Sinner, il primo uomo su Marte

Non passa giorno senza che da qualche parte ci sia un titolo su Jannik Sinner. D’altra parte, Google ci informa che la ricerca di qualcosa lo riguardi resta sempre fra le tendenze più costanti: è così dal novembre del 2023. C’è perfino gentaccia del ramo che ha capito perfettamente come restare mediatamente presente, essendo tenue il riflesso del talento: sparlando di Sinner. È stato fra gli atleti migliori dell’anno che va al brindisi. Non sono mai stato interessato alle classifiche oblique, per sport diversi o per epoche distanti. Si va per passioni e per impressioni, concedendo opinioni alla discussione: Sinner sta lì, con Tadej Pogacar, Léon Marchand, Armand Duplantis e fra le ragazze Simone Biles, Sifan Hassan e Caitlin Clark, giovanissima e ormai già intestataria d’un effetto addirittura espanso nel mondo, con l’aumento delle ragazze che scelgono di praticare il basket. Effetto che in Italia si può raccontare nel tennis, a causa del protagonista di questo pezzo: Sinner. La sua stagione è già collocabile ‘storicamente’ dentro l’accaduto dello sport italiano, e si può rintracciare qualcosa di simile nel 1987/88 di Alberto Tomba e il 1949 di Fausto Coppi: anche qui, sono fermo all’incanto, senza cavillare o chiarire le ragioni. Ma dal 2025 - appaiato nelle suggestioni il rivale del suo tempo, Carlos Alcaraz, partito con due anni di anticipo nella raccolta degli Slam - Sinner dovrà misurarsi con la storia del tennis, risalire questa storia. Dunque torneranno i paragoni, ai quali la vile narrazione sportiva si arrende. Non mancheranno mugugni, detrattori, esagerati per ambo i versi, e l’insolenza degli incompetenti e quella ugualmente insopportabile di chi difende il fortino invisibile della conoscenza. Per prendere un esempio da queste giornate festaiole, sarà come dopo la cinquina: si parte per la tombola, non si può tornare indietro. Dopo due Slam - la sfida sottratta al dubbio: riuscirà a vincere uno Slam? - si chiederà al futuro: quanti ne vincerà Sinner? Riuscirà a prendersi Wimbledon? . E soprattutto: Sinner può fare il Grande Slam? Per scampare l’obiezione di farsi queste domande - che nessuno sollecita - per poter argomentare le risposte, contestazione non priva di fondamento, dirò che l’argomento è interessante, non solo per l’eventuale portata ma soprattutto per un discorso sullo sport e sui tempi, per accumulare notizie su un segno dello sport e dei tempi: l’epoca dei dominatori. Probabilmente un’evoluzione della scienza applicata all’esercizio, all’allenamento, alla strategia, al recupero delle energie, alla manutenzione del fisico: quanto più un corpo viene pienamente sfruttato, tanto più la differenza innata si conserverà. Oppure il vantaggio sarà ricavato dalla capacità di sapere resistere ai carichi di lavoro, e comunque resterà tale. Lo sport moderno crea vantaggi di posizione più duraturi, più difficili da scalfire, da aggredire. L’economia che gravita attorno ai campioni, ai vincitori, agli eventi è un ulteriore stimolo per ‘resistere’, per consumare tutto il vigore e la forza, blindando quanto più possibile il vantaggio sugli altri. Nel ciclismo la conoscenza dei watt cristallizza le situazioni, permette un governo matematico della gara, una supremazia della tecnica in un senso diverso a quello romanticamente inteso. Nel tennis l’omogeneità delle superfici ha maggiorato questa tendenza, l’ha facilitata fino a renderla probabilmente evolutiva. L’avvicinamento dei rimbalzi e di conseguenza dei tempi di gioco è cominciata proprio all’inizio dell’epoca dei tre meravigliosi dominatori dell’ultimo periodo, loro - soprattutto Federer e Nadal - ancora cresciuti negli anni Novanta, in una stagione ‘diversa’, con le sue superfici ‘estive’, terra e erba, ancora distanti per resa ed effetto, con il veloce indoor assai meno gestibile del cemento odierno, e infatti arrivati nel circuito con stili e attitudini diverse. Anche nei 65 Slam di Federer, Nadal e Djokovic c’è già l’impronta di questa omogeneità che favorisce i domini, indebolendo le ragioni dei tennisti più marcati, più accentuati su alcune qualità che superfici diverse un tempo avrebbero esaltato. La conseguenza è la scomparsa dei ‘caratteristi’ del gioco, o la loro inconsistenza. Adesso abbiamo raccolto un po’ di stimoli di varia natura e possiamo tornare alla questione enorme del paragrafo precedente - cosa può fare Sinner. Che si è conquistato il Numero Uno su ogni campo, in ogni settimana mettendo distanza in partite che lo vedevano contorcersi per complessità tattica: contro Medvedev, Dimitrov e anche Djokovic, che gli ha offerto il privilegio di essere superato sul campo prima ancora che nella graduatoria. I progressi nei colpi e nel fisico si sono naturalmente trasmessi nel gioco, la facilità del tennis a rimbalzo s’infiltra balsamica nella testa, spingendo Sinner a osare soluzioni diverse, mostrando crescente agio. Sembra in lui chiara la strada eppure sembra distante l’arrivo: negli atleti eccezionali le dimensioni della speranza sono illimitate. Se in alcuni casi il talento sembra opera del caso, in lui sembra il lavoro di un demiurgo benevolo e ispirato: tutto quello che sa fare è utensile, serve. L’uso di sé stessi esalta e alimenta quella forza e quella speranza. Sinner è pronto a occupare un posto nuovo, o dimenticato. A usurpare un limite che nel tennis esiste e resiste da un po’ di tempo: si chiama Grande Slam. L’ultimo fu Rod Laver nel 1969, lo stesso anno in cui l’uomo mise piede sulla Luna. Un po’ di storia: il 9 settembre di 55 anni fa, l’australiano Laver battendo in quattro set il connazionale Tony Roche concluse il suo secondo Grande Slam, primo dell’era Open , secondo della sua carriera dopo quello del 1962, conquistato da dilettante . Nel 1969, è noto, il 21 luglio Neil Armstrong mise un piede sulla Luna, erano le 02.56 Utc : Buzz Aldrin arrivò 19 minuti dopo. Nel frattempo, l’uomo di scienza si è annoiato del nostro unico satellite naturale - alle 05.40 del 14 dicembre 1972 Eugene Cernan tornò a bordo dell’Apollo 17, dopo aver impresso sul suolo le iniziali della figlia: fu l’ultima presenza dell’uomo sulla Luna. Ma nessun atleta, nessun tennista è riuscito a ripetere l’impresa di Laver. Solo due ragazze . Cinquantadue anni dopo l’allunaggio e lo Slam di Laver - dunque nell’estate del 2021 - l’uomo comune è tornato nello spazio, ma per piacere di farlo, per turismo e curiosità. E l’uomo non comune è arrivato a una partita, una sola ma nel caso quella partita era l’ultima dal Grande Slam. Novak Djokovic aveva vinto in Australia, a Parigi, a Londra ed era in finale negli Us Open contro un posseduto Medvedev. Forse appaiato dal solo Lebron James, il serbo è il maggiore e più tenace sportivo capace di combattere contro gli avversari del suo tempo e contro l’avversario-tempo: contro la storia. La rarità dello Slam ne fa una delle imprese più difficili dello sport moderno. Non ci sono riusciti Connors, Borg, McEnroe, Lendl, Sampras, Agassi, Federer, Nadal: i maggiori tennisti da allora. Molti di loro non sono mai riusciti a vincere tutti gli Slam anche in anni distanti . Agassi, Federer e Nadal ci sono riusciti, ma non nell’anno solare. Probabilmente, Federer e Nadal si sono privati a vicenda del Grande Slam, ma la loro rivalità ha certamente stimolato entrambi portandoli all’estremo delle vittorie e allo stremo fisico: le rivalità tolgono e danno. Forse, in solitaria avrebbero raccontato un Grande Slam, di sicuro ne avrebbero vinti qualcuno in meno. Anche Djokovic ha vinto tutti gli Slam e in più lo ha fatto consecutivamente : fra Wimbledon 2015 e il Roland Garros 2016. La sua candidatura a compiere l’impresa era dunque perfino più naturale che per gli altri perché ha sconfitto i due grandi rivali del suo tempo nei loro territori: ha battuto due volte Nadal a Parigi , ha tolto tre Wimbledon a Federer, l’ultima annullando due match point . L’immenso Djokovic ha saputo vincere ancora, dopo quella delusione irrimediabile di New York. Si è costruito nelle Olimpiadi un nuovo obiettivo, conquistato con furore ascetico, a meno di due mesi dall’operazione al menisco. Succedeva sulla terra di Parigi, 5 mesi fa: torniamo su nell’Universo. Come abbiamo detto, l’uomo ha abbandonato la Luna ma non ha smesso di cercare nell’Universo quegli indizi del passato per capire e conoscere il proprio futuro. L’uomo avrà sempre bisogno di guardare lontano, di vedere oltre. I campioni servono a questo, a spostare le misure dell’uomo, a vivificare quella speranza, ad accorciare sull’infinito: la Nasa non prevede uomini su Marte prima del 2030 , ma Sinner sicuramente ha altri piani.

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Sinner, il primo uomo su Marte

Marco Bucciantini