Lo sguardo sempre avanti di Pilic: perché a Djokovic, e non solo, manca così tanto

“Caro Sjor Niko, ho ricevuto la triste notizia oggi mentre ero in campo, alla fine del mio allenamento. Mi ha sopraffatto un senso di vuoto e tristezza. Spero che tu abbia capito quanto hai significato per me nella mia carriera e nella mia vita. Provo eterna gratitudine verso di te e la tua meravigliosa moglie Mija per avermi accolto come un figlio quando avevo 12 anni. I miei genitori e i miei fratelli ti hanno sempre considerato come un membro della famiglia. Quando quasi tutti ci hanno voltato le spalle e il nostro Paese è stato devastato dai bombardamenti, tu e Mija ci avete offerto il vostro sostegno e avete fatto tutto il possibile affinché potessimo continuare a vivere il nostro sogno e praticare lo sport che amiamo. Nonostante il dolore e le emozioni contrastanti che provo, il tuo ricordo e i ricordi dei momenti trascorsi insieme mi riempiono il cuore di gioia e gratitudine. La tua eredità durerà a lungo e le generazioni future guarderanno con grande ammirazione alla tua figura e alle tue opere. Per me, tuttavia, la cosa più importante è poter chiamarti con orgoglio ‘Sjor Niko’, mio padre nel tennis. Riposa in pace”. Il ricordo pubblicato sul proprio profilo Instagram da Novak Djokovic dice tutto e anche di più della figura carismatica e monumentale di Nikola Pilic, scomparso all’età di 86 anni, cinque volte campione jugoslavo di tennis nel singolare, sette volte campione in doppio, vincitore di un titolo di Grande Slam in doppio nel 1970 insieme al francese Pierre Barthés: gli US Open. Ma anche straordinaria guida della squadra serba, che ha condotto alla vittoria della Coppa Davis sulla Francia nel 2010 e di quella tedesca, con la quale ha vinto per ben tre volte la competizione, conquistata anche al comando della Croazia. Vittoria che gli valse da parte della federazione croata nel 2019 una medaglia d’oro al merito per il suo immenso contributo sportivo reso al Paese. Nikola Pilic, sfortunato finalista anche nel singolare al Roland Garros nel 1973 e sconfitto malauguratamente dal rumeno Ilie Nastase, che gli tolse forse il successo che più avrebbe desiderato. Ma indimenticato scopritore di talenti in un’enclave straordinaria di atleti come quella spalatina, dalla quale provengono come lui Željko Franulović e Goran Ivanišević. E chioccia attenta e premurosa di campioni come Boris Becker, Michael Stich e naturalmente Novak Djokovic, sostenuto nella sua accademia di Monaco di Baviera nel 1999, quando era solo ancora un preadolescente. All’improvviso la leggenda del tennis croato ci ha lasciati. E ci ha lasciati tutti un po’ più poveri. È andato via l’unico uomo ad aver capitanato tre diverse nazioni di Coppa Davis, l’unico uomo presente negli snodi storici fondamentali dell’evoluzione moderna del tennis. Sì, perché Pilic era uno dei membri degli ‘otto magnifici belli’, il gruppo pionieristico che ebbe un decisivo ruolo nel far diventare il Wct il primo tour di tennis organizzato negli anni ’60. Quando Lamar Hunt, un promoter di football americano, petroliere ricchissimo e proprietario di alcune franchigie e cognato di Al Hill, un buon giocatore di tennis, decise di dar vita agli ‘Handsome Heights’, mettendo sotto contratto otto giocatori per permettere a Dave Dixon, un uomo essenzialmente di golf, di riempire il nuovo stadio di New Orleans e dare nuova linfa all’Ipta, la neonata Associazione Pro succeduta a Jack Kramer, ritiratosi nel 1954 con tre successi negli Slam. Era il 1967. Hunt aveva messo sotto contratto tre ex compagni di Rod Laver e cinque ex dilettanti . Agli ‘Handsome Heights’ di Lamar e Hunt fu assegnato il compito di dare vita al circuito professionistico World Championship Tennis, che fu il simbolo della transizione verso un tennis nuovo, globale e meglio strutturato. Un tennis d’élite non solo tecnico, ma che creasse campioni e miti. Nel 1970 Pilic toccò il vertice della propria carriera: batté John Newcombe e Rod Laver al Bristol Open e, in doppio agli US Open, conquistò il titolo insieme a Barthés superando proprio la coppia Laver e Newcombe. Nel singolare si arrampicò fino al numero 6 del mondo.E dopo aver scritto nel 1973 quella sua piccola pagina di storia da finalista al Roland Garros, innescò il secondo snodo del tennis professionistico. Quello che passò alle cronache come ‘ilboicottaggio di Wimbledon’ e che portò alla nascita dell’Atp. Il torneo del 'boicottaggio' Quell’anno la Federazione jugoslava lo accusò di essersi rifiutato di disputare un match di Coppa Davis, perché già iscritto ad un torneo di doppio in Canada. Pilic negò, ma la sua Federazione decise di utilizzare la mano pesante e lo sospese . Di conseguenza venne anche escluso dal tabellone di Wimbledon. Questo fu il ‘casus belli’ che determinò un’autentica ribellione e uno sciopero solidale da parte dei suoi ‘colleghi’: 81 giocatori professionisti, tra cui 12 delle 16 teste di serie, boicottarono così quell’edizione londinese. Il torneo lo vinse il cecoslovacco Jan Kodes battendo in finale il sovietico Aleksandr Met'reveli, ma il torneo resterà per sempre ricordato come ‘quello del boicottaggio’ che diede identità all’Atp, che poi raggiungerà il suo scopo solo nel 1974, costituendo su basi paritetiche il Miptc . Da quella battaglia infatti prese forma il sistema che già nell’agosto 1973 introdusse il primo ranking computerizzato: in vetta salì Nastase, ma fu Pilic il motore della rivoluzione. E dire che – senza successo – l’Atp aveva portato il caso, dopo una settimana di riunioni non stop, fino all'Alta Corte britannica, chiedendo un'ingiunzione per poter revocare la squalifica. Fu Cliff Drysdale a guidare le trattative e ancora oggi ricorda bene minuto per minuto quel che accadde all’epoca: “Era un vero e proprio puzzle di interessi diversi nello sport, ma abbiamo deciso che dovevamo avere voce in capitolo. Non potevamo essere solo burattini a spese di tutti gli altri interessi del tennis”. E Pilic aveva offerto a tutti una grande occasione su un piatto d’argento. Poi, una volta smessa l’attività agonistica, Nikola diventò un apprezzatissimo allenatore, riuscendo a conquistare da ‘capitano non giocatore’ ben cinque coppe Davis sotto tre bandiere diverse, come già ricordato. Nel 1988, 1989 e 1993 , nel 2005 e nel 2010 . Ma straordinaria rimane la sua collaborazione con il 24 volte campione Slam, che bussò alla sua porta grazie all’intuizione di Jelena Gencic, quando Novak Djokovic aveva solo 12 anni. Nole non lo ha mai negato: “Niko mi ha influenzato in molti modi, da allenatore e come uomo”. Perché Djokovic con grande onestà ha sempre riconosciuto a Pilic di non essersi mai tirato indietro davanti alle iniquità: “Ha sempre lottato per i diritti dei giocatori e si è sempre schierato per correggere le ingiustizie ovunque le vedesse. Forse dovremmo analizzare più a fondo e in profondità il suo carattere e il suo lavoro. Quello che ha realizzato nella sua vita, come tennista, allenatore e attivista è davvero incredibile, storico”. E un’altra splendida testimonianza sul segno che ha lasciato il passaggio di Pilic su questa terra l’ha resa Monica Seles, ex tennista jugoslava, con cittadinanza ungherese e oggi naturalizzata statunitense, vincitrice di ben 53 titoli, un bronzo olimpico, tre Fed Cup ma pure la più giovane giocatrice più longeva di sempre al nr. 1 della classifica Wta: “Lui era una leggenda, il cui incredibile talento e spirito sportivo hanno ispirato moltissimo me e mio padre. Il suo contributo allo sport non sarà mai dimenticato”. Del resto, Pilic ha diretto un'accademia in cui hanno perfezionato le loro abilità oltre ai campioni già citati, anche i lettoni Ernests Gulbis e Anastasija Sevastova. Pilic sapeva tirare fuori il meglio dai giocatori e trasformarli in campioni. Ribattezzato ‘Mr. Coppa Davis’, Nikola Pilic è diventato suo malgrado un autentico monumento del tennis mondiale. Cittadino del mondo per visione e formazione culturale, ha attraversato settant’anni di tennis – degli ottantasei vissuti – sempre da protagonista. Dai primi passi mossi in quella stessa strada nella quale trentadue anni dopo sarebbe nato Ivanišević, fino a quel giorno in cui entrò quasi per caso al circolo ‘Firule’ a poche centinaia di metri dalle rive del mare Adriatico. Maestro di vita prima ancora che di tecnica nel suo centro di Oberschleißheim, vicino Monaco, all’ombra del maestoso castello di Schleißheim. Dotato di una sorta di terzo occhio che gli permetteva di comprendere cose impossibili per gli altri da interpretare. Così da poter coltivare con applicazione generazioni di talenti. Da giocatore arrivò ad essere stabilmente un ‘top 10’ negli anni ’60 e ’70, a cavallo del passaggio tra l’epoca dilettantistica e quella professionistica. Da tecnico ottenne molto di più. Ma soprattutto gratitudine eterna dagli allievi. La curiosità Novak Djokovic lo ha definito “uno dei mentori più importanti della mia vita e della mia carriera”, eppure ci fu un momento in cui i due rischiarono di non incrociarsi, perché inizialmente Pilic era indeciso se accettare il serbo Nole. Lui, croato. Poi pensò che quel ragazzo aveva immense qualità ed era una brava persona e lo accolse a un prezzo di favore . Ma dopo averlo visto la prima volta, chiese senza mezzi termini a Jelena Gencic: “Perché non me l’hai mandato prima?”. E lei: “Perché altrimenti ti saresti preso tutti i meriti”. In quattro anni insieme tra i due si creò un legame molto speciale. E per un croato ricevere la Medaglia d’Oro al Merito della Repubblica di Serbia deve essere stato un onore immenso e imprevedibile. A Fiume è scomparso un ex campione che in carriera vinse 9 titoli Atp in singolo e 11 in doppio, giocando contro campioni come Stan Smith e Rod Laver. Prima di incominciare lui a crearne. Pilic ha infranto barriere, ha scritto pagine significative del tennis. E a chi gli chiedesse il perché di tutta questa dedizione, rispondeva… “Perché io amo il tennis”.

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Lo sguardo sempre avanti di Pilic: perché a Djokovic, e non solo, manca così tanto

Lucio Rizzica