Padre, figlio, Freeman: l’origine di un campione

Padre e figlio. Un rapporto fondamentale nello sviluppo emotivo e psicologico delle persone. Può creare fratture e conflitti, oppure può creare una connessione tra passato e futuro, una dinamica di crescita personale che migliora entrambi. La stagione MLB 2024 ha molto a che vedere con il rapporto speciale che si crea nel baseball tra un padre e un figlio, con tutto quello che accade in campo e fuori. Freddie Freeman, 35 anni, prima base dei Los Angeles Dodgers, è decisamente l’uomo dell’anno nel baseball e forse in tutto lo sport USA. Se andate a vedere chi è stato eletto MVP del 2024, troverete Aaron Judge per l’American League e Shohei Ohtani per la National League . E ci sono ottimi motivi, ci sono tanti fuoricampo e tanti numeri convincenti. Ma le cose della vita spesso prendono il sopravvento e influiscono sullo sport e su cosa fai in campo, su come lo fai. È qualcosa che conta più dei record e delle prestazioni. È la vera ispirazione che cerchiamo da un campione. Ci sono anche i record e le prestazioni, comunque, per Freddie Freeman. Ha vinto la World Series con i Dodgers, battendo in 5 partite i New York Yankees nella finale del baseball più attesa degli ultimi anni. È stato eletto MVP della finale. Ha fatto fuoricampo nelle prime 4 partite della serie e ha stabilito il record di 6 partite consecutive con un fuoricampo nella World Series, perché veniva da quelli realizzati nelle ultime due partite della serie vinta con Atlanta nel 2021. Ha battuto a casa 12 punti nella finale, pareggiando il record di Bobby Richardson, stabilito nel 1960. Ma Richardson, seconda base degli Yankees, lo aveva fatto in 7 partite, Freeman ha fatto segnare 12 punti alla sua squadra in sole 5 partite. Inoltre, Richardson aveva perso il titolo nel 1960 , mentre Freeman ha guidato la sua squadra alla vittoria. In Gara 1 ha chiuso la partita con il gesto più bello e definitivo del baseball, un grande slam, un fuoricampo a basi piene che vale 4 punti. Se lo fai, come Freeman, nell’ultimo attacco, mandi tutti a casa. È stata la prima volta nella storia che una partita della finale è stata decisa da un fuoricampo a basi piene. La serie di fuoricampo consecutivi si è interrotta in gara 5, ma la sua battuta valida con due punti portati a casa nella quinta ripresa ha guidato la rimonta dei Dodgers. Clutch hitter. Così è sempre stato descritto Freddie Freeman nella sua carriera. Un battitore che sa esprimersi al momento giusto. Arriva e assesta il colpo vincente. “A volte mi sembra di entrare in una zona dove spazio e tempo si modificano un po’, sembra che tutto rallenti. E giro la mazza solo se arrivano i lanci giusti”. Ha provato a spiegarlo così, Freeman. Un momento di sospensione, di concentrazione talmente intensa da riuscire a distinguere ogni frazione di secondo. Stiamo parlando di un campione, dunque. Di un sicuro ingresso nella Hall Of Fame. In 15 anni di carriera, ha vinto due titoli, è stato nominato 8 volte per l’All Star Game, è stato MVP della National League nella stagione 2020, tre volte è stato eletto miglior battitore, 1 volta anche Gold Glove come miglior difensore nel ruolo di prima base. Eppure, tutto questo non racconta tutto di Freddie Freeman. La stagione 2024, trionfale alla fine, è stata diversa. La sua peggiore dal 2015. Ha giocato 147 partite con 22 fuoricampo, una media battuta di .282 e 89 punti battuti a casa. Statistiche che farebbero felici giocatori di livello medio-alto in MLB. Non Freeman. È stata una stagione dove il baseball era diventato relativo, le cose della vita a volte prendono il sopravvento. Lo hanno preso all’inizio di luglio, quando il figlio Max, tre anni, si è alzato una mattina sentendosi debole e zoppicando un po’. È peggiorato in poche ore, verso sera non riusciva più a camminare. Un bimbo vivace si è ritrovato paralizzato, con una rapidità sconcertante per i genitori, Freddie e Chelsea Freeman. È stato ricoverato nell’ospedale pediatrico di Orange County, attaccato ad un respiratore. Sindrome di Guillain-Barrè. Una forma di polineuropatia acquisita, una malattia autoimmune, i nervi vengono attaccati dal sistema immunitario come se fossero le molecole di un agente infettante. Freeman ha lasciato la squadra, non poteva stare in un altro luogo che non fosse la stanza dell’ospedale di Orange County. Quando la situazione è migliorata e i medici hanno dato garanzie di un lento ma progressivo recupero, Freeman è tornato a pensare al baseball, a giocare a baseball. Ma è un’esperienza che lo ha accompagnato nelle settimane successive. Non ha mai dimenticato Max, nemmeno nel momento della sua felicità più grande, con in braccio il trofeo della World Series da una parte e dall’altra il trofeo di MVP. Tutte cose che considerava un extra. La cosa più importante era che Max fosse a casa, stesse bene. Nelle dichiarazioni dopo la vittoria e in particolare dopo quell’incredibile grande slam di gara 1, è stato protagonista un altro elemento della famiglia Freeman. Frederick Freeman, detto Fred, il padre di Freddie. Famiglia di origine canadese, entrambi i genitori vengono dall’Ontario. Si sono trasferiti in California per impegni di lavoro e lì sono rimasti. L’altro impegno preso da Fred nei confronti del figlio era il baseball. Interminabili sessioni di batting practise, il più grande lancia, il più piccolo colpisce la palla con la mazza. Dopo il fuoricampo vincente di gara 1, Freddie ha indicato la tribuna dietro casa base dove stava seduto il padre. Alla fine del giro sulle basi è corso verso di lui. Non poteva abbracciarlo, ci sono le reti di protezione per il pubblico in quel punto, ma ha afferrato le sue mani, le ha strette forte ed entrambi hanno urlato selvaggiamente la loro gioia. “Mi ha allenato fin da quando conservo dei ricordi. Senza il suo amore per il baseball io non sarei qui. Questo non è il mio momento. È il suo momento. Sono quello che sono grazie a lui”. L’omaggio di Freddie al padre. Un padre che c’è sempre stato, una guida sicura alla scoperta del mondo, per acquisire sicurezza e fiducia. Il piccolo Freddie era anni avanti ai suoi coetanei. Ha giocato regolarmente nelle squadre di quelli che avevano due anni più di lui ed era comunque il più forte. Il padre lo ha formato, forse deve a lui anche il suo swing non proprio ortodosso, in cui muove leggermente le spalle prima di abbassare le mani e colpire. Qualcosa più simile a un diritto nel tennis. L’effetto è terribilmente efficace. Un padre che c’è sempre stato soprattutto perché la madre Rosemary è morta quando Freddie aveva 10 anni. Melanoma. La famiglia aveva già conosciuto il significato del nome di una malattia terribile, prima di quello che è capitato al piccolo Max lo scorso luglio. Fred senior è sempre stato vicino al figlio, anche durante i playoff 2024. Il 26 settembre, nell’ultima partita di regular season dei Dodgers in casa, Freddie si era infortunato seriamente alla caviglia. È rimasto fermo qualche giorno, poi si è rifiutato di lasciare la squadra proprio mentre arrivava la postseason. Ci ha provato. È riuscito a giocare in 4 delle 5 partite del primo turno, le Division Series contro San Diego. Ha fatto 4 battute valide in 14 turni, poco o niente, la caviglia era diventata una specie di malattia autoimmune, stava attaccando il resto del suo corpo e mettendo alla prova la capacità di sopportazione del dolore. Nella finale di conference contro i Mets è apparso decisamente chiaro che Freeman stava giocando su una gamba sola. Solo tre valide. In gara 6, quando i Dodgers hanno chiuso la serie, lui non era nel lineup. Era rimasto fuori. Doveva fermarsi per guarire, in un momento in cui non poteva fermarsi. È arrivato così a giocare la World Series. Un giocatore di 35 anni, un po’ in declino, che non poteva appoggiare un piede per terra. Il padre Fred lo accompagnava tutti i giorni allo stadio. Stava con lui mentre Freddie veniva sottoposto a ogni possibile cura e trattamento per 5 o 6 ore, per togliere qualche percentuale di dolore a una caviglia che non sarebbe mai guarita in tempo. È stata la routine indispensabile che gli ha consentito di scendere in campo. I suoi compagni vedevano Freeman seguito da medici e fisioterapisti per ore, senza alcuna intenzione di rinunciare. È stata una motivazione enorme. E nella serie finale contro gli Yankees, poi, è stato quello che è stato. Ora si vede meglio perché è stata un’impresa straordinaria. Il fuoricampo di gara 1 ha ricordato a tutti uno degli episodi più famosi della storia del baseball: il fuoricampo di Kirk Gibson, sempre in gara 1, nella finale del 1988 tra Dodgers e Oakland A’s. Gibson era completamente rotto, uno stiramento alla gamba sinistra e il ginocchio destro gonfio come un melone. Non sapeva nemmeno con quale gamba zoppicare di più. Non giocò, ma fu messo dentro nella nona ripresa in battuta, ultimo disperato tentativo del manager Lasorda per recuperare la gara. Se fosse stato eliminato, i Dodgers avrebbero perso. Gibson poteva fare solo una cosa utile, visto che non riusciva a camminare: fare fuoricampo. Lo fece. Il suo giro delle basi strascicato e traballante è leggenda. Freeman è riuscito a correre, è riuscito a fare meglio di Gibson perché il suo è stato un grande slam. Più di ogni altra cosa, è riuscito a giocare con l’atteggiamento giusto nonostante tutto. Ancora una volta ha guadagnato l’ammirazione del mondo del baseball. È sempre stato il classico bravo ragazzo. La faccia pulita, i lineamenti aggraziati, naturalmente portato ad essere gentile e socievole. Il giocatore preferito dagli avversari per le chiacchierate che scambia con tutti quelli che arrivano in prima base e passano un po’ di tempo vicino a lui. Adorato dai suoi allenatori, sempre indicato come il giocatore di cui non si potrebbe mai fare a meno. Grande senso di responsabilità e di dedizione, un modello di comportamento che fa parte dei valori ereditati dal padre, fondamentali nella formazione della sua identità. Certi esempi vengono raccolti e anche superati, a volte. “È più tosto di me, non ci sono dubbi. Non so chi avrebbe potuto sopportare tutto questo”. L’omaggio del padre Fred al figlio, campione MLB e MVP della World Series. Freeman ha giocato una finale da record, nelle settimane successive ha potuto pensare a come risolvere il problema alla caviglia destra. È stato operato per rimuovere i tessuti lesionati e i frammenti che vagavano liberi e non consentivano la guarigione. Si è anche saputo che durante tutto ottobre ha giocato con un problema alle costole. Mettiamoci anche quello. Non è un miracolo. I miracoli sono cose che accadono e non capisci, non sai nemmeno come e perché. Ci sono campioni che hanno qualità emotive che si abbinano a quello che possono esprimere con fisico e talento. La loro intelligenza emotiva è in grado di superare momenti complicatissimi, a volte perfino infortuni e altre avversità. Freddie Freeman è cresciuto nel sud della California, in una famiglia canadese, le sue radici hanno varie ramificazioni e le ha sempre onorate. Ha scelto di giocare le competizioni internazionali con la maglia del Canada per ricordare la madre scomparsa. Non perché lei lo avesse chiesto, aveva solo 10 anni e nessun pensiero su quale nazionale scegliere in futuro. Semplicemente, avrebbe fatto piacere alla madre Rosemary. Ne era profondamente convinto, ha sempre sentito che fosse la cosa giusta da fare. Il baseball viene dopo. È un gioco, dove dare tutto sé stesso, ma dopo aver messo certe cose al loro posto. E qui torniamo ai valori, tutte quelle cose lì, che fanno tanta retorica, generano solo buoni sentimenti. Uno sceneggiatore qualunque non vedrebbe l’ora di metterci un po’ di cattiveria in questa storia. Spiace, qui non c’è. Freeman è spietato solo nel colpire una palla da baseball al momento giusto. Ha giocato 12 anni ad Atlanta e ci sarebbe rimasto per sempre. Quando è diventato free agent ha provato a prolungare il contratto con i Braves, ma ha rinunciato a cinque anni e 140 milioni di dollari per poi accordarsi con i Dodgers nel 2022 per sei stagioni e 162 milioni. Polemiche? Rancori? Niente. La sua prima volta ad Atlanta da avversario è stata un’emozione fortissima: lacrime in conferenza stampa, lacrime alla consegna dell’anello che aveva vinto nella stagione 2021 con i Braves e un’ovazione del pubblico quando è andato a battere, come raramente si sente per un eroe che diventa un rinforzo del nemico. Non è questione di retorica e buoni sentimenti. Freddie Freeman è un uomo vero. Poi, è anche uno straordinario giocatore di baseball. Il grande slam di Freeman in gara 1 è legato ad un’altra speciale connessione tra padre e figlio. Zach Ruderman è un ragazzino di 10 anni. Il 25 ottobre sapeva che il padre Nico lo avrebbe prelevato da scuola prima della fine delle lezioni. Doveva andare dal dentista per farsi rimuovere l’apparecchio ai denti, non un appuntamento particolarmente piacevole. I genitori gli avevano nascosto una sorpresa: erano riusciti ad avere i biglietti per gara 1 della World Series al Dodgers Stadium. Altro che sedia del dentista. Posto in tribuna sull’esterno destro. Il settore dove è atterrata la palla del fuoricampo grande slam di Freeman con cui i Dodgers hanno vinto la partita. Un mare di fans eccitati che spingevano e cercavano la palla che ha fatto la storia. Come spesso accade, nella confusione la palla è uscita dalla pazza folla, rotolando verso i posti dove era seduta la famiglia Ruderman. Il piccolo Zach l’ha vista prima di tutti, l’ha indicata al padre che l’ha raccolta e l’ha consegnata al figlio. Estasi pura. Festa in tutta la tribuna, nessuno ha avuto il coraggio di ingaggiare una lotta con un bimbo di 10 anni. L’unico che si è lamentato sembra sia stato il dentista che ha dovuto rifissare l’appuntamento. L’esperienza è stata impagabile, dal punto di vista emotivo. Zach e Nico Ruderman racconteranno per sempre quella volta in cui sono diventati protagonisti, un po’ anche loro, grazie all’impresa di Freddie Freeman. L’esperienza è stata pagata molto bene, in realtà. La palla è stata messa all’asta ed è stata venduta per 1 milione e 560 mila dollari. Più del milione e mezzo di dollari della palla del fuoricampo numero 62 del record di Aaron Judge. Sono state pagate di più solo la palla del fuoricampo numero 70 di Mark McGwire del 1998 e la palla del fuoricampo numero 50 di Ohtani di questa stagione . Il fuoricampo di Freeman ha lasciato una ricca eredità, non solo all’interno della sua famiglia.

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Danilo Freri