Muhammad Ali, 60 anni fa il 1° titolo mondiale a Miami: il racconto

l'anniversario
Fabio Tavelli

Fabio Tavelli

25 febbraio 1964, esattamente 60 anni fa, cambiò la storia della boxe e più in generale dello sport: a Miami Cassius Clay conquistò per la prima volta la corona di Campione del Mondo dei pesi massimi, battendo il campione in carica Sonny Liston. Il racconto di Fabio Tavelli

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Sonny Liston aveva come sempre addosso la “tunica del carnefice”. Un lenzuolo bianco di spugna arrotolato sopra la nuca per farlo sembrare ancora più grosso. Non ne aveva bisogno, bastava guardarlo anche solo di sfuggita per cambiare strada nel malaugurato caso Sonny avesse voglia di cercar guai (non per lui). Aveva le mani talmente grandi che trovargli i guantoni era alquanto complicato, una volta stese un avversario con un jab sinistro, il suo colpo migliore, talmente forte che il malcapitato finito a terra non riuscì a togliersi il paradenti. Si era incastrato, era diventato tutt’uno con la sua faccia. Dovette intervenire la maxillofacciale che insieme al paradenti dovette estrargli anche sette denti. Clay invece aveva deciso di attuare la tecnica del pagliaccio. Derideva Sonny, lo chiamava gorilla, lo prendeva in giro sul fatto che probabilmente non conoscesse tutte le lettere dell’alfabeto. Certamente ne usava poche, anche perché al contrario di Cassius non aveva granchè voglia di perder tempo a parlare. Per lui parlavano i suoi cazzotti. 

Cassius e il dottor Pacheco

Dopo la cerimonia del peso, che si era svolta la mattina stessa dell’incontro, il dottor Robbins era incaricato dalla Federazione Americana di verificare i parametri dei pugili. Battito cardiaco, pressione del sangue eccetera. Quelli di Cassius erano totalmente fuori misura. “Questo ragazzo è terrorizzato, se i parametri non tornano sotto controllo non posso dare l’idoneità al match”, disse Robbins al collega Ferdie Pacheco, il fedelissimo medico che seguiva e seguirà il più grande per tutta la sua carriera. Qualcuno sospettava che fosse tutta una messinscena e che Cassius non si sarebbe presentato sul ring. Troppo il divario tra i due, c’era chi scommetteva che Sonny l’avrebbe fatto a pezzi in meno di un round. Un trattamento simile a quello riservato a Floyd Patterson. Il dottor Pacheco si fece anche stampare una piantina della città di Miami per cercare il percorso più breve per l’ospedale più vicino. Era certo anche lui che la serata sarebbe finita lì. 

La visita di Malcom X prima del match

Il Convention Hall di Miami era mezzo vuoto. Su 15.744 biglietti ne erano stati venduti meno di 9.000. Essenzialmente per tre motivi. Troppo divario tra i due pugili, i biglietti costavano un sacco di soldi e spenderli per vederne uno a terra e poi all’ospedale in un round era francamente troppo. Secondo motivo: c’erano voci sempre più insistenti che Cassius avrebbe annunciato la sua adesione alla Nation of Islam e la cosa all’America bianca garbava assai poco. Poi c’era un motivo di ordine meteorologico perché su Miami si stava scatenando il classico uragano tropicale. Cassius al palazzo ci arrivò molto presto, voleva vedere sul ring il suo fratellino minore Rudy. Di pubblico ce n’era ancora pochissimo, poche centinaia di anime per quei match di sotto-clou che servono per tenere sveglia la gente in attesa dell’incontro principale. Rudy vinse ai punti ma Cassius lo vide più volte in difficoltà e, molto amareggiato, consigliò (ascoltato) al fratello di lasciar perdere con la boxe. Ma ora toccava a lui. Era considerato da tutti un chiacchierone, uno da non prendere troppo sul serio. Aveva vinto l’oro nei medio-massimi alle Olimpiadi di Roma nel 1960, sì, ma questa è roba diversa. Sonny Liston gli passerà sopra come un camion, era la sensazione di quasi tutti gli addetti ai lavori. Impossibile trovare un allibratore che accettasse una scommessa su Clay. Pochi minuti prima di salire sul ring nello spogliatoio di Cassius regnava il silenzio. Il dottor Pacheco aveva verificato che la pressione del sangue del suo ragazzo era tornata normale, il secondo storico, Angelo Dundee, lo curava amorevolmente come un padre. Entrò anche Malcom X che con la consueta prosopopea ricordò al giovane Cassius Marcellus che Allah lo guardava e stava all’angolo con lui e non con quel mostro di Sonny. Calzoncini bianchi e righe rosse per lo sfidante, bianchi con righe nere per il campione. Che, se possibile, sembrava ancora più cattivo sotto quella tunica. 

La prima chiave del match

Ma ecco la prima chiave del match. Angelo Dundee era un artista non solo con le strategie di combattimento. Era anche un raffinatissimo conoscitore dei comportamenti umani. Quando l’arbitro Barney Felix chiamò i pugili al centro del ring per le classiche raccomandazioni (“non abbassate la testa, niente colpi bassi, non legate ecc”), Angelo prese la testa del suo ragazzo e guardandolo negli occhi gli disse: “stai dritto con le spalle, fagli vedere che sei più alto di lui. Che sei grosso quanto lui”. E così fece. Sonny cercò più volte di incrociargli lo sguardo per mettergli addosso ancor più terrore. Ma Cassius era più alto e per vedergli le pupille Sonny dovette alzarsi in punta di piedi. Non aveva ancora realizzato che questa volta avrebbe fatto più fatica ad imporre il suo devastante jab ad uno che aveva un allungo superiore.

"Sono il re del mondo!"

Dopo due riprese Cassius all’angolo sentiva a bordo ring i racconti dei radiocronisti stupirsi per l’andamento. “Incredibile, Cassius è ancora in piedi. Abbiamo ancora un incontro, gentile radioascoltatori”. Cassius aveva preso in mano sorprendentemente il match, stava martellando l’occhio sinistro di Sonny regolarmente. Il campione schiumava rabbia, e pure un po’ della birra che aveva bevuto in eccesso fino al giorno prima confidando di sbrigare una pratica facile. Liston aveva tirato tre-quattro diretti che avrebbero ucciso un toro. Ma alcuni di questi erano andati fuori bersaglio. Cassius era talmente veloce che quando il cazzotto di Sonny partiva lui era già altrove. Alla terza ripresa Sonny si fece due domande. “Perché non l’ho ancora buttato giù? E perché se c’è uno che sanguina sul ring, quello sono io?”. Si arrivò fino alla leggenda della quarta ripresa, quella con i secondi di Liston che gli spalmano una pomata urticante sui guantoni per accecare Cassius. Che prese una serie di sventole che non lo mandarono al tappeto per miracolo ma che al tempo stesso esaurirono tutte le energie di Sonny. Che, ormai spompato, nemmeno si alzò per la settima ripresa. Rimase lì sullo sgabello, sputò il paradenti e urlo: “basta!”. I suoi secondi interpretarono quel “basta” come un scossone emotivo, come a dire: “basta, adesso lo metto al tappeto”. Invece era proprio un segnale di resa e quando gli ricacciarono in bocca il paradenti, l’ormai ex-campione lo sputò nuovamente sul ring. Vista la scena, Cassius capì tutto. Si alzò di scatto e iniziò a esultare come in preda ad una scossa emotiva irresistibile. “Sono il Re del Mondo!!!!”, urlò a squarciagola nella notte di Miami, mentre i bookmakers contavano i profitti per soldi che non avrebbero mai ridato a chi aveva puntato su Liston e i giornalisti si preparavano a scrivere un finale diverso della storia. Che quel giorno, 25 febbraio 1964, avrebbe visto il tramonto di Sonny Liston. Che avrebbe ritrovato lo stesso avversario un anno e pochi mesi dopo, 25 maggio 1965, ma con un nome diverso: Muhammad Ali.