Margaret Court è la storia del tennis

Margaret non ha mai avuto una vita facile, cresciuta in una casa modesta, tra fratelli non proprio espansivi e ultima dei quattro figli della famiglia Smith. Il padre Lawrence era molto duro e autoritario, la madre Maude Catherine Beaufort eccessivamente protettiva. Forse anche per questo Margaret ha sempre cercato, fin da piccola, di evadere con la fantasia dalla sua limitata realtà. Del resto, negli anni ’40 dello scorso millennio, Albury nel Nuovo Galles del Sud, in Australia, è una cittadina così piccola nella quale la massima prospettiva è riuscire ad acquistare prima o poi un biglietto della ‘Greyhound’ e salire su un bus a lungo raggio in grado di portare - imboccando la Hume Highway - a più di 300 chilometri di distanza fino a Melbourne o, per i più ardimentosi, addirittura a Sydney, a oltre 500 chilometri dalla centrale e stucchevole Dean Street. La prima racchetta da tennis di Margaret è un’asse di legno staccata da una palizzata del giardino e il primo passo che muove su un campo vero avviene grazie a un varco aperto in una recinzione. A scuola sfida i maschietti a football e a cricket e li batte. Sente di essere molto portata per lo sport. E quando riesce finalmente a praticare la disciplina verso la quale prova più attrazione, scopre anche di avere un talento fuori dal comune. Decide così di iscriversi a primi tornei e inizia a figurare in tabellone come Margaret Smith. E stupisce maestri e istruttori: veloce, potente, combattiva, di braccio destro. E già nel 1960 -all’età di 17 anni- conquista il primo di sette titoli consecutivi in singolare agli Australian Open. Il paese dei canguri si accorge di lei e inizia a pensare che nel quinto continente sia nata una nuova stella. In Australia all’epoca si viveva già sulla gloria acquisita da Rodney Heat, Jack Crawford, John Bromwich, Vivian Mc Grath e sul mito della prima donna idolo, Daphne Jessie Akhurts, attiva quando nel tennis soldi ce n’erano davvero pochi, che a soli 14 anni, nel 1917 aveva vinto il titolo di singolare studentesco proprio nel Nuovo Galles del Sud contro ragazze di età maggiore della sua. Una ragazza che non aveva mai avuto un allenatore, che aveva imparato a giocare per divertimento, che sfoggiava una fascia rossa fra i capelli e che lasciò dopo il matrimonio con il ricco tabaccaio Royston Stuckey Cozens diventando mamma del piccolo Don, morendo a soli 29 anni mentre dava alla luce il suo secondogenito e lasciando l’intero Paese nella più nera disperazione. E ora ecco qui Margaret Smith per riprendere un sogno interrotto. Margaret che prima ancora di essere una tennista è un fenomeno atletico, forse il più straordinario tra le donne che calcano i campi dell’epoca e anche del futuro. Nata mancina e diversa dalle altre allieve del Border Ltc di Albury, che a un certo punto decide di prendere a giocare con la destra, così come il suo compatriota emergente Ken Rosewall. Così candida che la prima volta che le mostrano un paio di ‘spikes’ chiede a cosa servano i chiodi. E poi, calzate le scarpette, corre veloce su un’atroce pista di carbonella le 220 yards in 26’’2, finendo a un nulla da ‘una certa’ Glenys Beasley, atleta olimpica, che nel 1962 avrebbe conquistato l’oro ai Giochi del Commonwealth di Perth nella staffetta 4x110 yards. È quella un’epoca da attrici maggiorate. Margaret invece è atletica: 71 chili per 1,75 di altezza. Braccia lunghissime e mani di venti centimetri esatti. Da ferma, a piè pari, salta la rete e riesce a competere con i tennisti australiani di Coppa Davis nel salto del canguro, richiamando le ginocchia allo sterno. All’inizio della carriera Margaret trema, si avvilisce, arrossisce. Poi spicca il volo e non la ferma più nessuno. Anzi, quasi… come disse Gianni Clerici… “fuorché, forse, Billie Jean King”. In singolare, a ventuno anni, Margaret completa il Grande Slam: è il 1963 e vince a Wimbledon. Fra il 1966 e il 1967 si concede una breve pausa, sposa così Barrymore Court, la cui famiglia ha molti interessi in politica e gioca da dilettante fino al 1968 e all’avvento dell’era Open. Torna e nel 1970 vince tutti e quattro i titoli del Grande Slam, parte di un filotto di sei vittorie consecutive. Nel 1972 diventa mamma per la prima di quattro volte. Alla fine della sua carriera, nel 1977, Margaret Smith Court conterà 11 Australian Open, 5 Roland Garros, 3 Wimbledon, 5 US Open . A oggi è una delle sole tre giocatrici della storia ad aver vinto il ‘Boxed Set’, ovvero ad aver vinto tutti i titoli principali . Addirittura per due volte. Ma la Court è anche una delle sole sei tenniste ad aver vinto un doppio Grande Slam in carriera in due diverse discipline, proprio come Roy Emerson, Martina Navratilova, Frank Sedgman, Doris Hart e Serena Williams. Con la squadra australiana ha anche vinto la Fed Cup per quattro volte. Per l'International Tennis Hall of Fame “Per pura forza di prestazione e risultati non c'è mai stata una tennista che la possa eguagliare”. Secondo l’immensa Evonne Goolagong è la più grande tennista di tutti i tempi. Una volta terminata la carriera, Margaret ha deciso di seguire ancora il proprio istinto ma, in questo caso, avvertendo il bisogno di una vera e propria conversione religiosa. Cresciuta con i valori cattolici, negli anni Settanta si era avvicinata al pentecostalismo, ritrovandosi di più in quest’ultimo relativamente all’esperienza dello Spirito Santo, al ruolo della tradizione dell’autorità ecclesiastica e dei sacramenti. Nel 1991 pertanto ha percorso fino in fondo la nuova strada diventando una ministra cristiana, fino al punto di fondare un proprio ministero e una propria chiesa a Perth, della quale è reverendo, avendo anche conseguito una qualifica teologica presso il ‘Rhema Bible Training Centre’ ed essendo in seguito stata ordinata ministro pentecostale indipendente. Nel suo ‘Margaret Court Ministries’ -nel quale esercitava come pastore senior- e nelle sue apparizioni televisive in ‘A Life of Victory’, la domenica sull'Australian Christian Channel nel bouquet dell’ex tv comunitaria West TV, Margaret ha insegnato la sua visione della dottrina biblica secondo le direttive del movimento ‘Word of Faith’. Con una innumerevole serie di trasformazioni e di iniziative mediatiche e societarie ha creato il suo ‘Community Outreach ’, diventato in breve una delle “più grandi organizzazioni di beneficenza alimentari autonome dell'Australia Occidentale”, fornendo circa 25 tonnellate di cibo ogni settimana. Presidente della ‘Victory Life International’, una rete di chiese pentecostali, sostiene la ‘Australian Family Association’ e la ‘Drug Free Australia’, in favore di politiche eque e lotta alle tossicodipendenze. Le polemiche Eppure, Margaret è finita al centro di una serie di polemiche che di fatto l’hanno resa invisa al suo stesso Paese e ne hanno provocato una sorta di oscuramento mediatico. Al giornalista del ‘Telegraph’ Oliver Brown che l’ha contattata poche settimane fa per intervistarla ha risposto con stupore: “Sei il primo che mi cerca per una chiacchierata onesta. Gli australiani preferirebbero che il mio nome sparisse e venisse cancellato”. E curiosamente anche il mondo del tennis sembra averla rimossa. Il perché è presto detto. Non le si perdona di non essersi mai allineata alla cultura woke e pride. Court nel 2012 ha semplicemente detto che, in coscienza, è contraria alle proposte di riforma del matrimonio tra persone dello stesso sesso. E per tali dichiarazioni è stata fortemente criticata dalle tenniste gay Billie Jean King, Rennae Stubbs e Martina Navratilova, mentre un gruppo di protesta per i diritti LGBT chiedeva il cambio di nome della ‘Margaret Court Arena’, parte del complesso del Melbourne Park, dove si svolgono gli Australian Open. A questa richiesta, alcuni politici, tra cui il primo ministro Malcolm Turnbull, hanno respinto le ipotesi di cambio di nome, affermando che l’intestazione celebra Margaret Court come tennista. Alla Court è stata rinfacciata anche una lettera che ha inviato nel 2017 al ‘The West Australian’. Nella comunicazione la Court denunciava la compagnia aerea australiana ‘Qantas’ di sostenere il matrimonio tra persone dello stesso sesso e affermava che l’avrebbe boicottata. Sul ‘Guardian’ Russell Jackson la definì bigotta, disse che nel 1970 sosteneva l’apartheid, che nel 1990 aveva definito la Navratilova un cattivo esempio . Perfino Anna Wintour - la regina della moda mondiale - nel 2019 è scesa in campo contro di lei. Court rispose di essere “Delusa dal fatto che qualcuno proveniente dall'America sia incapace di tollerare opinioni non in linea con le sue indicando agli australiani cosa fare”. ‘Tennis Australia’, che aveva onorato Rod Laver all'inizio del 2019, a mezzo secolo dal suo Grande Slam del 1970 scrisse che “È indubbio dover riconoscerle i risultati tennistici nonostante opinioni non in linea con i valori di uguaglianza, diversità e inclusione della rivista”. Poi all'Australian Open 2020 Martina Navratilova e John McEnroe sfilarono con uno striscione che chiedeva che l’Arena venisse rinominata in onore della quattro volte campionessa Evonne Goolagong. La Court non fece mancare la propria voce: “L'organizzazione dovrebbe ignorare le mie opinioni sul matrimonio tra persone dello stesso sesso, poiché i miei successi nel tennis provengono da una fase diversa della mia vita da dove mi trovo ora e se non siamo abbastanza grandi come nazione e come sport per affrontare queste sfide, c'è qualcosa che non va”. Sempre nel 2020 alla sua organizzazione benefica venne negato un'aiuto ‘Lotterywest’ per un camion frigorifero proprio per via delle sue dichiarazioni contrarie al mondo Lgbt. E da lì in avanti fu guerra aperta. La ragazzina cresciuta in una casa con due camere da letto, pareti sottili, amianto e tetto di lamiera, figlia di un burbero caporeparto in una fabbrica di formaggio e burro, in quell’anno capì di essere totalmente tagliata fuori da tutto. E che il mondo è cambiato e che se una volta la chiamavano ‘maschiaccio’, oggi “Basta l’indole a instillare il dubbio sull’identità sessuale. Giocavo a football, a cricket, battevo tutti i ragazzi, ma sapevo comunque che i miei due fratelli erano diversi da me. Ora ci sono bambine che dicono ‘mi sento un ragazzo’. Non accetto le terapie ormonali nella disforia di genere, li intrappoliamo nei loro corpi e non possono tornare indietro. Cosa stiamo facendo ai nostri giovani?” Margaret da bambina si era unita a “Un gruppo di ragazzi del quartiere che si divertivano ad arrampicarsi sugli alberi, a dondolarsi sulle corde sopra il fiume e a chiedere passaggi gratuiti sui camion che rallentavano". Ma lei era sempre Margaret. Nel 2013, a proposito del figlio della tennista australiana Casey Dellacqua e della sua compagna Amanda Judd disse: “Mi rattrista vedere che questo bambino è apparentemente privato di un padre”. Apriti cielo, la misero in croce. Ma cosa ci si aspetta da una donna di 83 anni, che ha la sua visione del mondo e per di più rappresenta una dottrina pentecostale? “I valori cristiani sono stati eliminati dalle scuole. Alcuni bambini non sanno più cosa sono. E questo è ciò che più mi turba, perché io guardo alla mia vita e ricordo che da giovane sapevo di comportarmi da maschiaccio, ma di essere una bambina”. La Court ha ricevuto la sua prima istruzione a St Bridget's, la scuola parrochiale cattolica locale. In seguito, ha frequentato St Augustine's, una scuola conventuale dall'altra parte del fiume rispetto ad Albury, sita a Wodonga, nello stato del Victoria, così come l'Albury Technical College. A otto anni poi la scoperta del tennis con quel pezzo di legno con il quale colpiva una pallina e la spediva contro un muro. Fino al giorno in cui un’amica della madre non le regalò una vecchia racchetta e la rese la bambina più felice del mondo. Di lì le prime fughe attraverso un buco nella recinzione del Border Tennis Club della città. Poi con le amichette per le prime partitelle sui campi in erba. Finché il curatore del club e allenatore professionista Wally Rutter non la notò invitandola a seguire i suoi corsi sviluppandone ‘l’istinto omicida e il senso agonistico’. Infine, il trasferimento a Melbourne, a 16 anni, alla corte di Frank Sedgman, ex numero 1 al mondo. Una esperienza non facile: la convivenza con la sorella maggiore, i lavoretti part-time da receptionist presso il centro atletico di Sedgman per pagare la retta. La grande dedizione alla preparazione fisica: corsa a circuito, sollevamento pesi e corsa su dune di sabbia. E poi sessioni di allenamento su campi in terra battuta per la prima volta, con la segreta intenzione magari di giocare un giorno gli Open di Francia. Di lì le prime grandi vittorie e una carriera straordinaria, una famiglia felice, una seconda vita dedicata a Dio e agli altri e ora il mondo che le casca addosso solo perché non vuole adeguarsi a un presente che non condivide. Lei che il suo presente lo ha cambiato. Col suo allungo molto ampio, col vantaggio in altezza, con la qualità a rete, con il suo stile sempre d'attacco, serve and volley e un potente servizio che le consentiva di dominare le giocatrici difensive. Oggi Margaret, ‘l'amazzone australiana’ sembra diventata una nemica. La chiamano omofoba. L’Australia la nasconde e fa a gara a dimenticarla nella sua feroce rincorsa a un ‘mondo nuovo’ e arcobaleno. Ma la vita è ironica e sa essere anche canaglia. Tutte le volte che in Australia giocheranno a tennis dovranno scendere comunque su un campo. E il campo da gioco, quel rettangolo diviso da una rete, che si tratti di terra battuta, cemento o erba, ovunque si trovi lo chiameranno ‘court’, come lei. E non basterà uno striscione, un’interrogazione, un presunto diritto violato, una comunità, un capriccio, una supposta offesa a cancellarla. The tennis is played on a court. Margaret Court is tennis.

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Lucio Rizzica