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Rugby, adesso sono gli altri a temere la "nuova Italia"

sei nazioni

Francesco Pierantozzi

L'Italia si impone sulla Scozia 31-29: la squadra gioca bene e sa vincere, aggiunge sempre qualcosa e sistema i difetti. Dalle chiavi del successo al futuro: l'analisi di quella che non va considerata come una vittoria occasionale

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Stadio pieno, strapieno, entusiasmo infinito. E tutto già prima della partita. Non è l’infinita apertura di credito a una squadra che non vince in casa da 11 anni nel Sei Nazioni ma la consapevolezza che ci sia qualcosa di nuovo, che adesso l’Italia non giochi per prenderne pochi, che vada in campo per vincere e si arrabbi pure quando pareggi in Francia, senza accostare il risultato all’aggettivo “storico”. Questa l’atmosfera prima di Italia-Scozia, figuratevi alla fine dopo un successo atteso così a lungo. E attenzione: non si pensi che, in fondo, la Scozia è la squadra più alla portata azzurra, risultati e statistiche alla mano, con 8 successi dal 2000 ad oggi nel torneo più antico del mondo ovale. Perché la Scozia oggi è una delle squadre più forti in circolazione, sesta nel ranking, reduce da successi su Inghilterra, nella Calcutta Cup, e contro il Galles, con una sconfitta contro la Francia, arrivata solo per una svista, o meta non vista, del TMO (il var rugbistico, arrivato molto prima di quello del calcio).

Le chiavi del successo

L’emblema è l’ultima azione della partita, infinita, con l’Italia davanti di 2 punti, che difende per oltre 20 fasi, 24 per essere precisi, senza panico e senza falli, con disciplina, determinazione, con una condizione fisica mai vista prima, con una testa che funziona anche quando ti manca l’ossigeno. E’ una vittoria che non arriva per caso, per un colpo di fortuna. Costruita, cercata, voluta, come le mete, a cominciare da quella di “Nacho” Brex, alla fine uomo della partita, che ci rimette in corsa nel primo tempo, sotto 3-14. Un primo tempo difficile, anzi un primo tempo di sofferenza per 20-30 minuti con l’Italia a tamponare, a cercare di fermare una Scozia brillante, potente, efficace, davanti 10-22 al 29’. La forza azzurra è di tenere, resistere e poi di ribaltare tutto. Nel secondo tempo le mete del debuttante Louis Lynagh, con quel nome pesante del padre, un mito del rugby australiano, e, per fortuna nostra, con una mamma di Treviso, dove è nato, e di Varney, il piccolo gallese con sangue italiano da parte di madre, svelto da mediano di mischia a colpire dopo una bella azione. 

E pensare che...

Paolo Garbisi, il mancato eroe di Lille, col piazzato della possibile vittoria sulla Francia che si stampa sul palo, ha saputo riprendersi, come se nulla fosse accaduto. Bravo, si fa così, da vero rugbista. Ma incredibilmente all’inizio della partita, dopo aver sistemato il pallone sul sostegno per calciare una punizione ha visto il pallone cadere. Di nuovo, no….per chi è scaramantico il segno del destino. Invece, quasi con un sorriso, non si è fatto prendere dal panico, ha riposizionato l’ovale e ha trovato i 3 punti. Nel secondo tempo la trasformazione della meta di Varney, per il possibile vantaggio, sarebbe stato il primo per gli azzurri nella partita al 44’, si stampa sul palo. No….non ci si può credere.

Presente e futuro

La continuità, ecco la prima considerazione da fare. Dopo il pareggio in Francia ecco una vittoria in casa. Non si tratta della prestazione occasionale, come detto e ripetuto. Poi la mano di Quesada, il nuovo CT argentino, con attenzione ai dettagli, rischi presi con la dovuta moderazione, senza andare all’avventura, difetti che vengono corretti di volta in volta, condizione fisica, e blocco Benetton, che ha imparato a farsi valere, che sa come si può vincere, con giocatori abituati a stare assieme. Un po’ di concorrenza, nessuno ha il posto sicuro per capirci, due centri, Menoncello e Brex, che fanno la differenza, la scoperta di Vintcent, in terza linea, il capitano Lamaro, lavoro sporco e il peso di dover essere leader, il ball carrier Negri, le fatiche di Ruzza e Cannone, la prima linea tornata a fare paura,  i “francesi” Garbisi e Capuozzo, con Ange che placca e difende, non attacca soltanto, la panchina che alza il livello…facile dire dopo un successo atteso 11 anni un po’ “tutti”, senza fare nomi, perché sarebbe la cosa corretta. E aggiungiamo la consapevolezza, adesso sono gli altri a temere l’Italia, la nuova Italia, che gioca bene e sa vincere, che aggiunge sempre qualcosa e sistema i difetti. I 70mila torneranno, guarderanno, è arrivata persino la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, tutti sapranno che il rugby non è un’operazione di marketing attorno ai valori che si trascina da sempre. Si può festeggiare, si deve festeggiare perché si vince, non solo perché è rugby!