Tennis Heroes: perché Shelton può essere il futuro del tennis

Stavolta il compito è arduo: guardare al recente passato, interpretare lo stato delle cose, immaginare cosa potrà accadere nell’immediato futuro. Tra i pochi che possono permettersi un esercizio del genere ci sono loro: Panatta e Bertolucci. Messi insieme ancora una volta, a parlare di tennis, la cosa che al mondo gli viene più naturale, per chiudere una stagione e aprirne una nuova. Una sorta di messaggio di fine anno a due voci e in chiave puramente tennistica, con la palla da tennis che inevitabilmente diventa palla di vetro. Se c’è una questione su cui concordano è questa: nel 2026 cambierà ben poco! Che tradotto significa una cosa sola: non si andrà oltre il duopolio del numero 1 Alcaraz e del maestro dei maestri Sinner. Con il primo che si appresta a vivere i primi passi senza Ferrero, il coach dal quale ha di recente preso le distanze, e con il secondo che invece ripartirà dalla certezza Cahill, chiaramente insieme a Vagnozzi, nel suo angolo. Cosa possono fare di meglio? Provare a centrare il Grande Slam, ossia vincere i quattro Major nella stessa stagione, impresa che manca dai tempi poco più che pionieristici di Rod Laver. Puntali le sortite di Stefano Meloccaro, come nelle altre puntate, che in maniera velatamente provocatoria fa utilizzo degli spunti mediati dall’intelligenza artificiale con il duplice intento di pungere o cambiare argomento. Uno di questi, per dire, porta a galla un tema di grande moda: arriverà o no il terzo incomodo? Ok parlare dei soliti noti, ma l’idea che qualcuno cominci a impensierire i leader del tennis stuzzica parecchio gli appassionati. E anche su questo i nostri eroi, Adriano e Paolo, si trovano sulla stessa lunghezza d’onda: “Gli altri giocatori per provare ad accorciare le distanze non devono solo correre, devono volare. E potrebbe non bastare”. Perché Carlitos e Jannik non solo hanno raggiunto livelli altissimi, ma continuano a lavorare per migliorarsi costantemente. Inevitabile il totonomi: Djokovic per la storia personale, Zverev per il pedigree, Musetti per i progressi fatti, Fonseca per la crescita atletica unita al talento da predestinato, Draper e Rune al netto della condizione da ritrovare dopo i rispettivi guai fisici. E poi Shelton. Sì, Shelton! Una bella fetta di puntata finisce per essere dedicata a lui, in maniera quasi inaspettata. Panatta serve un assist che Bertolucci raccoglie immediatamente: “Se il papà coach gli insegna il serve and volley, il terzo incomodo è lui”. La chiave, per lo statunitense esplosivo, è tirare fuori i fenomeni dalla zona di comfort. Loro giocano sul ritmo, lui deve andare contro tendenza. Shelton possiede il servizio adatto a verticalizzare il gioco di continuo, mischiando le carte a quelli, quasi tutti, abituati a giocare di rimbalzo, compresi in prospettiva Alcaraz e Sinner. Per rendere al massimo, però, Shelton deve mettersi in testa di lavorare, e non poco, su una tecnica ancora piena di lacune. Una su tutte: lo split, quello che Panatta chiama “paso doble” stuzzicando le doti da ballerino dello storico compagno di doppio Bertolucci. I giocatori di oggi, a differenza di prima, quando vanno a rete sbagliano il tempo, si fermano nel momento non opportuno, oppure proseguono direttamente in avanti. La discesa verso la rete è da considerarsi un’arte: non si corre, non si cammina, ci si avvicina. Chi non sbaglia mai, anche in questo senso, è Alcaraz, guarda un po’. Perfetto persino da questo punto di vista. L’altro tema è la prima volée giocata a seguito del servizio, che ormai viene eseguita come colpo definitivo – eccessivamente rischioso – e non come appoggio propedeutico a coprire la rete costringendo l’avversario al passante scomodo. Prosegue l’analisi di Panatta: “Shelton la volée la fa bene quando è facile, ma quando la palla è sotto la rete ha ancora un braccio poco educato”. E allora ecco la soluzione, offerta con la solita ironia che strizza l’occhio alle cose che Adriano pensa per davvero: “Il padre dovrebbe comprare una macchina spara palle e fargli giocare 3.000 volée al giorno da tutte le posizioni del campo”. Come di consueto Adriano e Paolo si capiscono a meraviglia, tra un’inquadratura stretta che mette in risalto l’espressione degli occhi e un totale che restituisce l’atmosfera dello studio. Una sorta di salotto di casa, ormai, dal quale ribadire un concetto di fine anno: nel 2026 gli equilibri saranno gli stessi, con i super fenomeni a spartirsi la torta, al netto di condizione fisica e programmazione mirata per arrivare al top nei momenti che contano. In futuro, però, il tennis esplosivo di Shelton potrebbe rappresentare una minaccia sempre più complicata da disinnescare. A patto che papà Bryan, uno che da giocatore ha raggiunto il quarto turno a Wimbledon a metà degli anni ‘90, applichi un paio di accorgimenti decisivi sul tennis del figlio. Continuando a sorridere dal box, con l’atteggiamento sano di chi crede fermamente che il suo ragazzo abbia prima di tutto il diritto di divertirsi. Cosa che farebbe ancora meglio allenando l’approccio verso la rete, lavorando sul saltello che precede la volée di approccio, e aggiungendo una giusta dose di dolcezza a quei colpi da energumeno del tennis. Come? Applicandosi con la stessa dedizione che hanno Alcaraz e Sinner, e mettendo in pratica questi preziosi consigli di Panatta e Bertolucci, due professori del nostro tennis.

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Tennis Heroes: perché Shelton può essere il futuro del tennis

Matteo Renzoni