Shedeur Sanders, il draft NFL e 42 ore di psicodramma collettivo

Nella storia di Shedeur Sanders, nella storiaccia di Shedeur Sanders, nella storiella di Shedeur Sanders, che ieri, venerdì 9 maggio, ha iniziato il suo percorso professionistico nella NFL con i Cleveland Browns, c’è mezza America, nel bene e nel male. La storia di un buon giocatore di football dal nome non comune e dal cognome comune ma nobilitato dalla notorietà del padre, Deion, ora 57 anni, uno dei più grandi atleti nella storia recente dello sport americano, capace di giocare nella NFL e nella MLB praticamente in contemporanea: football dal 1989 al 2005, sia in attacco sia in difesa, baseball dal 1989 al 2001, ad eccezione del 1996 e del 1998-2000. ‘Prime Time’, soprannome datogli da un amico e subito assorbito con entusiasmo, è stato l’unico ad aver giocato sia una World Series sia due Super Bowl e ad andare vicino a giocare nello stesso giorno una partita NFL e una MLB, oltretutto di playoff, anche se dopo l’arrivo con volo privato da Miami a Pittsburgh, quell’11 ottobre 1992, in realtà non fu utilizzato dagli Atlanta Braves in gara5 della serie contro i Pirates. 830 partite complessive tra i due sport, football e baseball, che aveva memorabilmente soprannominato ‘moglie e amante’, per definire il legame più profondo e duraturo con il primo e quello forse più emozionante ma saltuario con il secondo. Un fenomeno che del resto già al college, Florida State, era riuscito il 16 maggio 1987 a giocare una partita di baseball alla mattina, a correre la staffetta 4x100 all’ora di pranzo e giocare una seconda partita di baseball al pomeriggio, vincendo il titolo regionale come membro della squadra di atletica e di baseball. Mai timido nel parlare di sé, mai renitente alla pubblicità, Deion Sanders non è stato quindi solo un atleta formidabile ma anche uno dei grandi personaggi dello sport americano degli ultimi 40 anni, come uomo-immagine, commentatore televisivo, rapper, mentore di giovani giocatori e persino fondatore di un liceo con varie sedi in Texas, esperienza peraltro finita malino, con debiti con il fisco, mancato pagamento dei contributi e influenze indebite come il reclutamento di giocatori da altri licei, teoricamente vietato. Sposato due volte, con Deiondra e Deion Jr nati dal primo matrimonio e Shedeur , Shilo e Shelomi dal secondo, Sanders non poteva non dominare emotivamente anche la vita della sua famiglia, al netto del fatto che ogni nucleo di persone sviluppa dinamiche proprie e che le colpe o i meriti dei padri non necessariamente cadono sui figli. Gli effetti del clamore mediatico in cui però vivono i Sanders da decenni hanno cominciato ad allargarsi nei giorni del draft NFL, la procedura con cui le squadre selezionano i giocatori usciti dall’università. Shedeur, quarterback che secondo alcuni avrebbe potuto e dovuto essere scelto entro le prime cinque posizioni, è stato alla fine chiamato al quinto giro e terzo giorno di cerimonia, dopo altri 143 giocatori, e le 42 ore di attesa prima che venisse fatto il suo nome dai Cleveland Browns sono stati il principale tema dell’evento, tale da oscurare le vicende di tutti gli altri atleti, persino quella di Barryn Sorrell, un difensore che aveva accettato l’invito ad attendere con molti altri la chiamata nella apposita saletta, la Green Room, salvo dover aspettare, da solo, fino alla numero 124. Effettuata proprio dalla squadra locale, i Packers, e lì Sorrell ha sfogato la frustrazione e al tempo stesso la soddisfazione toccando con vigore lungo il corridoio, quasi a volerselo imprimere sul palmo delle mani, il celebre logo con la G, poi salendo sul palco dove ha commentato in lacrime un momento che ricorderà per tutta la vita. Shedeur è stato chiamato qualche minuto dopo e ha festeggiato in maniera vistosa, gettandosi nella piscina di casa, ripreso da Shilo, che è invece poi finito a Tampa Bay ma come semplice free agent, cioè giocatore libero da vincoli perché non scelto nel draft, che si conclude con la chiamata numero 257. Oltre alla lunga attesa, il ragazzo il giorno prima aveva dovuto digerire pure un pessimo scherzo telefonico ordito da Jax Ulbrich, figlio dell’allenatore della difesa di Atlanta, Jeff: segnatosi il numero di telefono di Shedeur, rimasto visibile in un tablet che il padre aveva lasciato su un tavolo, Jax lo aveva chiamato fingendo di essere Mickey Loomis, general manager dei New Orleans Saints, per annunciargli la imminente chiamata al numero 40, dunque in una posizione comunque inferiore al previsto ma molto più dignitosa di quella effettiva. Scherzo davvero disgustoso, che ha procurato ad Atlanta una multa di 250.000 dollari e al coach di 100.000, e qui sì che le già citate colpe dei padri diventano quelle dei figli, a danno dei padri stessi. Quelle 42 ore, però, sono state uno psicodramma collettivo che ha in parte specchiato i tempi voraci in cui viviamo, evidenziati nei giorni scorsi dall’ossessività con cui è stato coperto ogni minuto di attesa dell’elezione papale: nel momento in cui un giocatore viene dato favorito per le primissime posizioni di scelta, e invece squadra dopo squadra non lo chiama, la tensione e il clamore si accumulano, peggiorate dalla naturale sosta di quasi 24 ore tra il primo turno, sera del 24 aprile, e il secondo e terzo, sera del 25, e rese ancora più drammatiche dalla ulteriore attesa di altre 18 ore prima del quarto, iniziato sabato 26 all’ora di pranzo. Vuoti operativi che sono diventati una sofferenza per tutti: la suspense tra le chiamate, distanziate di circa 10’, la sorpresa o la delusione, e infine, appunto tra le sessioni, uno scatenarsi di illazioni, ipotesi e furore vero, come quello della figura leggendaria del panorama mediatico americano chiamata Mel Kiper Jr, un signore ormai 64enne dalla chioma improbabile che dal 1984 è lo specialista del draft per la rete ESPN, ruolo che si procurò con intraprendenza e coraggio quando era ancora studente. Anno dopo anno, Kiper ha come unico lavoro annuale quello di studiare i giocatori di college e determinare la loro posizione di scelta nel draft, e poco importa che statistiche recenti dimostrino come il suo grado di precisione sia inferiore al 25%: come avviene per certi esperti di geopolitica, sport, sanità, economia , la loro posizione è inamovibile a prescindere dalla correttezza o meno delle loro analisi. Forte di questi costanti insuccessi senza conseguenze, Kiper ha perso il controllo quando ha visto che nessuna squadra aveva scelto Shedeur non solo entro le prime cinque posizioni, come aveva predetto indicandolo come quinto giocatore più forte a disposizione e miglior quarterback, ma neppure al primo, secondo o terzo giro: “È uno schifo, non capisco cosa stia succedendo, non era mai capitato in 47 anni che un giocatore che avevo indicato al quinto posto cadesse così in basso”. E poi, “le squadre NFL hanno storicamente problemi a valutare i quarterback e la caduta di Sanders ne è l’ennesima dimostrazione. Quando noi parliamo di quarterback sappiamo quel che diciamo, loro no” e così via, in un crescendo condiviso da altri commentatori. Alcuni hanno tirato in ballo la carta del razzismo, in questo caso grottesca se si pensa che il primo giocatore chiamato, il quarterback Cam Ward, è afroamericano e ha tutto per non piacere ai tradizionalisti, dato che ha vestito la maglia di ben tre college diversi. Quindi, cosa è successo di così sconvolgente da portare persino il presidente Donal Trump, che oltretutto era a Roma per il funerale di Papa Francesco, a postare una frase come “ma cos’hanno che non va i proprietari delle squadre NFL, sono SCEMI?”? In parte è un effetto del Sandersismo paterno, della personalità esuberante e avvolgente di Deion: che è stato il coach di Shedeur al liceo, nella prima e nella seconda università, Colorado, dove il ragazzo in due anni ha avuto statistiche eccezionali, vincendo nel 2024 - per quel che contano questi riconoscimenti - il Johnny Unitas Golden Arm Award, un premio intitolato ad un leggendario quarterback e assegnato ogni anno al migliore del ruolo a livello universitario, tra i giocatori all’ultimo anno. Colorado, anche per merito dei due Sanders e di un talento eccezionale come Travis Hunter, eccellente sia in attacco sia in difesa e scelto al numero 2 del draft, è stata la squadra più seguita dell’ultimo biennio, anche se non è stata neppure selezionata per i playoff del college, e questo ha contribuito ad aumentare la popolarità di Shedeur, una superstar mediatica in poca confidenza con la modestia, come può apparire anche dalla sua bio su X, che consiste in una sola parola: LEGENDARY. I contro, dunque: eccesso di protagonismo, atteggiamento di chi pensa che tutto gli sia dovuto, tendenza pubblica a rimproverare i compagni di squadra, braccio e precisione non ideali, atletismo non eccelso. Gli ultimi due aspetti vanno spiegati: in termini grossolani, la differenza tra un grande quarterback e un quarteback mediocre, nella NFL che è enormemente più competitiva del college, può essere in quei cinque centimetri tra il lanciare la palla verso la mano buona del ricevitore e lanciarla sul corpo, il che lo costringe a rallentare e a subire il placcaggio, può essere nel far passare il pallone in uno spazio ridottissimo, dunque con la velocità che toglie di mezzo l’intervento del difensore, può essere nel saper leggere - e a volte pare quasi una dote istintiva, da occhi dietro la testa - la pressione difensiva e muoversi di quel poco che basta per creare spazio e tempo e lanciare. E a Colorado Sanders è stato placcato ben 94 volte in situazioni del genere, segnale di una sua incapacità di sfuggire al pericolo o di una sua testardaggine nel credere di poterlo fare. Secondo alcuni commentatori sono questi i difetti che impedirebbero a Sanders di diventare un quarterback titolare di alto livello nella NFL, ed è possibile che molte squadre, di fronte a questa realtà, abbiano deciso che non valeva la pena di correre il rischio: che è quello del bagaglio mediatico che Shedeur si porta appresso, e di cui si erano avute avvisaglie nel lungo, lunghissimo periodo tra la fine della stagione di college, novembre, e il draft. Ad esempio il post, su X, in cui Sanders elencava i quarterback di college con la migliori percentuali di lanci completati della storia commentando con il solito LEGENDARY, e in cima a quella classifica ovviamente c’era egli stesso. Non è piaciuto inoltre a molti general manager e allenatori il fatto che Shedeur abbia affrontato i colloqui pre-draft con fare apparentemente distratto e arrogante, soprattutto - ma non è confermato - quando di fronte a lui c’erano i responsabili di squadre da cui non avrebbe voluto essere scelto, e questo tema delicatissimo riprende quanto più volte avrebbe detto o postato Deion, che via social aveva più o meno fatto capire che mai avrebbe voluto veder finire il figlio in determinati club, a suo avviso mal gestiti e mal allenati o con un livello di talento insufficiente. E un altro sospetto, non surreale, che un giorno un proprietario o un general manager abbiano la tentazione, o la pressione, di assumere Deion come coach o almeno allenatore dell’attacco, nella speranza di massimizzare il rendimento di Shedeur. Tutte nubi legittime che probabilmente si sono mescolate a formare un temporale che ha sommerso le speranze di Shedeur. Che - attenzione - non è tutta arroganza e senso di appartenenza ad una categoria privilegiata. È un 23enne nato ricco e cresciuto ricco che sa anche esibire - che siano spontanei o meno è discorso complicato - momenti e frasi umili, e che nel peggiore momento della sua vita, mentre veniva ignorato dalle squadre in diretta tv, non ha comunque voluto fare la vittima e non si è strappato i capelli, esultando appunto alla notizia della sospirata chiamata da parte dei Browns e ringraziando Dio, entità che a dire il vero viene scomodata un po’ troppo da atleti e non solo, ma fa parte del gioco e dell’immagine. Ora Sanders dovrà trasformare la voglia di rivincita in fatti concreti, grazie all’inizio del cosiddetto rookie minicamp, ovvero della breve sessione di allenamenti riservata ai nuovi giocatori. Il primo contatto vero con chi ti ha scelto e messo sotto contratto, il primo approccio con la tattica e la tecnica, perché i coach cominciano a darti il playbook, ovvero il libro degli schemi, centinaia di variazioni da imparare a memoria e soprattutto applicare in campo nel mezzo della battaglia, e cominciano a scrutinarti e osservare movimenti delle gambe, delle braccia, delle mani e persino della testa, perché nessun quarterback effettua passaggi senza guardare - anche quelli di calciatori come Ronaldinho non erano reali lanci ‘no-look’, visto che i diretti interessati in realtà giravano la testa durante o dopo il gesto, non prima - ma è comunque importante dissimulare il più possibile il bersaglio per non favorire i difensori. E tutto questo avviene a Cleveland, altro elemento di disturbo della vicenda Shedeur. Perché i Browns, negli ultimi anni, hanno dato preoccupanti segni di gestione incerta, con errori clamorosi come il contratto di cinque anni e 230 milioni di dollari offerto a DeShaun Watson, il quarterback acquisito da Houston il 18 marzo 2022. Contratto totalmente garantito, ovvero quei 230 milioni gli vengono versati tutti qualsiasi cosa accada, anomalia peraltro sempre più diffusa in una NFL che solitamente, al contrario di quanto accade nella NBA, ti paga solo finché giochi, ma se ti taglia non ti paga più, secondo le regole del contratto collettivo di lavoro. Watson da mesi era sotto accusa per decine di denunce per molestie sessuali a massaggiatrici, e l’entità della cifra garantita fu subito accolta con perplessità da moltissimi addetti ai lavori, perplessità purtroppo confermata dal disastroso percorso del giocatore: primo anno iniziato alla settima partita per la squalifica inflitta a causa del procedimento giudiziario e chiuso con statistiche pessime, secondo anno chiuso a novembre per frattura alla spalla, terzo anno a ottobre per rottura del tendine d’Achille, con ricaduta a gennaio 2025 che mette in pericolo il suo rientro per la prossima stagione. Malino, ma Watson fino a prova contraria è il quarterback titolare del Browns, che nella rosa hanno anche Kenny Pickett, arrivato da Philadelphia con cui, da riserva, ha vinto l’ultimo Super Bowl, il super-esperto Joe Flacco, 40 anni, vincitore del Super Bowl del 2013 con Baltimore, e Dillon Gabriel. Che è stato scelto nel draft di quest’anno al numero… 94, quindi molto prima di Sanders nonostante i giudizi non eccezionali di parecchi esperti di draft: Jordan Reid, collega di Kiper ma molto più giovane, lo aveva collocato al nono posto della sua graduatoria per il ruolo. A quanto pare, una situazione non studiata a tavolino: Andrew Berry, il general manager, ha detto “non era un progetto concreto quello di scegliere due quarterback, ma la nostra filosofia è quella di chiamare il miglior giocatore disponibile quando è il nostro turno, a prescindere dal ruolo, e non ci aspettavamo certo che Shedeur fosse ancora libero”. Parole confermate dai fatti: al di là dell’amicizia di lungo corso tra Deion e Jimmy Haslam, proprietario della squadra, e Bill Musgrove, allenatore dell’attacco, per poter chiamare Shedeur Cleveland ha ceduto le posizioni di scelta numero 162 e 192 a Seattle in cambio della numero 144. Quindi, visto che Sanders era ancora libero, i Browns non se lo sono trovato per caso ma hanno realmente cercato di prenderlo. Ed è anche per questo che, nonostante la delusione per le quasi 48 ore di attesa, Sanders li ha ringraziati. Sanders è ora teoricamente al gradino più basso dei cinque QB in rosa e deve risalire da qui a fine agosto almeno al terzo posto, perché normalmente le squadre NFL giocano con un quarterback titolare, una riserva e un terzo che resta a disposizione in caso di infortunio. Rarissimamente sono quattro i QB, anche al netto della situazione incerta riguardante Watson, per cui in questi mesi Shedeur si gioca il posto e una parte di futuro, al di là dei circa 44 milioni persi a causa della caduta nelle posizioni di scelta. Caduta, e qui torniamo ai massimi sistemi, che checché ne dicano Kiper e colleghi, è un concetto incerto: i media meno malati di retorica sottolineano ogni anno come i discorsi di ‘salita’ o ‘discesa’ dei giocatori nei vari draft ipotetici siano illusori, perché basta parlare con un GM che elogia un atleta - in genere in forma anonima, per non compromettersi - per pensare che tale atleta abbia una reputazione crescente, mentre si tratta quasi sempre di un inganno tacitamente accettato da esperti di draft e tifosi, spesso ossessionati da questi temi come da noi lo sono sul calciomercato, e dunque fervidamente bisognosi di sapere se un certo giocatore è in ‘ascesa’ o ‘caduta’. Che si sconfini nel delirio e nel tifo malato lo conferma anche la tristissima vicenda di un tifoso di Colorado che ha fatto causa alla NFL, chiedendo 100 milioni di dollari, le scuse ufficiali e una modifica delle procedure, per lo ‘stress emotivo e il trauma’ causatigli dalla discesa di Sanders nel draft. Ora, i deliri di un tifoso non dovrebbero nemmeno essere presi in considerazione, ma sono di per sé una notizia e un segnale della febbre. Sulla quale ovviamente la NFL specula, tanto che ospitare il draft è diventata per molti club un’alternativa quasi accettabile ad un Super Bowl: Green Bay, nonostante uno stadio magnifico e l’atmosfera unica da piccola città dell’estremo nord, una finale non la ospiterà mai, ma intanto ha accolto la cerimonia guadagnandone in ulteriore pubblicità. Che poi sia surreale che 700.000 persone si radunino in uno spiazzo, come accadde a Detroit nel 2024, per sentir annunciare dal palco nomi di giocatori in buona parte sconosciuti, dato che in genere solo quarterback e pochi altri sono superstar di notorietà diffusa, è altro discorso: che parte anche dall’ossessione americana per le celebrità, a volte imposte dai media ad un pubblico che solo in rari casi decide con la propria testa.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Shedeur Sanders, il draft NFL e 42 ore di psicodramma collettivo

Roberto Gotta