Sport e omosessualità, Boga sfida i tabù. Su tutti i campi

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La squadra di pallacanestro della polisportiva Boga di Bologna
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A Bologna, dal 2004, esiste un'associazione sportiva gay che ora conta un centinaio di associati per 5 discipline. "Al di là delle battutine, lo sport è lo stesso per tutti. Omofobia? Più che altro mancano gli sponsor... Da Prandelli un passo avanti"

di Lorenzo Longhi
da Bologna

L’apertura di Cesare Prandelli, la chiusura di Antonio Di Natale: l’omosessualità, e soprattutto l’opportunità di fare outing, nel calcio sono un tabù, molto più che in altri sport. E in Italia molto più che negli altri Paesi. Eppure, da noi, una squadra calcistica dichiaratamente gay esiste. Di più: esiste una polisportiva omosessuale, Bogasport di Bologna, che dopo le parole del ct ha deciso di applaudire quello che è “un piccolo passo avanti, perché il ct prende atto di un aspetto che rappresenta la normalità e lo abbiamo voluto rimarcare”, raccontano Vittorio Gaetano e Paola Antoniella, due dei responsabili della polisportiva. Boga sta per “Bologna gay”, appunto: una associazione affiliata alla Aics - che, su spinta del Boga, ha aperto la sezione Gaycs - e alla quale possono iscriversi tutti, gay e non: “Da noi vengono e si associano anche eterosessuali, senza nessun problema, siamo aperti a tutti. Ci accomunano però alcuni principi e un’identità gay o gay friendly, non matrici politiche. Soprattutto rappresentiamo un luogo ‘protetto’ in cui fare sport senza autoghettizzarsi. Qui abbiamo argomenti in comune, ma siamo un’associazione sportiva come tutte: lo sport è sport, le regole quelle sono, dunque…”

Tre anni fa, quando venne fondata la squadra di basket, il sostegno dato all’associazione dal presidente della Virtus Pallacanestro Claudio Sabatini mise il Boga Basket sotto i riflettori. La polisportiva, che aveva cominciato l’attività nel 2004 con la costituzione di una squadra di pallavolo, da allora è cresciuta: oggi può contare su oltre un centinaio di associati per cinque sezioni sportive, perché a volley e pallacanestro si sono aggiunti tennis, calcio e, buon ultimo, il ciclismo. “All’inizio dell’attività - racconta Gaetano - chi non conosceva la nostra realtà durante i tornei nemmeno si accorgeva dell’associazione o di cosa significasse ‘Boga’. Poi il nome ha preso a girare e la popolarità che ci ha dato il basket, dal sostegno della Virtus a quello di Dino Meneghin ha cominciato a farci identificare. Se prima partecipavamo soprattutto al circuito dei tornei lgbt, specie in quelli internazionali come gli Eurogay games o le Olimpiadi gay, ora siamo attivi anche nei tornei locali a diversi livelli, quelli Uisp e Csi per esempio. Omofobia? Magari la battuta facile c’è, ma problemi in questo senso non ne abbiamo mai avuti. Magari anche perché Bologna è una sorta di isola felice”.

In effetti Bogasport ha anche il patrocinio (senza portafoglio) di istituzioni come Provincia e Regione e, se nel basket un club storico come la Virtus collabora con l’associazione, fa lo stesso anche la principale società di volley bolognese, la Zinella. Tuttavia, la polisportiva ha i classici problemi che tutte le associazioni sportive hanno, soprattutto in momenti di congiuntura economica sfavorevole. Si parla infatti di sponsor. Ed è qui che le barriere esistono: “Per gli sponsor in Italia essere gay ha ancora un’accezione negativa e spesso, da parte di alcune realtà, non si sposa la causa perché è contraria al marketing aziendale, non dà vantaggi commerciali. Il mercato omosessuale, in un paese fortemente cattolico, non tira - illustra Antoniella - al contrario di quanto accade altrove. Negli Stati Uniti, da Carl Lewis a Greg Louganis passando per la Navratilova, il mercato è diverso, anche se vi sono stati casi, come quello della francese Mauresmo, che ha perso sponsor dopo avere fatto outing. Ma prima che lo facesse, anche se si sapeva, non aveva avuto problemi. Anche per questo in Italia credo sarà molto difficile organizzare manifestazioni come, ad esempio gli Eurogay games”.

Poi, fra i vari sport, nel calcio le reazioni alle parole del ct fanno capire che c’è ancora della strada da fare: “Siamo passati da Lippi, che nel 2009 sosteneva che non esistessero gay nel calcio, ad una posizione secondo cui, per molti, ci sono e non si deve dire. Ormai nessuno si incarica più di buttarsi in crociate contro l’omosessualità, una posizione assurda e oscurantista, ma si vuole arginare la presa di coscienza che omosessualità esiste, che i gay sono come tutti gli altri, lavorano, studiano, fanno sport interagiscono nel mondo come tutti gli altri. La questione dell’outing è ancora un problema, per certi contesti un dramma. Ma il tessuto sociale attuale rende ottimisti per il futuro”. E lo sport, poco alla volta, anche.