Please select your default edition
Your default site has been set

NBA, fino a dove possono arrivare gli Houston Rockets?

NBA

Dario Vismara

Trevor Ariza, l'unico giocatore ad aver vinto un titolo nel roster dei Rockets (Foto Getty)

Dopo una regular season di successo, i texani si sono sciolti in gara-6 contro San Antonio. Ma come cambia la loro stagione, e la loro estate, dopo questo risultato?

Con le immagini di gara-6 ancora fresche nella memoria e la prestazione di James Harden vivisezionata un po’ ovunque, verrebbe facile pensare che questa stagione degli Houston Rockets sia un “fallimento”. È per questo che conviene fare un passo indietro e ragionare un attimo su cosa ha rappresentato questa annata per la franchigia del Texas, prendere in considerazione da che punto sono partiti l’estate scorsa e fino a dove sono arrivati prima della indiscutibile débâcle di ieri sera. Che rimane l’ultima pagina del libro, e per questa pone sotto una luce diversa su tutto il resto del volume, ma non lo definisce nella sua totalità. E non cambia nemmeno più di tanto la sostanza in vista delle prossime stagioni, perché gli Houston Rockets hanno costruito un roster capace di vincere 55 partite e lo hanno sotto controllo per il prossimo anno, avendo un solo giocatore di rotazione (Nenê) senza contratto. Questo non significa che la loro estate sia priva questioni da risolvere, perché la dirigenza guidata da Daryl Morey dovrà trovare il modo di migliorare ulteriormente questo gruppo portandolo a fare un passo in più verso la corsa al titolo NBA. Sfortunatamente per loro, è anche il passo più difficile.

Started from the bottom…

Ora che è passato quasi un anno, è facile dare per scontato che gli Houston Rockets siano da considerare come una contender e per questo rimanere delusi da come sia finita la loro stagione. Ma alzi la mano chi avrebbe potuto immaginare di ritrovarseli a inizio maggio ancora in corsa per le finali di conference, perdendo solo al supplementare in gara-5 contro i San Antonio Spurs dopo aver espugnato l’AT&T Center in gara-1 vincendo di 30 punti. I Rockets dello scorso anno erano un gruppo in fase di auto-distruzione, con lo spogliatoio diviso tra Harden e Dwight Howard che non si sopportavano più e una proprietà intenzionata a riprendere in mano la situazione in maniera molto decisa, mettendo in discussione anche il posto del GM Daryl Morey. Poi magicamente tutti i pianeti – proprietà, dirigenza, superstar e il roster affidato al nuovo allenatore Mike D’Antoni – si sono allineati sulla stessa filosofia di gioco (una cosa rara nella NBA) e i razzi hanno potuto decollare verso una regular season che nessuno avrebbe potuto prevedere, vincendo 55 partite con il secondo miglior attacco della lega. James Harden ha disputato una stagione da candidato MVP (nessun dubbio a riguardo indipendentemente da gara-6); Eric Gordon, Ryan Anderson e Nenê hanno più che giustificato i contratti firmati in estate; giovani come Clint Capela (e in tono minore Sam Dekker e Montrezl Harrell) hanno trovato il loro posto in rotazione; gli specialisti 3&D come Trevor Ariza e Patrick Beverley hanno tenuto la difesa di Houston in linea di galleggiamento al 18° posto in regular season per rating difensivo (non un risultato scontato visto il personale a disposizione); perfino lo scambio di metà stagione per aggiungere Lou Williams alla batteria di tiratori più prolifica che la NBA abbia mai visto (1.181 triple segnate su 3.306 tentate, entrambi record nella storia della lega) è stato un successo.

… now we here (?)

Una stagione del genere, considerate le premesse, non può in nessun modo essere considerata un fallimento. Però il retrogusto amaro rimasto nelle bocche dei protagonisti e di chi li ha osservati sciogliersi in una gara-6 in cui erano stra-favoriti non può che sollevare delle questioni. Ad esempio: quanto sono lontani i Rockets, proprietari del terzo miglior record della NBA in regular season, a contendere davvero per il titolo? E cosa può/deve fare Daryl Morey per aiutare questo gruppo a raggiungere quell’obiettivo? Il lavoro del GM nel corso degli anni ha messo i Rockets nelle condizioni di avere grande flessibilità: come già detto, tutti i membri della rotazione tranne Nenê sono sotto contratto per il prossimo anno, e il monte salari è solo a 90 milioni, lasciando un po’ di spazio sotto il cap per potersi muovere in varie direzioni. Se il mercato non proponesse niente di interessante, Morey potrebbe semplicemente offrire un contratto annuale al centro brasiliano, riproporre insieme lo stesso gruppo scommettendo sulle crescite dei vari Capela, Dekker e Harrell (oltre alla maggiore esperienza del gruppo nel sistema di D’Antoni) per migliorare internamente, aggiungendo solo piccoli pezzi di contorno (un tiratore in più, un difensore sugli esterni, un lungo più difensivo che possa allungare le rotazioni). In questo modo preserverebbe il preziosissimo spazio salariale per l’estate 2018, quando con le scadenze di Ariza e Williams potrebbe creare abbastanza spazio per offrire un contratto al massimo salariale e aggiungere una stella di fianco a James Harden. Una tattica non priva di criticità, visto che con i free agent non si può mai sapere e, soprattutto, dovrebbero far andare Clint Capela in restricted free agency (correndo il rischio di dover pareggiare un contratto al massimo salariale) invece di estenderlo già da quest’anno.

All-In o Fold?

Sostanzialmente i Rockets devono farsi questa domanda: ha senso andare “all-in” subito, anche a costo di compromettere il proprio futuro, per contendere immediatamente per il titolo oppure ha più senso aspettare una mano migliore, osservando il comportamento delle altre squadre del loro livello (San Antonio, Utah e Clippers) e agire di conseguenza? Ovvio che se ci fosse l’opportunità di migliorare in uno dei ruoli del quintetto lo farebbero subito, specialmente nel settore delle ali dove servirebbe un giocatore con punti nelle mani che sappia giocare entrambe le metà campo per fare il vero salto di qualità. Un profilo difficilissimo da trovare e ancor più da “comprare” sul mercato, visto che i pochi che rispondono a queste caratteristiche sono delle stelle o giù di lì. Ma c’è un motivo se il passaggio da “grande squadra” a “pretendente per il titolo” è il più complicato da fare, tanto è vero che diverse ottime franchigie con eccellenti giocatori non sono mai riuscite a farlo (Clippers anyone?) o hanno avuto bisogno di condizioni particolarissime per riuscirci anche solo per un anno (Dallas 2011). A volte, forse banalmente, serve anche un po’ di sana, vecchia fortuna — quella che gli Houston Rockets 2016-17 sono riusciti a crearsi solamente a tratti prima di crollare sul rettilineo finale.