'Wrecking Ball': l'omaggio del Boss al Giants Stadium

La comunione spirituale più intensa tra musica e sport avviene nei luoghi. Stadi e palazzetti sono un territorio condiviso. Il Giants Stadium è uno degli impianti che ha vissuto alcuni dei momenti più alti di questa storia condivisa. Tantissimi concerti memorabili, la doppietta di Baggio nella semifinale dei Mondiali 94 contro la Bulgaria, le partite dei New York Cosmos di Pelè e il suo addio al calcio. I New York Giants della NFL, ma anche i Jets. L’orgoglio del New Jersey. Questo era il Giants Stadium, costruito lungo la Route 120 di East Rutherford, New Jersey. Inaugurato nel 1976. Prima di lui, nel Meadowlands, il nulla. Meadowlands, poche miglia ad ovest di New York, una faticosa ma continua urbanizzazione nel Novecento dove è più acqua che terra. Gli ultimi chilometri dei fiumi Hackensack e Passaic prima di immettersi nella baia di Newark. Paludi ovunque, un ecosistema devastato in passato da discariche e vari abusi ambientali. Zanzare come aeroplani. Per chi lo ha sempre chiamato casa, era difficile provare un’autentica fierezza. Lo sport e la musica posso fare molto per tirartelo fuori, quell’orgoglio. C’era, aveva solo bisogno di un simbolo. Lo stadio è un luogo di relazione e comunicazione. Ecco perché il Giants Stadium è diventato il simbolo di cui il popolo del New Jersey aveva bisogno. UNA NUOVA CASA PER LE SQUADRE DI NEW YORK E DEL NEW JERSEY In alcune grandi città degli Stati Uniti, il football è stato per anni un ospite. Usava i grandi impianti esistenti che, spesso, erano quelli dedicati al baseball. Era il baseball il motivo per cui sono nati Wrigley Field a Chicago o lo Yankee Stadium a New York. Anche Fenway Park ha sempre ospitato partite di football, fin dall’apertura nel 1912, ma è ed è stato soprattutto lo stadio dei Red Sox. A Wrigley Field hanno giocato per 50 anni i Chicago Bears, stabilendo un record di partite di NFL disputate nello stesso impianto che ha resistito a lungo. I New York Giants del football hanno giocato per 30 anni al Polo Grounds , lo stesso impianto dove si tifava per i New York Giants, quelli del baseball . Poi fino al 1973 i Giants giocarono le loro partite interne allo Yankee Stadium. Gli anni 70 sono stati il momento giusto per avere ambizioni, a partire da uno stadio grande e identitario. Lo Yankee Stadium doveva chiudere per una importante ristrutturazione, i Giants si accordarono con la New Jersey Sports and Exposition Authority per trasferirsi nel grande stadio in costruzione nel Meadowlands Sports Complex. Prima partita il 10 ottobre del 1976, sconfitta contro i Dallas Cowboys 24 a 14, ma quello stadio si chiamava Giants Stadium ed erano oltre 70 mila a essere presenti. La nuova collocazione ha fatto guadagnare molti tifosi nel New Jersey, eccolo l’orgoglio che viene fuori, che è diventato una squadra dove indirizzare un senso di appartenenza. Più squadre in realtà: nell’area è stata costruita anche la Meadowlands Arena . A partire dagli anni 80 ha ospitato i New Jersey Devils della NHL, i New Jersey Nets della NBA e i Pirates di Setan Hall del college basketball. I Giants sono rimasti l’unica squadra NFL a usare lo stadio che portava il loro nome per otto anni. Poi sono arrivati i Jets. Anche loro giocavano a New York in uno stadio del baseball, lo Shea Stadium, casa dei New York Mets. In mancanza di un accordo per continuare nel Queens, è nata l’idea di condividere l’impianto di East Rutherford. Con qualche difficoltà, bisognava cambiare colori e insegne per passare dai Giants ai Jets e far sentire ugualmente comodi tifosi decisamente diversi. Prima partita il 6 settembre 1984, anche per i Jets una sconfitta con i Pittsburgh Steelers . C’era evidentemente il problema del nome… “Giants Stadium”. Semplice. “Lo cambiamo”, proposero i Jets. “Non se ne parla”, stabilirono i Giants. Così, quando ci giocavano i Jets, lo stadio veniva chiamato ‘The Meadowlands’, esempio davvero unico di un impianto che si volta lo stesso anche se lo chiami in un altro modo. Ma che sia stato conosciuto, tramandato e vissuto soprattutto come il Giants Stadium, non ci sono dubbi. La convivenza tra Giants e Jets ha portato più velocemente a un nuovo record di partite NFL giocate nello stesso impianto. Nel 2003, il vecchio record dei Chicago Bears a Wrigley Field fu battuto in una partita tra i Jets e i Miami Dolphins. Sono state 492 le partite di football NFL giocate in totale al Giants Stadium/The Meadowlands. I Bears hanno perso un primato ma hanno superato il loro record di 50 stagioni giocate nello stesso impianto. Si sono trasferiti nel 1971 al Soldier Field e quindi sono già andati oltre il mezzo secolo. Mai come i Green Bay Packers, comunque, che sono a Lambeau Field dal 1957. Stadi che misurano il tempo, rappresentano la successione degli eventi, identificano luoghi, diventano un lascito di passioni e sentimenti. Le vittorie amplificano e consolidano tutto. Negli anni in cui hanno giocato le partite in casa al Giants Stadium, i New York Giants hanno vinto 3 Super Bowl sui 4 conquistati. I titoli della NFC East sono stati 7 su 8, i titoli di conference della NFC 4 sui 5 ottenuti in assoluto. Gli anni di maggiore gloria. I Jets hanno vinto molto meno, ma sono andati ai playoff in 9 stagioni durante gli anni del Meadowlands. Il padrone di casa per tanti anni è stato il leggendario Bill Parcells, allenatore che ha conquistato due Super Bowl con i Giants. Ci sono stati campioni come Phill Simms, Lawrence Taylor, Joe Morris, Harry Carson, Jeff Hostetler, Ottis Anderson, Michael Strahan, Tiki Barber, Eli Manning. I campioni e le vittorie sono memoria collettiva. Per ricordare è necessario stabilire una forte connessione emotiva con le cose che non si vogliono perdere nel ripostiglio dell’oblio. Lo sport sa creare queste connessioni. L’ULTIMA VOLTA DI PELÈ I New York Cosmos hanno giocato al Giants Stadium dal 1977 al 1984, erano una delle squadre della North American Soccer League. Il calcio è tornato in questo stadio poi con i MetroStars diventati in seguito Red Bulls, ed era già MLS . Negli anni 70, per promuovere il calcio, la Warner Communications spendeva dollari con generosa incoscienza. Nei suoi Cosmos giocavano Carlos Alberto, Beckenbauer e Giorgio Chinaglia, per dire. Nel 1975 era arrivato Edson Arantes do Nascimento, O Rei, per tutti Pelè. Con Pelè, e con tutti gli altri, arrivò il titolo del 1977, vinto contro Seattle. Il 28 agosto, nella finale di Portland , segnarono Hunt e Chinaglia . Il primo ottobre 1977 fu organizzata al Giants Stadium la partita dell’addio di Pelè al calcio. Stadio pieno, 38 paesi collegati in diretta tv, pioggia continua. New York Cosmos contro Santos. Pelè giocò con entrambe, sono state le sue uniche due squadre di club. Nel primo tempo con New York, segnò un gol su punizione da una distanza assurda, fate almeno 40 metri, palla scagliata di prepotenza di destro nell’angolo con portiere avversario in ritardo. Col pensiero prima che con le gambe. Non pensava che potesse segnare da lì. Doveva pensare invece che quello era Pelè. Durante l’intervallo la sua maglia numero 10 dei Cosmos fu ritirata, se la tolse e la consegnò al padre Dondinho , poi indossò l’altra maglia numero 10 della sua vita, quella del Santos, la squadra brasiliana con cui aveva giocato per 19 stagioni e con cui disputò il secondo tempo. A fine partita, si tolse la maglia e la consegnò a Waldemar de Brito, l’uomo che lo scoprì e lo convinse a fare un provino con il club. Chiusura del cerchio della sua vita su un campo da calcio. Finì portato in trionfo sotto le tribune, la magnificazione dell’amore di un uomo per i suoi tifosi e dei suoi tifosi per un uomo. Intervista in tv con più singhiozzi che parole. I MONDIALI DI USA 94 Il 13 luglio del 1994 Roberto Baggio ha vissuto al Giants Stadium la sintesi perfetta della sua maestria calcistica e dell’interferenza della cattiva sorte, in pratica il sunto della carriera. L’Italia di Arrigo Sacchi era alla terza partita giocata a East Rutherford, in quel Mondiale di Usa 1994. Aveva iniziato il 18 giugno con una sconcertante sconfitta contro l’Irlanda . Il 23 giugno, sempre al Giants Stadium, morte e resurrezione contro la Norvegia: espulso Pagliuca, bisognava far entrare il portiere di riserva Marchegiani e Sacchi decise di togliere Roby Baggio. In 10 contro 11 segnò Dino Baggio nel secondo tempo e finì 1 a 0. Nelle sette partite giocate al Giants Stadium durante USA 94 ci fu anche tanta Bulgaria. Ottavo di finale vinto ai rigori contro il Messico, quarto di finale vinto a sorpresa e in rimonta contro la Germania campione in carica. E semifinale dove i bulgari del fenomeno Stoichkov affrontarono l’Italia. Il 13 luglio, appunto. Roberto Baggio tornava al Giants Stadium dove era stato sostituito contro la Norvegia, ma nel mentre aveva fatto due gol alla Nigeria negli ottavi di finale a Boston , uno alla Spagna nei quarti . Aveva portato l’Italia in semifinale e aveva tenuto i suoi capolavori migliori per l’occasione. Due giocate in pochi minuti, poco oltre il ventesimo del primo tempo. La prima: saltò di netto un avversario e il tiro dal limite si infilò nell’angolo alla sinistra del portiere . Quattro minuti dopo si propose in area sulla destra, Albertini lo vide, gli affidò il pallone, dopo un rimbalzo Baggio lo colpì al volo incrociando nell’angolo, questa volta alla destra del portiere . Un rigore di Stoichkov riuscì a creare un po’ di apprensione ma non cambiò la sostanza: 2-1, l’Italia di Baggio si qualificò per la finale. Il momento più alto di un campione. Questo è stato per Baggio quel 13 luglio del 1994 al Giants Stadium. La grande esaltazione in quattro minuti. L’amore definitivo di una nazione. Tutti per Roby e quasi tutti contro Arrigo. L’impresa che ti consegna alla storia. Prima del giro di valzer del destino dalla parte sbagliata. A 25 minuti dalla fine entrò in area, provò un dribbling, fece un paio di finte, e si fermò. Una mano subito dietro la coscia, si piegò in avanti, capì. Un massaggio, pochi minuti di incertezza a bordo campo e uscì, sostituito da Signori. Uscì dalla partita e dal momento più straordinario della sua vita. Dopo il novantesimo, sapeva di aver vinto e sapeva solo piangere, lacrime tamponate dall’abbraccio di Gigi Riva in rappresentanza dell’Italia. L’Italia Paese, non solo l’Italia squadra di calcio. Dopo due fantastici gol, solo brutti pensieri, giocare o non giocare la finale. Giocò, senza spirito, con il fisico menomato e senza togliersi la cattiva sorte. Sbagliò un rigore contro il Brasile, che vinse la finale di Usa 94 ai rigori. Ancora ci pensa a quell’errore. Non deve. Pensi ai suoi capolavori. Alla doppietta contro la Bulgaria al Giants Stadium. LA SUPERCOPPA ITALIANA DEL 2003 Nove anni dopo USA 94, l’Italia tornò protagonista al Giants Stadium con due squadre di club. Supercoppa italiana 2003: il 3 agosto si affrontarono a East Rutherford la Juventus, detentrice dello scudetto, e il Milan, vincitore della Coppa Italia. Non era una prima volta. Nel 1993 Milan e Torino avevano già giocato la Supercoppa negli States, a Washington. L’attesa era da ideale rivincita della finale di Champions giocata a Manchester poco più di due mesi prima, vinta dal Milan con il famoso rigore di Shevchenko dopo lo 0 a 0 di tempi regolamentari e supplementari. La storia si è quasi ripetuta. Ancora 0-0. Nel recupero del primo tempo supplementare, il Milan passò in vantaggio con un rigore di Pirlo. Rigore a cucchiaio, che scavalcò Buffon. Con la regola del silver gol, bastava chiudere il supplementare in vantaggio per vincere la coppa. Non è bastato. La Juve pareggiò in 14 secondi, con Trezeguet. Secondo supplementare e poi rigori. Ancora. Segnarono tutti, tranne Brocchi. Buffon parò, tuffandosi sulla destra. Ciro Ferrara tirò esattamente lì, come Brocchi. Abbiati si buttò dall’altra parte. La Juventus di Lippi vinse la 16.a edizione della Supercoppa. Ne ha visto di calcio, il Giants Stadium. Manchester United, Celtic, Chelsea, Liverpool, Barcellona, Rangers, tra le tante. Non si è fatto mancare nulla, il Giants Stadium. I GRANDI CONCERTI Certamente non è mai mancata la grande musica. Il primo concerto in assoluto fu il 25 giugno del 1978 con i Beach Boys e la Steve Miller Band. I Grateful Dead ci sono stati 14 volte, hanno anche pubblicato un box set con 5 concerti live incisi su 14 cd che hanno chiamato ‘Giants Stadium 1987, 1989, 1991’. Gli Who hanno eseguito parte della loro opera rock ‘Tommy’ in due favolosi concerti nel 1989. La Dave Matthews Band ha suonato 10 volte tra il 1998 e il 2007. Quando lo tirarono giù, Dave Matthews ha detto che non avrebbe mai immaginato di potersi innamorare di uno stadio. I Green Day hanno tenuto qui il loro più grande concerto del North America nel 2005. I Police hanno concluso i concerti della reunion al Giants Stadium nel 2007. Il record di pubblico è appartenuto per anni a qualcuno che musicista non era: nel 1995 Giovanni Paolo II ha portato 82.948 spettatori all’interno dell’impianto. Il record lo hanno poi stabilito definitivamente gli U2, il 24 settembre del 2009, con oltre 84 mila persone. Bono ha dato l’annuncio al pubblico dicendo… “neanche il Papa”… East Rutherford è a circa 70 km da Freehold, dove Bruce Springsteen è cresciuto. Freehold è a pochi minuti da Colt’s Neck, dove la famiglia Springsteen vive attualmente. Il Bœoss è uno che può chiamare casa questi luoghi. Ed è certamente uno dei motivi d’orgoglio del New Jersey, come lo è stato il Giants Stadium. È stato, perché lo hanno demolito nel 2010. Ed è stato Bruce Springsteen a chiudere casa per sempre, per quanto riguarda la musica. L’ULTIMO CONCERTO AL GIANTS STADIUM Autunno del 2009. Bruce Springsteen e la E Street Band hanno suonato per cinque serate al Giants Stadium. Cinque serate da tutto esaurito, 300 mila persone in totale erano arrivate a East Rutherford consapevoli di partecipare a un rito, a qualcosa di realmente, forzatamente irripetibile. Quel luogo era a fine vita. Da due anni stavano costruendo il nuovo MetLife Stadium, lì accanto. Un impianto costato 1,6 miliardi di dollari. Una meraviglia. Una meraviglia vuota. Tutta la gloria, la fama e l’onore stavano dentro il Giants Stadium, conservati per 33 anni. Chi è entrato allo stadio per sentire musica un’ultima volta, ha trovato un messaggio sull’enorme schermo: “Questa è la notte dell’ultimo concerto al Giants Stadium. 9 ottobre 2009. Grazie New Jersey!”. Poco dopo le 20 è entrata la band, uno alla volta. Poi sono entrati ‘Big Man’ Clarence Clemons e Bruce Springsteen, abbracciati. Erano le ultime esibizioni dal vivo di Clemons, il grande sassofonista, parte pulsante della band fin dal 1972. Quello che Springsteen aveva definito “un colossale e generoso terremoto di carne”, era ormai un corpo devastato. Operato più volte alle ginocchia e all’anca, veniva depositato sul palco, se ne stava lì in disparte, ma riusciva ogni volta a liberare la forza del suo sax. “Era come se fossi fatto interamente di dolore”. Ecco cosa provava Big Man in quei giorni. Il suo fisico aveva iniziato la sua opera di demolizione che si concluderà nel 2011. Un mito che si stava sbriciolando come il Giants Stadium. Era doloroso vederlo così, per Springsteen. Quando sono entrati, nel loro abbraccio fisicamente complementare, è iniziato a piovere. “Perderlo è stato come perdere la pioggia” – queste le parole di Springsteen quando Clemons morì il 18 giugno del 2011. Entrati Big Man e Bruce, poteva iniziare lo show. Il Boss si è avvicinato al microfono e ha accolto un pubblico di fratelli e sorelle: “Buona sera New Jersey. È bello essere qui, nel mio giardino di casa. Unitevi a noi per mettere fine per sempre a questa vecchia signora. Abbiamo avuto tante fantastiche serate qui e spero di averne un’altra questa notte”. Springsteen ha suonato 24 volte al Giants Stadium, il giardino lo conosceva molto bene. Ha iniziato qualche nota con la chitarra, e ha aggiunto: “Ho scritto qualcosa per questa notte”. Ed è partito il canto: I was raised out of steel here in the swamps of Jersey, some misty years ago Through the mud and the beer, and the blood and the cheers, I've seen champions come and go So if you got the guts mister, yeah, if you got the balls If you think it's your time, then step to the line, and bring on your wrecking ball Bring on your wrecking ball Bring on your wrecking ball Come on and take your best shot, let me see what you got Bring on your wrecking ball La palla demolitrice era una minaccia terribilmente reale. Ha iniziato la sua opera distruttrice il 4 febbraio del 2010, alle 10 del mattino. A fine giugno 2010, il vecchio Giants Stadium non c’era più. Ma quella sera era vivo, e orgoglioso di sé stesso. Springsteen gli ha dato la parola: Sono stato costruito con l’acciaio, qui nelle paludi del New Jersey In anni avvolti dalla nebbia, tra fango, birra e urla della folla, ho visto campioni arrivare e andare via. Se hai abbastanza fegato signore, fatti avanti e colpiscimi con la tua palla demolitrice sferra il tuo colpo migliore, fammi vedere di cosa sei capace, fatti avanti con la tua palla da demolizione Uno stadio si stava raccontando. Non solo. Bruce si era identificato con lo stadio e si stava raccontando. Stessi luoghi, stesse storie. I concerti del Boss sono riti collettivi a base di rock e tanto altro. Ecco allora l’invito ad un brindisi corale, per ricordare chi, nella nostra casa, non c’era più. Now my home's here in these meadowlands where mosquitoes grow big as airplanes Here where the blood is spilled, the arena's filled, and giants played their games So raise up your glasses and let me hear your voices call Because tonight all the dead are here, so bring on your wrecking ball La mia casa è in queste paludi dove le zanzare crescono come aeroplani, dove il sangue è versato, lo stadio è pieno e i Giants giocano le loro partite. Così alzate i vostri bicchieri e fatemi sentire le vostre voci Perché stanotte tutti i morti sono qui, tirate fuori la vostra palla demolitrice ‘Wrecking Ball’ è anche una metafora. La società americana, forse il mondo intero, sono stati demoliti, si sono sbriciolati sotto i colpi di una palla d’acciaio. Il pezzo ha dato il nome all’album che è poi uscito nel 2012. Uno dei dischi più arrabbiati di Springsteen. Reazione indignata alla crisi finanziaria che per un paio d’anni, tra il 2007 e il 2009, aveva provocato una grave recessione, fallimenti, crisi bancarie. Aveva sofferto il mondo della finanza, ma a causa delle scelte predatorie di quel mondo, di pratiche poco etiche e fuori controllo, avevano sofferto milioni di persone. Springsteen voleva esprimere il disperato bisogno di una giustizia economica e sociale. E ci stava arrivando, nella prossima strofa della canzone che aveva aperto lo show. Yeah, we know that come tomorrow, none of this will be here So hold tight on your anger, you hold tight on your anger Hold tight to your anger, don't fall to your fears Sappiamo tutti che domani nulla di questo resterà perciò tenetevi stretta la vostra rabbia, tenetevi stretta la vostra rabbia, non cedete alle vostre paure. C’era amarezza, anche rabbia, per quello che è stato abbattuto e che ci ha lasciato senza certezze. I sentimenti vanno sempre rispettati, le disillusioni vanno capite, le difficoltà delle persone sono reali. Nessuno ha mai cantato meglio queste cose americane al popolo americano. Ma Bruce non ha mai detto all’America di arrendersi e non lo ha fatto neanche questa volta. Anche se crollava il Giants Stadium, se crollavano pezzi della vostra vita, non bisognava lasciare spazio alla paura. Nella vita, si distrugge per ricostruire. È la personale versione del Boss di ‘Todo Cambia’, o di panta rei. Tutto cambia, tutto scorre. E magari ritorna. Now when all this steel and these stories, they drift away to rust And all our youth and beauty, it's been given to the dust When the game has been decided and we're burning down the clock And all our little victories and glories have turned into parking lots When your best hopes and desires are scattered through the wind And hard times come, and hard times go And hard times come, and hard times go Yeah just to come again Quando tutto questo acciaio e queste storie si trasformano in ruggine, e la nostra giovinezza, la nostra bellezza sono finite in polvere quando la partita è stata decisa e stiamo bruciando il tempo e tutte le nostre piccole vittorie e le glorie sono diventate un parcheggio quando le vostre migliori speranze e i desideri sono dispersi nel vento e i tempi duri vengono e se ne vanno i tempi duri vengono e se ne vanno solo per tornare ancora Il palco dove stava cantando Bruce Springsteen è diventato veramente un parcheggio. Il nuovo parcheggio del MetLife Stadium, costruito lì accanto. Si distrugge per ricostruire. ‘Wrecking Ball’ è stato l’inizio di un concerto memorabile, proseguito subito con uno dei pezzi più trascinanti: ‘Badlands’. Oltre tre ore di musica del Boss e della E Street Band, più motivati che mai. Durante ‘Hungry Heart’, Bruce si è avvicinato al pubblico e ha fatto crowd surfing, continuando a cantare mentre centinaia di mani lo sorreggevano e lo trasportavano. Non male a 60 anni, male solo per Patti Scialfa, moglie e compagna anche sul palco con la E Street Band, decisamente preoccupata. In ognuno dei 5 concerti al Giants Stadium è stato eseguito un intero album all’interno della scaletta. Due volte ‘Born to Run’ , una volta ‘Darkness On The Edge on Town’ , due volte ‘Born In the U.S.A.’ . Il 9 ottobre sono stati 31 i pezzi presentati in un flusso ininterrotto. I 12 pezzi dell’album ‘Born In the U.S.A.’ sono partiti subito dopo ‘Working on a Dream’. Poi tanti classici, come ‘The Promised Land’ e ‘The Rising’. Durante i bis, come sempre, il Boss ha raccolto i cartelli con le richieste del pubblico. Uno diceva ‘The Last Time’. È una canzone dei Rolling Stones, ma era perfetta per la serata. Mai suonata e mai provata, così è stato detto, o forse dopo un po’ di anni hanno tutti cominciato a credere che sia andata così. È stata eseguita immediatamente, perfettamente. Il finale ha visto una versione travolgente di ‘Kitty’s Back’, lunghissima, quasi ogni componente della band ha fatto il suo assolo. Grandiosa. Poi ‘American Land’, la canzone su chi è arrivato in America, ha lavorato duro per costruire con le proprie mani il nuovo paese, morendo nei campi e nelle fabbriche. Una canzone anche su chi continuerà ad arrivare in America, nonostante tutto. Per cercare una casa. Alla fine di ‘American Land’ sono partiti i fuochi d’artificio. Saluti e delirio. Ma poi…ancora una. L’ultima davvero. ‘Jersey Girl’. Canzone scritta da Tom Waits per la moglie Kathleen, cover di Bruce Springsteen amatissima e immancabile nei concerti nel suo New Jersey. Patti Scialfa è la ‘Jersey girl’ del Boss, cresciuta a Deal nel Jersey Shore, di fronte all’oceano. E c’è una seconda ‘Jersey girl’, con un forte un legame musicale e intellettuale con il Boss: Patti Smith, quella di ‘Because The Night’, una canzone nata dalla loro collaborazione, cresciuta tra Pitman e Depford Township, New Jersey. Ritornello con un semplice ‘sha la la la la, la la la la’. Cantato in coro dallo stadio intero, forse da tutto il Meadowlands. ‘I’m in love with a Jersey girl’. L’ultimo concerto al Giants Stadium è finito con una dolcissima canzone d’amore. Con Bruce che ha alzato al cielo la sua chitarra con il braccio destro teso. Ha salutato uno per uno i membri della band e se ne è andato per ultimo, abbracciato ancora una volta a Clarence Clemons, per aiutarlo a scendere dal palco. ADDIO ANCHE ALLO SPECTRUM Pochi giorni dopo aver detto addio al Giants Stadium, la E Street Band ha ritrovato le stesse sensazioni a Philadelphia. Un altro impianto storico a fine vita. Lo Spectrum era un palazzo da 18 mila posti, costruito negli anni 60. Aveva ospitato i 76ers della NBA e i Flyers della NHL. E tantissimi concerti, ovviamente. Bruce Springsteen ha tenuto 42 show allo Spectrum. A soli 150 chilometri dai suoi luoghi del New Jersey, era quasi casa, con una solida base di fan devoti e sinceri. C’era un legame speciale soprattutto per un motivo: il primo concerto in assoluto in un grande impianto, nel 1976. Il battesimo del Boss nei grandi spazi che poi diventeranno il suo territorio. Era il 20 ottobre del 2009, era l’ultimo concerto del Boss allo Spectrum ma non l’ultimo in assoluto, perché l’impianto lo hanno chiuso i Pearl Jam il 31 ottobre. La demolizione è iniziata nel 2010. Un’altra palla d’acciaio era pronta ad entrare in azione, a cancellare tutto. Springsteen ha eseguito ‘Wrecking Ball’, adattando il testo allo Spectrum e a Philadelphia. La seconda strofa è diventata: Now my home away from home in here in the City of Brotherly Love where they made cheesesteaks as big as airplanes Here where the blood is spilled, the arena's filled, and Dr. J played the game… Niente zanzare del New Jersey, i sandwich con carne e formaggio grandi come aeroplani erano tipici di Philadelphia, la Città dell’Amore Fraterno. L’arena stracolma aveva ammirato Dr. J, Julius Erving, campione NBA nel 1983, MVP nel 1981. Uno dei giocatori più spettacolari nella storia del basket, strapotere di fisico e talento, la forza che diventa estetica, la schiacciata trasformata in forma d’arte come nessuno prima di lui, staccando molto distante dal ferro. Bruce Springsteen ha cantato i luoghi dello sport e della musica, nei luoghi dello sport e della musica. Non solo ‘Glory Days’, altra sua canzone storica, anche i tempi duri. I giorni in cui si perdono in un colpo i nostri anni e i nostri ricordi. C’è un po’ di malinconia, non c’è paura. Nello sport e nella vita ci saranno sempre altri luoghi dove ricominciare.

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'Wrecking Ball': l'omaggio del Boss al Giants Stadium