Viaggio dentro la crisi tecnica e mentale di Sascha Zverev

Laver Cup, edizione otto. Sascha Zverev sta giocando una partita che non può permettersi di perdere contro Taylor Fritz, con cui, tra l’altro, è in striscia di cinque sconfitte di fila. Seduto in panchina, con lo sguardo fisso nel vuoto, durante uno tra i tanti, sconfortanti, cambi di campo, riceve il supporto sempre positivo di un tale Carlos Alcaraz: “Costruisciti il punto e poi non esitare”, gli dice. Il tedesco neanche si gira a guardarlo, chiama Casper Ruud e gli chiede un secondo parere. La risposta è sempre la stessa: “Sii deciso”, con tanto di imprecazione di supporto. Capita, non così infrequentemente, che tra 'amici' ci possano essere divergenze, ma il gesto di Zverev è la diapositiva perfetta di un 2025 che per chiunque altro sarebbe una stagione 'normale', ma che per lui non potrà mai essere un anno di cui essere soddisfatti. Da salvare, un unico numero: 3, come il terzo posto , nella race verso Torino, che corrisponde al terzo posto nel ranking ATP, dietro soltanto a Carlos Alcaraz e Jannik Sinner. Alzi la mano, però, chi davvero ha voglia di azzardarsi a dire che Sascha è stato la terza forza nel tennis nel 2025. Probabilmente, se qualcuno avesse il coraggio di chiederglielo, lui stesso rifiuterebbe questa definizione. 'Steccare' una stagione è sempre conseguenza di fattori che si concatenano, si intrecciano e, torneo dopo torneo, si trasformano in una valanga di sfortunati eventi ai quali è sempre più impossibile trovare un rimedio. Nel caso di Zverev, il bilancio che è già possibile tracciare a ottobre è inevitabilmente segnato da crepe tecniche, acciacchi fisici e una gestione emotiva più che mai fragile. Vale la pena ripartire proprio dall’esortazione di Alcaraz in Laver Cup: “Non esitare”. Due parole bellissime, se soltanto chi è in campo ci crede. Chi si ricorda giocare 'baby Zverev' nel periodo tra il 2016 e il 2018, sa che il tedesco, senza mai essere stato necessariamente un fiero utilizzatore di “serve and volley”, era molto più propositivo nello scambio, non tanto nella posizione in campo, sempre abbastanza arretrata, ma nel modo in cui aveva sempre in testa una geometria tattica e nel cambio sul lungolinea, soprattutto di rovescio, ma anche più volentieri con il dritto. Lui stesso non è timido sul tema: “Con il dritto vinco o perdo le partite”, ha detto in un’intervista proprio con Sky Sport a maggio durante gli Internazionali d’Italia. Un po’ per il movimento, che è sempre stato poco fluido, se paragonato al rovescio, un po’ per il modo in cui la percezione di avere un blocco tecnico si è sempre rispecchiata sull’esecuzione a livello mentale. Nel 2025 Zverev non ha mai veramente 'costruito' con il dritto, sfuggendo dalla diagonale anche in momenti inopportuni. Esempio pratico: semifinale nel Masters 1000 di Toronto contro Karen Khachanov. Sul 6-5, 40-30, Sascha ha un match point, con il russo che è costretto a difendersi con la seconda di servizio: il tedesco sceglie di muoversi leggermente verso destra, per non trovarsi obbligato a giocare di dritto, ma la risposta, dopo una breve danza sulla rete, ricade dal lato di campo sbagliato. Zverev finisce per perdere la partita al tiebreak e vede così svanire una finale in un Masters 1000 che probabilmente avrebbe dato un taglio diverso alla stagione. E che, per la cronaca, il tedesco avrebbe giocato contro Ben Shelton, presentandosi alla partita con 32 vittorie su 33 partite giocate contro mancini da maggio 2023. Esiste poi un discorso legato alla posizione di Zverev a rete. Snaturare il tennis di un top ten non è mai una soluzione, ma è evidente che, in molti momenti – in carriera e nel 2025 – con un po’ più di decisione a rete, Sascha avrebbe raccolto molto, ma molto di più di quanto comunque ha ampiamente già vinto. Senza dover per forza andare a rivivere la volèe sbagliata in finale agli US Open nel 2020, rimanendo in tema Slam, un punto in particolare in questa stagione descrive l’indecisione di Zverev nel prendere la rete. Quarti di finale al Roland Garros contro Novak Djokovic: nel quarto set Sascha ha un’occasione per il controbreak sul 3-2, che potrebbe riaprire la partita e regalargli un insperato parziale decisivo nel quale poter provare a sfruttare i 10 anni in meno rispetto al serbo. Il tedesco rimane a scambiare a ritmo basso e centralmente per i primi 10/12 colpi, rischia di steccare il dritto nel primo cambio di ritmo, ritorna sul rovescio e, nonostante venga chiamato a rete da un Nole sempre più in affanno, è talmente insicuro in quella zona di campo da sbagliare l’approccio in chop, non dare potenza al successivo smash e tornare indietro spaventato, per poi perdere definitivamente il punto nel momento in cui Djokovic, tra l’altro riprovando lo stesso schema, riesce a dare più effetto alla smorzata. Due punti, due dimostrazioni pratiche di come, per poter tenere il ritmo, se non altro in termini di tennis, di Sinner e Alcaraz, bisogna non soltanto voler aggiungere qualcosa in più al proprio gioco, ma bisogna soprattutto doverci credere. Se dritto e qualità a rete sono sempre state un tallone d’Achille per Zverev, va detto che il tedesco è stato abbandonato anche dal servizio, soprattutto nella seconda metà di stagione. A differenza di quanto avvenuto nel 2019, anno in cui il tedesco sembrava aver perso il “feeling” con questo fondamentale, arrivando a commettere 20 doppi falli nella sconfitta a Cincinnati contro Kecmanovic, nel 2025, la minore efficacia di questo colpo, che non è più 'boom', è dovuta a un problema alla schiena che evidentemente condiziona Sascha più o meno da Wimbledon in poi. Applicato alla stagione nella propria interezza, Zverev è settimo per numero di ace messi a segno, precisamente 474, 215 in meno di Taylor Fritz che guida questa classifica. Come se non bastasse, il tedesco vanta la minor percentuale di ace messi a segno per partita in questa speciale top ten, con soltanto il 7,6% di ace scagliati per match. Il paragone con Fritz torna utile anche per un numero legato alla velocità al servizio: durante la partita in Laver Cup contro lo statunitense, Zverev ha servito la prima a 20km/h in meno rispetto alla propria media, con una prima di servizio che viaggiava in media a 188 km/h. Un segnale che il problema è tutt’altro che risolto, nonostante le infiltrazioni e le rassicurazioni del fratello Mischa ai media, rassicurazioni per la verità smentite da un seccato Sascha. I dolori alla schiena sono comunque l’ultimo acciacco di una stagione non fortunata dal punto di vista fisico. A inizio stagione Zverev era stato costretto a ritirarsi dalla partita in United Cup contro il cinese Zhang per un problema al bicipite destro, poi gestito talmente bene che Sascha era arrivato in finale agli Australian Open tre settimane dopo. Successivamente, però, il tedesco è stato condizionato da un’intossicazione alimentare ad Acapulco, ha preso un virus ad Amburgo alla vigilia del Roland Garros e di fatto ha onorato la semifinale di Cincinnati contro Alcaraz soltanto per il pubblico, perché tradito da un colpo di calore, causato probabilmente dalla combinazione di clima torrido e antidolorifici presi per gestire i citati problemi alla schiena. Tutti questi piccoli problemi di condizione fisica probabilmente non sono di per sé invalidanti, ma se combinati con il diabete di tipo 1, patologia di cui Zverev dichiaratamente soffre dall’età di 4 anni, possono essere quel fattore che, anche non volendo, costringe a tirare il freno a mano e, di conseguenza, porta a perdere partite che non andrebbero perse. E poi, le emozioni, le maledette emozioni. Per stessa ammissione di Sascha, la finale persa a Melbourne contro Sinner ha lasciato il segno. Finale che, tra l’altro, era arrivata anche in modo incoraggiante, con appena due set persi, uno contro Humbert negli ottavi di finale e uno contro Paul nei quarti di finale, e una semifinale giocata soltanto per 90 minuti e vinta contro un Djokovic infortunato. Poi, in partita, è bastato un soffio, un dettaglio: Zverev subisce il primo break nella partita sul 4-3 nel primo set e inizia a urlare contro il proprio angolo, accusandolo di avergli dato racchette incordate non alla perfezione. Di fatto la finale finisce lì e il tedesco chiuderà il match senza mai avere neanche l’ombra di una palla break sulla racchetta. Il discorso durante la cerimonia di premiazione è brutalmente onesto, fino al confine del dramma sportivo: “Il problema non siete voi, sono io che non sono abbastanza bravo”, dice, rivolgendosi al team. Ed è lo stesso Sinner che, abbracciandolo fraternamente, prova, invano, a dargli fiducia. Il contraccolpo è enorme per tanti motivi: perché improvvisamente Sascha si sente lontano anni luce da Jannik e Carlos e non basta che, sei mesi prima, avesse effettivamente battagliato per quattro ore contro Alcaraz in finale al Roland Garros, forse persino perdendo la partita per un errore arbitrale sul 2-2 nel quinto set. Ma anche perché Sascha, invece di fermarsi, si getta a capofitto nel circuito ATP, con la chimera di voler diventare numero 1 al mondo, sfruttando lo stop di Sinner, ma con la più umana, umanissima, voglia di dimenticare, di scacciare un chiodo chiamato Australian Open. Il risultato è impresso nelle sconfitte tra febbraio e aprile: contro Francisco Cerundolo a Buenos Aires, contro Comesana a Rio de Janeiro, contro Tien ad Acapulco, contro Griekspoor a Indian Wells, contro Fils a Miami, contro Berrettini a Monte-Carlo. Qualcuna più accettabile, molte altre meno. E, si sa, di male in peggio non è un cliché, è una verità. Lo Zverev che si presenta in conferenza stampa, sconfitto dentro più che in campo, dopo la debacle al primo turno di Wimbledon contro Rinderknech, parla al cuore di tutti: “A volte mi sento molto solo e fatico ad andare avanti. Non so come comportarmi. Voglio trovare il modo di uscire da questo buco nero. Non mi sono mai sentito così vuoto, mi manca la gioia in tutto”. Due giorni dopo, però, è il fratello Mischa a minimizzare: “Ha perso ed è triste. Ci sta, ma non gli manca nulla. La vita nel circuito ATP è dura, si sa, ma credo che sia più complicata per i bambini in Africa piuttosto che per un tennista professionista a Wimbledon”. Scintille in squadra che non sono di aiuto in una stagione simile. E le settimane con Toni Nadal, per quanto divertenti e sicuramente rinfrescanti dal punto di vista mentale, per il momento non si sono tradotte in una collaborazione permanente. D’altronde, Zverev non ha un buon bilancio con i super-coach: Juan Carlos Ferrero è scappato dopo un anno, lamentando scarsa serietà in allenamento da parte di Sascha. Con Ivan Lendl, invece, le accuse sono degenerate tra golf e attenzioni eccessive al proprio cane. David Ferrer sembrava la persona giusta, ma tra le restrizioni imposte dal Covid-19 e i demoni nella vita privata di Sascha, non era il momento adatto. Sergi Bruguera, infine, si è arreso dopo un anno, anche lui però condizionato da una spada di Damocle chiamata rottura di sette legamenti della caviglia destra, in semifinale al Roland Garros nel 2022 contro Rafa Nadal. Sia chiaro, la stagione di Zverev comunque non è finita. Il tedesco ha un calendario fittissimo, con gli impegni in singolare e in doppio a Pechino, in singolare e in doppio a Shanghai, a Vienna, a Parigi – dove difende il titolo – e alle ATP Finals, con l’incognita legata alla Coppa Davis. Un calendario talmente fitto che quasi vien da chiedersi se non è meglio per lui concentrarsi soltanto sui due impegni europei e tralasciare la trasferta cinese. In ogni caso, ormai è troppo tardi per ripensarci. Dunque, per Sascha rimane un esercizio di fiducia interiore da mettere in pratica. In una stagione considerata insufficiente, rimane una finale Slam – unico ad esserci arrivato oltre a Sinner e Alcaraz – e un titolo in un ATP 500, a Monaco di Baviera. E ancora, quest’anno Zverev ha raggiunto per la prima volta almeno una finale ATP su tutte le superfici per la prima volta dal 2018. I numeri aiutano a compensare le sensazioni: il tedesco ha ancora un head to head positivo contro Sinner, con quattro vittorie a tre per lui, e in pareggio con Alcaraz, con sei successi a testa. Non solo: Zverev è l’unico ad aver sconfitto in carriera almeno quattro volte Federer, Nadal, Djokovic, Sinner e Alcaraz, nonché l’unico ad aver avuto la meglio sia su Nadal sul Philippe Chatrier che su Djokovic sulla Rod Laver Arena. Che i due non fossero Rafa e Nole prime è ovvio, ma la statistica rimane perché basata su dati inconfutabili. Dunque, se Zverev ha scelto di non fermarsi, non gli rimane che cambiare la lente d’ingrandimento attraverso la quale vedersi in campo. Non basata sulle aspettative, ma basata sul progresso, su quello che, per intenderci, Sinner ha definito: “Accettare le sconfitte sapendo che servono a migliorare”. Chiaramente credendo nel miglioramento. E se poi, il traguardo finale rimane sempre lo Slam che manca, esistono sempre gli esempi di Stan Wawrinka e Goran Ivanisevic. Non è ancora troppo tardi.

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Viaggio dentro la crisi tecnica e mentale di Sascha Zverev

Michela Curcio