La Diplomazia del ping pong: 50 anni fa la "pace" tra Cina e Usa

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Alfredo Corallo

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Il 10 aprile del 1971 gli atleti a stelle e strisce della Nazionale di tennis-tavolo furono i primi americani a mettere piede a Pechino dall'avvento di Mao, rompendo così il muro della diffidenza tra Stati Uniti e Cina. Allora i media battezzarono "Ping-pong diplomacy" quel momento storico, nato da un episodio casuale, che ispirò anche una delle "imprese" di Forrest Gump

 

"Qualcuno sosteneva che la pace del mondo fosse nelle nostre mani, ma io stavo solo giocando a ping pong!". C'è un'unica via, forse, per vincere lo scetticismo che dal 1971 circonda questa storia: osservarla con la purezza di Forrest Gump, lui sì che c'era... mezzo secolo fa; anzi, fu proprio la creatura letteraria di Winston Groom - divenuta iconica nell'adattamento cinematografico di Robert Zemeckis per l'interpretazione da Oscar di Tom Hanks - il peacemaker, l'uomo che favorì, idealmente - e del tutto involontariamente, come nel suo stile - la riapertura del dialogo tra Cina e Usa. Parola d'onore del nostro eroe, ancora lì assorto sulla sua panchina di Savannah a fantasticare su Jenny, la guerra del Vietnam e l'amicizia con "Bubba", che gli morirà tra le braccia e mille atrocità. Ardito e fortunato, Forrest, che se l'era cavata con una pallottola nelle natiche e che durante il ricovero all'ospedale militare apprenderà le regole del gioco, ora abile e arruolato per rappresentare l'esercito nel torneo di table-tennis che segnerà di fatto una svolta nelle relazioni tra le due superpotenze: "Pensavo - rammenta - che mi avessero rispedito tra i Vietcong, ma i miei superiori si convinsero che il modo migliore di combattere i comunisti fosse il ping pong...". Nella tana dei dragoni il soldato Gump regala colpi d'alta scuola e al ritorno in patria viene accolto da divo; ricoperto d'oro dalle pubblicità, con i guadagni ottenuti da testimonial di una marca di racchette potrà dedicarsi al commercio di gamberi, onorando la promessa all'amico caporale. Superlativo, ripensando alla sua partecipazione al "Dick Cavett Show", al fianco di John Lennon: "Siamo stati i primi americani a entrare in Cina dopo milioni di anni, ero diventato più famosissimo di Pinocchio!". In realtà "appena" da 22, dal 1949, dall'avvento della Repubblica Popolare e di Mao Tse-tung, che aveva un'idea meno innocente del loro sport nazionale: "Guarda la palla e pensa che sia la testa del nemico capitalista - uno dei suoi celeberrimi slogan - poi colpiscila con la nostra battuta socialista!". E dire che Forrest - come l'altrettanto "svagato" Glenn, il vero protagonista di questa specie di "anime" geopolitico - volevano soltanto prendere un normalissimo, "democratico" bus...

Forrest Gump

Favorisca il biglietto

Glenn Cowan era l'hippie della comitiva, tutto riccioli e peace & love, un figlio dei fiori con il "vizio" - tra i tanti - del ping pong. Newyorkese trapiantato a Los Angeles e allievo del maestro Milla Boczar, affonda con gli States ai Mondiali giapponesi del 1971, sbattuti fuori al primo turno. Ma per le cronache mandarine dell'epoca - in verità le uniche fonti ufficiali, da qui i sospetti di una "sceneggiatura" creata ad arte - Cowan non ne volle sapere di tornare in albergo. Si fermò ancora un po' all'Aichi Prefectural Gymnasium di Nagoya e per smaltire la delusione scambiò due chiacchiere e qualche punto con alcuni dei campionissimi rimasti ad allenarsi nella struttura. Quando esce è confuso, lo hanno simpaticamente lasciato a piedi: e ora? Come per magia - non è ben chiaro se perché sia stato invitato a salire o per la sua naturale predisposizione all'autostop, da bravo figlio della Beat Generation - si ritrovò sul pullman della Nazionale cinese: un americano, un "imperialista" nel covo del Comunismo! Insomma, Glenn sarebbe stato perquisito come un "Ajeje Brazorf" qualunque se da lì a poco non fosse salita in cattedra l'altra star di questa favola: "il grande e irreprensibile" Zhuang Zedong

 

Il mio miglior nemico

ZZ era una leggenda vivente del pīngpāng qiú, il prediletto di Mao. Classe 1940, tre volte iridato e dalla tecnica rivoluzionaria - mutuata dalle arti marziali - eppure  "dispensata" dalla censura Rossa, che aveva realmente costretto capitan Zhuang e compagni a saltare i due campionati del mondo precedenti per eludere spiacevoli minacce revisionistiche. Comprensibile, allora, il disagio di ospitare una potenziale "spia" del Pentagono sul proprio autobus: "E io dovrei sedermi accanto al mio nemico numero uno?", il dilemma di Zedong. Sarà così, che, dopo dieci interminabili minuti di "studio" dell'avversario e con l'ausilio dell'interprete, porgerà la mano all'agente segreto Cowan, nome in codice Flower power: "Malgrado il governo degli Stati Uniti non sia amico della Cina - pare gli sussurrò in un orecchio - il vostro popolo è amico dei cinesi". Estraendo dal cilindro - dal borsone? - un preziosissimo dipinto in seta dei Monti Huangshan, in segno di pace per il fratello yankee. Che vorrebbe ricambiare, ma nelle tasche dei suoi jeans a zampa non ha che un misero pettine! Il nostro Fonzie si gratta la testa per l'imbarazzo e voit la l'illuminazione: da qualche parte, in camera, dovrebbe avere una t-shirt con i colori pacifisti e la scritta "Let It Be", dei Beatles. Perfetta. La morte sua.

Zhuang Zedong e Glenn Cowan
©Ansa

 

Ping Pong diplomacy

Il trasferimento dal palazzetto non durò che un quarto d'ora, ma la notizia si sparse con la velocità della luce e decine di giornalisti si erano già accalcati nel piazzale dell'hotel. Glenn sta al gioco, alle domande sempre più insistenti sull'incontro, si sbilancia: "Visitare la Cina? Mi piacerebbe vedere tanti Paesi, e sì, fra questi anche la Cina". Lo scatto della "strana coppia" finisce dritto sulla cover di Dacankao - giornale indirizzato alle alte sfere del regime - e non può che essere accolto con favore dal Comandante Supremo: il piano di Mao e del presidente statunitense Richard Nixon - alleggerire le tensioni in chiave anti-sovietica - può decollare, compiere il definitivo balzo in avanti. Così, il 10 aprile del 1971, la delegazione americana - di stanza nella britannica Hong Kong - vola a Shangai per un tour di una settimana tra amichevoli, spettacoli di danze orientali e perché no, un salto alla Muraglia e alla Città Proibita. Qualche mese più tardi - tra le conseguenze di quella che fu ribattezzata "Ping Pong diplomacy" - la Repubblica Popolare del dittatore di Shaoshan sarà ritenuta l'esclusiva, legittima rappresentante alle Nazioni Unite, a discapito della Republic of China (l'ex presidio nazionalista guidato dal "collega" Chiang Kai-shek che si era rifugiato a Taiwan in seguito alla disfatta nella guerra civile e titolare fino all'asse Mao-Nixon del seggio nel Consiglio di sicurezza). Una questione mai risolta - e che non certo una pallina potrà dirimere - con ovvie ripercussioni anche a livello sportivo (l'isola  continua a essere giudicata una "provincia" da Pechino e nonostante sia a tutti gli effetti indipendente, Taipei non può - ad esempio - gareggiare alle Olimpiadi con la sua bandiera ufficiale).

Ping Pong Diplomacy

 

Zhuang e Cowan: l'ultima fermata

Per la sua abilità politica, Zedong sarà ricompensato dal Partito con una "poltrona" da Ministro dello sport. Un carica macchiata di sangue, che alla scomparsa del Timoniere pagherà con l'esilio forzato e la prigionia. Riabilitato al ruolo di talent scout di giovani promesse della racchetta, morirà nel 2013, con un groppo in gola, manifestato in una lettera alla madre di Cowan, affetto da schizofrenia e ucciso dalla droga poco più che cinquantenne. "Non aver avuto la possibilità di rivedere Glenn - confessa Zhuang - è il più grande rimpianto della mia vita". Capolinea, scendere.