La paura fa (anni) Novanta: la crisi di una generazione di tennisti

Tsitsipas, Ruud, Rublev, Medvedev, lo stesso Zverev, Taylor Fritz, rappresentano la generazione di mezzo tra i Big 3 e i nuovi mostri, Sinner e Alcaraz . Ai loro esordi nel circuito, ormai anni fa, erano giocatori acerbi con il diritto di esserlo, giovani promesse che speravano di guadagnare terreno e soprattutto che gli anziani cannibali andassero in pensione. Dieci stagioni dopo, gli ex giovani hanno smesso di essere promesse, non sono più acerbi, sono soltanto invecchiati. Esausti ma inappagati. Sono stati scavalcati prima ancora di essersi tolti la soddisfazione di scavalcare. Mai protagonisti e mai padroni, sempre e solo dignitosissime comparse, necessarie a fare in modo che i campioni, quelli veri, vincessero i titoli importanti. Alexander Zverev a ventisette anni ha giocato tre finali nei tornei del Grande Slam, tutte perse. La prima agli Us Open del 2020 contro Thiem, la seconda al Roland Garros del 2024 contro Alcaraz e infine a Melbourne contro Sinner. È il secondo giocatore più forte del mondo stando al ranking Atp, ma lo ha detto lui stesso, rivolgendosi al vincitore degli Australian Open: “Sei il numero uno e non di poco”. Come a dire, tra me e te c’è un abisso. L’abisso esiste e lo si è visto durante tutto il match. All’abisso tennistico si aggiunge anche quello psicologico, perdere le finali dello Slam aiuta a perdere le finali dello Slam. Il tennista tedesco almeno in finale ci è arrivato. I suoi coetanei, al contrario, sono stati tutti eliminati al primo o secondo turno da veri e propri teenager. Rublev è stato sconfitto al primo turno da Fonseca , Tsitsipas da Michelsen , Medvedev al secondo turno da Tien , Ruud da Mensik . Mentre all’orizzonte si vedono arrivare i ragazzi del Duemila, ragazzi che arrivano da Brasile, Stati Uniti, che hanno origini vietnamite, la vecchia Europa fa retromarcia. A 26 anni Stefanos Tsitispas in carriera ha giocato due finali Slam, perdendo entrambe le volte, prima in Australia e poi a Parigi, contro Novak Djokovic. Quando a Melbourne nel 2019 aveva sconfitto Roger Federer, sembrava fosse lui the next best thing, l’enfant prodige che avrebbe assicurato la continuità del rovescio a una mano nel tennis. Sei anni dopo il greco è fuori dalla top 10 e fuori dalla lista dei favoriti per la vittoria di titoli importanti. Dall’inizio dell’era dei Big 3, dal 2003 in poi, sono stati solo due i giocatori degli anni Novanta ad avere conquistato un titolo Slam: Dominic Thiem a New York nel 2020 e l’anno dopo sempre negli Stati Uniti Daniil Medvedev . La coppia Sinner e Alcaraz, 23 e 21 anni, con 7 titoli in due ha già vinto più di loro. Underdog che non sovvertono mai il pronostico, o non lo sovvertono più, la sconfitta degli anni Novanta la si percepisce soprattutto dalle parole che rivolgono ai loro avversari più giovani. È come se avessero alzato bandiera bianca in partenza, come se avessero ormai decretato la loro inferiorità nei confronti del Duemila. A proposito di Sinner un giorno Ruud ha detto: “Jannik non ti fa respirare”. Fine dei discorsi. Questa assenza di ossigeno la percepiscono tutti in sua presenza, eccetto Carlos Alcaraz. La 'Sincaraz' ha portato il tennis ad una nuova dimensione e ad una nuova velocità, il vecchio tennis ha dovuto prenderne atto senza avere a disposizione un piano B. L’impressione è che i nati negli anni Novanta siano stati doppiamente sconfitti, a inizio carriera prima ancora che dal tennis dal carisma e dall’aura della Golden Age, oggi dall’aggressività e dalla fiducia dei Fantastici Due. Come spesso accade con le generazioni di passaggio, sfortunate anche nel tempismo, i quasi trentenni non possiedono nessuna di queste caratteristiche, soprattutto non possiedono la fiducia. Titoli Slam a parte, per Tsitsipas e compagni ogni avversario è diventato una minaccia. Il problema non è se torneranno a giocare una finale al Roland Garros, il problema è se si qualificheranno per le Finals di Torino.

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