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Ginnastica artistica, il profilo di Simone Biles: una storia americana di successo

Altri Sport

Francesco Pierantozzi

Simone Biles sarà protagonista dei Mondiali di ginnastica artistica in programma a Doha fino al 3 novembre. La statunitense torna sul palcoscenico internazionale oltre due anni dopo l'Olimpiade di Rio

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La storia americana perfetta da raccontare, da film. Se uno non sapesse che è vera penserebbe al più classico dei fake. Ragazzina piena di fratelli, abbandonata dal padre, viene cresciuta (si fa per dire) da una madre alcolizzata e drogata…La salva il nonno, un ex controllore del traffico aereo, che la porta dall’Ohio al Texas ma soprattutto nella sua famiglia, con nuova moglie, una infermiera originaria del Belize. Se non vi siete persi, a proposito il nonno è ovviamente quello materno, siamo al punto di inizio della storia di Simone Biles, oggi ventenne. Oggi famosa, anche benestante, piena di medaglie, una ventina scarsa tra mondiali e olimpiadi, messe assieme con la ginnastica. Uno di quei nomi che in Italia si sentono pronunciare ogni quattro anni, uno di quei nomi soffocati dal calcio che respirano autonomamente quando la macchina a cinque cerchi si mette in moto, uno di quei nomi che non sono molto lontani da Phelps o Bolt o, per stare tra le donne, Ledecky. La ginnastica per chi ha una cinquantina di anni è ancora la grazia di Nadia Comaneci, che distrusse Olga Korbut prima di farsi distruggere dal figlio del dittatore comunista romeno Ceausescu, uno dei tanti molestatori ante “me-too”…L’aggancio con Simone Biles non è solo fatto di medaglie ma anche di molestie, visto che l’americana è finita nel nutrito gruppo di atlete mal-“trattate” dall’osteopata Larry Nassar, condannato a 40 anni di prigione, per aver abusato in vent’anni di un centinaio di atlete ragazze, bambine diciamo, e donne, ginnaste. Tanto per rendere il copione di una storia, vera, ancora più intrigante. La normalità è l’incontro a 6 anni con la ginnastica, l’ingresso a 15 nella squadra nazionale, un movimento che ha il suo nome, il Simone Biles appunto, dal 2013, doppio salto mortale con mezzo avvitamento, una forte fede cristiana, anzi cattolica, un libro “Courage to soar”,  “il coraggio di librarsi”, con traduzione un po’ libera e un po’ antica, per raccontare la storia del suo successo, passione e perseveranza, il lavoro duro, l’essere sempre positiva. Anche al doping purtroppo ma per sbaglio e con tanto di ricetta medica salva medaglie, insomma a causa di un farmaco, dichiarato prima delle gare, per superare una sindrome, nota sin da quando era bambina, di deficit di attenzione e iperattività. Le sostanze incriminate, per i cultori del nozionismo tecnico, sono metilfenidato e acido ritalinico. In sostanza nulla che possa inquinare le medaglie, 4 d’oro a Rio de Janeiro nel 2016, corpo libero, volteggio, concorso generale individuale e con la squadra. E poi ci sono dieci medaglie d’oro mondiali, 3 volte consecutivamente campionessa nell’individuale. Una contabilità destinata a crescere sul suo metro e quarantadue di altezza dopo diciotto mesi sabbatici per lei che non è stata la prima statunitense a essere ricordata per una olimpiade da grande protagonista nella ginnastica, vedi Shannon Miller ad Atalanta, oro nella trave e a squadre, e neppure la prima afroamericana a conquistare una olimpiade, vedi Gabby Douglas, Londra 2012 concorso generale individuale e a squadre. E pure a Ballando con le stelle si è fatta anticipare dalla compagna di squadra Laurie Hernandez, che ha pure vinto la 23esima edizione negli Usa nel 2016. Ma per una storia americana può bastare.