Super Bowl 2020, i quarterback: le storie di Mahomes e Garoppolo

Sport USA
Massimo Marianella

Massimo Marianella

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E’ la prima volta per entrambi. Detta così sembra un goffo e dolce passaggio romantico, in realtà solo la curiosità di capire come i due uomini simbolo in campo, quelli assolutamente decisivi di questo 54° Super Bowl reagiranno al palcoscenico tra i più prestigiosi, rischiosi ed esaltanti del mondo dello sport

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I quarterback titolari

Due che hanno una natura diversa in campo. Uno può regalare con le sue trovate, le sue corse, le soluzioni geniali la fiammata per vincere qualsiasi partita. L’altro più regolare, uno che raramente può farti perdere lui la partita forzando qualche scelta o qualche lancio. Garoppolo ha il vantaggio di aver, seppur da figurante, vissuto l’esperienza come back up di Brady e vinto 2 anelli quindi conosce tutto il circo mediatico e non che circonda questo match e come gestirlo. “Essere stato parte di un Super Bowl in passato è un’esperienza importante, tra le varie cose soprattutto per la gestione dei tempi della partita che sono diversi dalle altre. La durata dei time out, dell’intervallo, le pause. C’è la partita e poi tutto il resto che devi mettere in un angolino. Spero di aver imparato il più possibile da Tom (Brady, ndr) nella preparazione di un match così, ma anche il fatto che è una partita di football come altre e bisogna provare a gestirla mentalmente come tutte le altre”. Mahomes invece ha la forza dell’incoscienza giovanile a supportare un talento straordinario e una maturità sorprendente. “Io sono orgoglioso del fatto di non essere affatto cambiato come ragazzo. Non voglio cambiare. Mi sento lo stesso dei tempi delle medie. Vero adesso sono su una piattaforma più importante e certamente più in vista, ma la mia personalità è la stessa. Forse anche questo mi aiuta a gestire la pressione di questa partita. Non è un cliché credetemi, l’ho detto anche ai compagni. Divertiamoci, godiamoci un momento incredibile che non è scontato nella vita di un giocatore sapendo di avere anche la grande chance di vincere una partita straordinaria”.

Jimmy Garoppolo festeggia la vittoria dell'NFC Championship game contro Green Bay
©Getty

Uno l’esperienza, l’altro l’improvvisazione

Eppure uno utilizza più le gambe, il cuore e l’istinto, l’altro la testa e segue di più le chiamate che gli arrivano nel casco dalla sideline. Impressionante però come i numeri della stagione regolare per due quarterback così diversi siano invece sostanzialmente simili. Garoppolo ha lanciato per 3978 yard con 329 completi su 476 tentativi, una media di 8,4 yard a lancio, 27 TD e 13 intercetti. Numeri che alla fine della stagione lo hanno collocato al 5° posto proprio per passaggi completati. Il #15 dell’Arrowhead Stadium ha 4031 yard totali con 319 su 484, una media 8,3, 26 TD e solo 5 intercetti. Due ragazzi di personalità e dal braccio potente. Uno con incredibili doti di movimento, lettura del gioco e improvvisazione, l’altro un giocatore più legato alle chiamate della panchina e tendenzialmente meno disposto a rischiare. Un “italiano” contro un americano. Un predestinato con forti legami sportivi nella tradizione familiare opposto ad un ragazzo che attraverso la cultura del lavoro sul campo ha trovato nello sport la strada per emergere da una realtà operaia.

L’abruzzese

Arriva dall’Abruzzo la famiglia di Garoppolo col padre che ha trovato lavoro come elettricista nell’area urbana di Chicago. Un papà che ama il football, lo seguiva la domenica e sognava in quel mondo un futuro per il figlio. Il football però che si gioca con i piedi e con le reti alle porte.

Garoppolo col papà Tony

Il pupo alla fine è diventato davvero un campione, ma giocando con le mani. Un’ottima carriera universitaria a Eastern Illinois che in passato aveva prodotto un altro grande quarterback come Tony Romo e soprattutto quel Mike Shanahan che come Head Coach ha vinto 2 volte il Super Bowl alla guida di Denver e che altri non è se non il papà di Kyle attuale capo allenatore dei 49ers. Lì lo notò Belichick tanto da sceglierlo come erede designato di Brady, ma la longevità agonistica infinita del bel Tom ha rovinato questo piano e sono stati costretti a scambiarlo sul mercato con San Francisco perché Jimmy voleva giocare non solo guardare ed imparare. Un cerchio quello iniziato ad Eastern Illinois che potrebbe chiudersi a perfezione proprio all’ombra delle Palme di South Beach perché Mike Shanahan il suo primo anello con i Broncos lo ha vinto proprio a Miami dove ci riproverà suo figlio con il numero 10 (il numero di quel calcio che amava tanto il padre) in cabina di regia.

Mike e Kyle Shanahan
Mike e Kyle Shanahan - ©Getty

49ers oltre le previsioni

Garoppolo da titolare a San Francisco ha un record scintillante di 21 vinte e 5 perse e ad Arizona in un Thursday night durante la stagione in casa dei Cardinals è diventato il primo quarterback dei 49ers da 19 anni (Jeff Garcia v Packers) a lanciare per + di 300 yard con 4 TD pass. A testimonianza che la grande forza sua e di questi 49ers sta nella capacità di miscelare l’attacco basta però ricordare che nel Championship contro Green Bay Garoppolo ha lanciato solo 8 volte in tutta la partita, mentre la squadra ha corso per 285 yard. Una stagione magica quella di San Francisco cha ha superato le attese di molti, compreso lo stesso Garoppolo “Nel training camp ovviamente non potevo pensare che saremmo andati così lontano, ma mi sono reso conto che avevamo una straordinaria difesa perché ovviamente la fronteggiavo ogni giorno e… era dura provare a fare qualsiasi cosa in allenamento ed è quella difesa che ci ha accompagnato fino qui a Miami”.

La passione di Mahomes per il ketchup in uno degli spot

L’americano  

Che l’americano sia Mahomes invece non ce lo dice solo il suono del cognome o quella passione sfrenata per il ketchup che mette su tutti i cibi (pasta, bistecche e mac and cheese compresi) e per cui viene preso in giro da tutti, ma anche da una vita passata nel baseball. Suo padre Pat è stato un discreto lanciatore nelle Major, principalmente un rilievo dal bullpen, e questo, come testimonia la foto da piccolino con Alex Rodriguez che ha fatto il giro del mondo, gli ha permesso di frequentare spogliatoi professionistici ad altissimo livello come quello degli Yankees per cui l’abitudine al grande palcoscenico dovrebbe (il Super Bowl resta comunque un match unico nel pianeta) rendergli l’impatto col grande evento più morbido.

Alex Rodriguez e un giovanissimo Mahomes
Alex Rodriguez e un giovanissimo Mahomes (da twitter @PMahomes)

Pure quel lancio laterale (sidearm) che ogni tanto usa sotto pressione lo ha “rubato” certamente al baseball anche se al momento di scegliere non ha avuto dubbi a favore della palla pizzuta con anche la benedizione di papà. Lo avevano addirittura chiamato al 37giro del Draft 2004 delle MLB i Detroit Tigers, su segnalazione dello scout Tim Grieve, pur sapendo che avrebbe scelto l’altro sport.

La speranza era che al college (Texas Tech) non si trovasse bene a giocare a football e a quel punto se avesse deciso di dare una chance al baseball loro avevano già instaurato un rapporto ufficiale. D'altronde alla Whitehouse High School aveva finito una partita come lanciatore partente con 16 K e senza concedere una valida agli avversari. Il famoso “No Hitter”, rarissimo da ottenere pure nelle Major.

Il talento peraltro non gli mancava neanche sul parquet tanto da venir incluso nella selezione All-East Texas di basket, ma alla fine bisognava prendere una decisione e quella lo ha indirizzato verso il football. “Io credo che l’aver praticato a buon livello sport diversi abbia aiutato non solo la mia mentalità a essere sempre vincente, ma anche il mio fisico, con movimenti diversi, a diventare l’atleta che sono oggi”. A diventare protagonista tra i Pro poi ci ha messo davvero pochissimo. Nella stagione del debutto da titolare, quella passata, è stato eletto MVP della Lega diventando anche il 3° QB nella storia della NFL a lanciare 50 o più TD in una singola stagione.

Mahomes durante il media day dei Chiefs a Miami
©Getty

Ora spera di diventare il primo in assoluto a vincere un Titolo di MVP e l’anello del Super Bowl prima di compiere 25 anni. “Lo scorso anno non ho mai pensato di poter essere eletto MVP e non era neanche un mio obbiettivo. Sapevo di avere molto talento a disposizione attorno a me, ma volevo solo vincere più partite possibile e trovare la mia dimensione. Quest’anno invece dopo la stagione che abbiamo avuto sì, l’obbiettivo era arrivare al Super Bowl. Il paragone con Jordan? Quando cominci a fare sport seriamente sogni di essere paragonato ai grandi, ma vincere qualche grande partita non basta ci vuole una continuità ad altissimo livello che solo pochi nella storia dello sport hanno dimostrato. E’ ancora un sogno lontano. Molto lontano”.  Quello, di sogno, forse sì. Quello di sollevare il Vincent Lombardi Trophy è lontano invece solo una partita.