La velocità parla inglese, ma per fortuna che Alessandro c'è
Altri SportGIOVANNI BRUNO racconta la seconda tappa del Giro del Centenario. A rivedere l’ordine d’arrivo di Trieste ti sembra una vittoria italiana in terra straniera: dietro a Petacchi, quanta Australia, e Inghilterra e Stati Uniti...
di GIOVANNI BRUNO
Un lento dormire, dolce e magnifico nell’osservare i panorami che l’Italia ci offre sul litorale a salire verso la Slovenia. Il bordeggiare, con occhio spento, ci permette di riposare e anche di sentirsi appagati nella fatica di chi altri, nel pedale, crede come fuga di giornata. Scarselli va via prestissimo, al nono chilometro, e già sappiamo che avrà poca vita… il gruppo è tranquillo quasi a festeggiare il neo-rosa Cavendish. Di Scarselli, una volta ripreso, a quaranta dall’arrivo, rimane l’immagine della fatica e, per chi non se ne fosse accorto, una lunga scia di caldo sudore, tanto da scolorirgli la maglia della ISD.
Era realmente distrutto, prosciugato, ed è stata quasi una liberazione quando è passato il folto treno del gruppo. Chiusa la lunga parentesi, eccoci finalmente a godere del bello, bellissimo finale. Difficile anche da interpretare. Una salita, una strettoia, una discesa e tanti che vogliono stare davanti, tanti, tantissimi. Si vede Lance Armstrong, Danilo Di Luca che si trascina dietro Alessandro Petacchi, tutta la Garmin che vuole avere Farrar in rosa, l’ovvia risposta della Columbia che il rosa ce l'ha. Insomma, cominciano i giochi che hanno proprio nella salitella di Montebello il momento cruciale per un attacco.
Ma prima di quello stacco, vi è un restringimento “carogna“ della carreggiata. La lotta, per non rimanere intruppati nell’imbuto, è tutta davanti. Sembrava di ritornare alle classiche del nord con questi tre. A loro per fortuna, vista la totale stupidità, manca Tom Boonen, lui al Giro non c’è. C’è invece per la giustizia, vista la sua seconda volta con la cocaina: ora il 28 enne belga rischia cinque anni di carcere.
Torniamo al finale, visto che il finale di Boonen è forse già scritto. Il finale di Trieste sembra tutto definito quando i tre vengono ripresi dalle squadre dei velocisti Lpr, Garmin e Columbia. La maglia rosa è li, alle spalle dei suoi, a dettare il ritmo... calmo, tranquillo, sicuro di vincere. Lo abbiamo visto con una inquadratura dal basso, quando qualcuno ha tentato di inserirsi tra lui e il suo uomo di riferimento. Una leggera ed evidente spallata ha fatto desistere immediatamente il malcapitato. Cavendish nasce in pista e non ha problemi quando il gioco si fa duro, si sa destreggiare in spazi stretti e non perde occasione, nonostante la sua giovane età, di far sapere quanto sia forte anche all’interno del Giro.
Ma se davanti si scelgono le ruote per il destino del vincitore, dietro, nella già citata strettoia (ci sono passati tre volte), si cade e ci si ferma. E allora controlli chi, degli uomini di classifica rimane attardato e ti viene un colpo quando il color verde della Liquigas è presente. Tanti "e perché?". C’è Ivan Basso, mannaggia, altri 13 secondi persi. Ma come si fa, una squadra di esperti e con due uomini da classifica come Basso e Pellizzotti, a perdere così. Sarà compito di Amadio, il DS , farsi sentire. Regalare ora ai vari Di Luca e Armstrong un’altra manciata di secondi fa male.
Questo è quello che avviene dietro, davanti è quello che non ti aspetti o almeno quello che non hai pronosticato. Il silente Petacchi, l’Ale-Jet, di qualche anno fa, si fa sentire ed eccome. Anticipa Cavendish e lo precede alla grande o Ale-grande, con la sicurezza e la furbizia di un tempo. Cavendish si è fidato troppo del suo stato di forma e della sua squadra. La Columbia ha sbagliato, si è trovata già al chilometro e mezzo con solo due uomini. Boasson Hagen ha tirato troppo, mentre l’ultimo uomo di Cavendish, Renshaw, troppo poco ed era già stanco quando ha lanciato l’uomo l’inglese.
Petacchi, proprio al momento del cambio di linea della Columbia, si è proiettato davanti portandosi verso le transenne per non farsi chiudere, una leggera allargata ha dato il definitivo colpo di grazia. A rivedere l’ordine d’arrivo ti sembra una vittoria italiana in terra straniera: primo Petacchi, poi che Inghilterra, Inghilterra, Australia, Stati Uniti… è proprio vero che la velocità parla anglosassone, ma per fortuna che c’ è Petacchi.
Un lento dormire, dolce e magnifico nell’osservare i panorami che l’Italia ci offre sul litorale a salire verso la Slovenia. Il bordeggiare, con occhio spento, ci permette di riposare e anche di sentirsi appagati nella fatica di chi altri, nel pedale, crede come fuga di giornata. Scarselli va via prestissimo, al nono chilometro, e già sappiamo che avrà poca vita… il gruppo è tranquillo quasi a festeggiare il neo-rosa Cavendish. Di Scarselli, una volta ripreso, a quaranta dall’arrivo, rimane l’immagine della fatica e, per chi non se ne fosse accorto, una lunga scia di caldo sudore, tanto da scolorirgli la maglia della ISD.
Era realmente distrutto, prosciugato, ed è stata quasi una liberazione quando è passato il folto treno del gruppo. Chiusa la lunga parentesi, eccoci finalmente a godere del bello, bellissimo finale. Difficile anche da interpretare. Una salita, una strettoia, una discesa e tanti che vogliono stare davanti, tanti, tantissimi. Si vede Lance Armstrong, Danilo Di Luca che si trascina dietro Alessandro Petacchi, tutta la Garmin che vuole avere Farrar in rosa, l’ovvia risposta della Columbia che il rosa ce l'ha. Insomma, cominciano i giochi che hanno proprio nella salitella di Montebello il momento cruciale per un attacco.
Ma prima di quello stacco, vi è un restringimento “carogna“ della carreggiata. La lotta, per non rimanere intruppati nell’imbuto, è tutta davanti. Sembrava di ritornare alle classiche del nord con questi tre. A loro per fortuna, vista la totale stupidità, manca Tom Boonen, lui al Giro non c’è. C’è invece per la giustizia, vista la sua seconda volta con la cocaina: ora il 28 enne belga rischia cinque anni di carcere.
Torniamo al finale, visto che il finale di Boonen è forse già scritto. Il finale di Trieste sembra tutto definito quando i tre vengono ripresi dalle squadre dei velocisti Lpr, Garmin e Columbia. La maglia rosa è li, alle spalle dei suoi, a dettare il ritmo... calmo, tranquillo, sicuro di vincere. Lo abbiamo visto con una inquadratura dal basso, quando qualcuno ha tentato di inserirsi tra lui e il suo uomo di riferimento. Una leggera ed evidente spallata ha fatto desistere immediatamente il malcapitato. Cavendish nasce in pista e non ha problemi quando il gioco si fa duro, si sa destreggiare in spazi stretti e non perde occasione, nonostante la sua giovane età, di far sapere quanto sia forte anche all’interno del Giro.
Ma se davanti si scelgono le ruote per il destino del vincitore, dietro, nella già citata strettoia (ci sono passati tre volte), si cade e ci si ferma. E allora controlli chi, degli uomini di classifica rimane attardato e ti viene un colpo quando il color verde della Liquigas è presente. Tanti "e perché?". C’è Ivan Basso, mannaggia, altri 13 secondi persi. Ma come si fa, una squadra di esperti e con due uomini da classifica come Basso e Pellizzotti, a perdere così. Sarà compito di Amadio, il DS , farsi sentire. Regalare ora ai vari Di Luca e Armstrong un’altra manciata di secondi fa male.
Questo è quello che avviene dietro, davanti è quello che non ti aspetti o almeno quello che non hai pronosticato. Il silente Petacchi, l’Ale-Jet, di qualche anno fa, si fa sentire ed eccome. Anticipa Cavendish e lo precede alla grande o Ale-grande, con la sicurezza e la furbizia di un tempo. Cavendish si è fidato troppo del suo stato di forma e della sua squadra. La Columbia ha sbagliato, si è trovata già al chilometro e mezzo con solo due uomini. Boasson Hagen ha tirato troppo, mentre l’ultimo uomo di Cavendish, Renshaw, troppo poco ed era già stanco quando ha lanciato l’uomo l’inglese.
Petacchi, proprio al momento del cambio di linea della Columbia, si è proiettato davanti portandosi verso le transenne per non farsi chiudere, una leggera allargata ha dato il definitivo colpo di grazia. A rivedere l’ordine d’arrivo ti sembra una vittoria italiana in terra straniera: primo Petacchi, poi che Inghilterra, Inghilterra, Australia, Stati Uniti… è proprio vero che la velocità parla anglosassone, ma per fortuna che c’ è Petacchi.