade de France è teatro della finale della Rugby World Cup, che vede di fronte gli All Blacks ai campioni in carica degli Springboks: in palio anche il titolo di nazione più vincente ai Mondiali. Appuntamento in diretta su Sky Sport Arena e in streaming su NOW, con il pre partita dalle 20.30

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Tutto il mondo attende la finale dei sogni. Due squadre leggendarie, due vincenti seriali che si sfidano per la seconda volta nella storia a questo livello. Dopo un percorso strepitoso nella fase a eliminazione diretta All Blacks e Springboks si trovano testa a testa per andare a caccia della loro quarta William Webb Ellis Cup e, forse ancor più importante, battere la rivale più rispettata e temuta. Deciderà la straordinaria adattabilità dei tutti neri, capaci di fronteggiare ogni situazione e uscirne con giocate sorprendenti, o la potenza di un Sudafrica che vuole sfiancare gli avversari partendo dalla certezza della sua mischia? Si gioca sabato 28 ottobre alle ore 21:00, diretta su Sky Sport Arena e in streaming su NOW.

Il meglio del meglio

Si è detto e scritto tanto sul fatto che la Rugby World Cup sia un torneo poco democratico dove arrivano in fondo sempre le stesse o quasi. Se a farlo però sono due squadre capaci del percorso di Nuova Zelanda e Sudafrica allora va bene così, visto che entrambe hanno regalato spettacolo e scritto pagine di storia ovali per trovarsi sabato allo Stade de France. Impossibile dimenticare i due quarti di finali vinti contro Irlanda e Francia al termine di battaglie campali, ma anche la terrificante rimonta sudafricana nella semifinale contro l’Inghilterra in una situazione dalla quale quasi nessuno avrebbe avuto la solidità mentale per farcela. La squadra di Jacques Nienaber sì, grazie alla forza di un gruppo che sabato schiera nei 23 ben 14 giocatori impiegati nell’ultima finale (vincente) contro l’Inghilterra a Yokohama quattro anni fa. Se da una parte ci sarà un Sudafrica in formato record (987 caps nel XV di partenza come mai prima) dall’altra c’è la perfetta dimostrazione di cosa vuol dire essere All Blacks: dopo tre anni ricchi di inciampi, tanti dubbi sia sull’allenatore Ian Foster che su diversi dei cardini in campo, al momento più importante i tutti neri hanno cambiato marcia dimostrando al mondo perché sono la squadra più vincente della storia. La partita contro l’Irlanda è stata sinora l’apogeo di un sistema capace di esaltare le proprie capacità realizzative, inventando dal nulla qualcosa di spesso sorprendente per le difese avversarie, e organizzative, grazie a una difesa tanto feroce quanto perfetta dal punto di vista regolamentare. Se quella di sabato sarà la quinta finale per gli All Blacks e la quarta per il Sudafrica (complessivamente quindi le due squadre occupano quasi il 50% dei posti visto che questa è la decima Rugby World Cup) la motivazione è da cercare solo nella loro forza e superiorità sulle avversarie, dimostrata a ripetizione in questo torneo francese.

La rivincita nera

Quando lo scorso 25 agosto a Londra gli Springboks hanno disintegrato gli All Blacks 35 a 7 la slavina sembrava inevitabile. Negli ultimi tre anni le sconfitte contro Argentina (2), Irlanda (3), Francia (2) e gli stessi sudafricani sembravano aver decretato la fine della magia, con la Nuova Zelanda diventata per la prima volta in oltre un secolo una squadra quasi normale e battibile. La brutta partita contro la Francia al debutto nella Rugby World Cup poi aveva fatto il resto, cucinando un pentolone di pressione in uno spogliatoio condannato a vincere prima di tutto dalla sua storia. Forse allora sono da ricercare proprio all’interno dello spogliatoio e nella solidità dei leader All Blacks i motivi della rinascita nera, con le cose che di colpo sono tornate a funzionare. Più che nel girone, con tre vittorie scontate, gli ultimi due passi sono stati clamorosi: il 28 a 24 sull’Irlanda è già nei manuali ovali e l’atteggiamento visto in campo verrà studiato per anni, in semifinale l’Argentina è stata letteralmente spazzata via come non capitava da un po’ al termine di una partita nella quale mai i Pumas avrebbero potuto imporsi. La Nuova Zelanda torna quindi a fare la Nuova Zelanda, con un pacchetto di mischia solido e potente ma soprattutto una linea di trequarti che dal nulla sa creare e, soprattutto, raccogliere. Le 48 mete segnate sin qui sono il seconde sono alle 52 marcate nel 2003, probabilmente però il motivo per il quale gli All Blacks sono arrivati fino a Parigi è da cercare nella loro aurea. Gli ultimi 160 minuti tra quarti e semifinale hanno “rimesso in pista” qualcosa che non si vedeva più da un po’ di tempo, cioè una squadra affamata e feroce capace di soffocare ogni avversaria. Capitan Sam Cane, uno dei più discussi prima della Rugby World Cup, è diventato il perfetto leader di un gruppo pronto a superare limiti fisici e tecnici per andare a caccia della quarta Coppa del Mondo come mai nessuno prima.

 

Il martello africano

Cattivi, ma anche capaci di gestirsi e controllarsi. Potenti come un carrarmato, ma allo stesso tempo sublimi nel far correre il pallone con i propri trequarti. Consumati visto il chilometraggio infinito di tanti dei loro leader, ma anche freschi e lucidi nei finali di gara punto a punto. Questi sono gli Springboks 2.0, nel senso che dopo aver vinto la Rugby World Cup quattro anni fa dominando l’Inghilterra tornano a riprovarci subito ripartendo da basi simili. La sconfitta dall’Irlanda nella Pool è chiaramente da ascrivere alla mancanza di Pollard e della sua freddezza al piede, l’arrivo del mediano d’apertura già decisivo in Giappone ha rimesso in bolla la barca sudafricana permettendole di veleggiare fino a questa finale. Due grandi rimonte contro Francia e Inghilterra hanno cancellato dalla mappa la migliore borghesia europea ovale, dando campo libero alla potenza degli Springboks che vogliono battere i pugni sul tavolo della storia dimostrandosi i più forti: in caso di successo infatti salirebbero a quattro William Webb Ellis Cup vinte in sole otto edizioni, un 50% che assomiglia tanto una tirannia. Tirannia che però sarebbe conquistata col duro lavoro di un gruppo esperto che negli ultimi anni sostanzialmente non ha mai sbandato, riuscendo sempre a rinnovare e rinnovarsi. L’ultimo elemento di discussione è la famosa “bomb squad”, cioè il fatto di avere in panchina quasi una mischia di riserva da usare nei secondi tempi: come a sublimare il percorso e i valori sudafricani in questa finale Jacques Nienaber porta sette avanti tra quelli a disposizione, indicazione che più chiara non si può di dove secondo lui gli Springboks possano e debbano vincere. Davanti, e non si intende solo in mischia chiusa ma in tutto quello che riguarda la lotta palla a terra e in volo, cioè in touche. Questo comunque in un Sudafrica che quando muove il pallone, e con de Klerk in regia bisogna prepararsi a correre anche e soprattutto per il suo uso del piede, lo fa molto bene. Tante le frecce a disposizione per provare a bucare la difesa neozelandese, in una sfida nella quale ogni centimetro sarà decisivo visto l’equilibrio totale che sembra permeare i due schieramenti in campo.

 

I precedenti

Quello di sabato sarà il 106esimo scontro diretto tra Nuova Zelanda e Sudafrica, il secondo a questo livello. Sul primo ci hanno anche fatto un film da due Premi Oscar, il celebre “Invictus”: 24 giugno 1995, in un paese uscito da poco dall’apartheid gli Springboks ribaltano i pronostici e alla prima Rugby World Cup arrivano subito a vincere (15-12 ai tempi supplementari) con Nelson Mandela in campo per celebrare con il capitano bianco Francois Pienaar. Questo sicuramente è il più importante, ma dal 13 agosto 1921 le due squadre hanno dato vita a una rivalità feroce, tanto che molti ex giocatori del passato non hanno avuto dubbi nello scegliere l’avversario contro il quale maggiormente volevano vincere. Non è un caso che il Sudafrica sia la squadra che la Nuova Zelanda fa più fatica a battere: sono 62 i successi All Blacks, 39 quelli Springboks e quattro i pareggi per un 59 % appena abbondante di vittorie che è il dato più basso contro tutto il resto del globo terracqueo, sintomo comunque di due movimenti che si temono. Due scuole diverse di intendere e insegnare rugby che hanno segnato e attraversato la storia diventando anche le più vincenti di ovalia, visto che dopo questa edizione iridata avranno messo in bacheca sette coppa su dieci. Al resto del mondo? Le briciole, ma perché ancora una volta Nuova Zelanda e Sudafrica si sono dimostrate superiori.

Caccia al poker

Quella di sabato sarà la quarta finale per la Nuova Zelanda, vincente in tre precedenti. Nel 1987, il primo torneo iridato, arrivò un netto 29-9 sulla Francia al termine di un mondiale pionieristico. Gli All Blacks dovettero aspettare 24 anni, e un altro mondiale in casa, per ripetersi con ancora la Francia superata ma solo per 9 a 8, quindi quattro anni più tardi il percorso perfetto fu chiuso contro l’Australia grazie al 34-17 maturato a Londra. L’unica sconfitta in finale è il già citato 15-12 maturato nel 1995 in Sudafrica, contro una squadra capace di ripetersi dodici anni più tardi e con un gruppo tutto nuovo in Francia avendo la meglio sull’Inghilterra di Jonny Wilkinson per 15 a 6. Ancora Inghilterra nell’ultimo successo, quello del 2 novembre 2019: a Yokohama sei calci piazzati di Pollard nella prima ora di gioco indirizzarono la gara, le segnature delle ali Mapimpi e Kolbe nell’ultimo quarto d’ora certificarono il trionfo fino al 32 a 12 conclusivo.

Le formazioni

Nuova Zelanda: 15 Beauden Barrett, 14 Will Jordan, 13 Rieko Ioane, 12 Jordie Barrett, 11 Mark Telea, 10 Richie Mo’unga, 9 Aaron Smith, 8 Ardie Savea, 7 Sam Cane (c), 6 Shannon Frizell, 5 Scott Barrett, 4 Brodie Retallick, 3 Tyrel Lomax, 2 Codie Taylor, 1 Ethan de Groot. A disposizione: 16 Samisoni Taukei’aho, 17 Tamaiti Williams, 18 Nepo Laulala, 19 Sam Whitelock, 20 Dalton Papali’i, 21 Finlay Christie, 22 Damian McKenzie, 23 Anton Lienert-Brown

Sudafrica: 15 Damian Willemse, 14 Kurt-Lee Arendse, 13 Jesse Kriel, 12 Damian de Allende, 11 Cheslin Kolbe, 10 Handré Pollard, 9 Faf de Klerk, 8 Duane Vermeulen, 7 Pieter-Steph du Toit, 6 Siya Kolisi (c), 5 Franco Mostert, 4 Eben Etzebeth, 3 Frans Malherbe, 2 Bongi Mbonambi, 1 Steven Kitshoff. A disposizione: 16 Deon Fourie, 17 Ox Nche, 18 Trevor Nyakane, 19 Jean Kleyn, 20 RG Snyman, 21 Kwagga Smith, 22 Jasper Wiese, 23 Willie le Roux 

 

A cura di OnRugby.it