Atletica, doping: controlli saltati, sospeso iridato Manyonga

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Il campione del mondo 2017 di salto in lungo e argento ai Giochi di Rio, è stato sospeso per aver infranto le regole antidoping: non ha fatto sapere dove si trovasse e di conseguenza reo impossibili eventuali controlli a sorpresa. C'era un precedente nella sua carriera

Un altro campione sospeso per aver saltato i controlli antidoping. E con Luvo Manyonga fanno quattro. Sono diventati infatti quattro gli atleti che tra il 2017 e il 2019 hanno vinto un oro mondiale e che negli ultimi mesi sono stati sospesi per errori nei “whereabouts” cioè il sistema di localizzazione che ogni atleta deve compilare, fornire 365 giorni all’anno la mappa degli spostamenti, segnalare un luogo e un’ora esatta come reperibilità per sottoporsi ai test a sorpresa. Tre controlli saltati nell’arco di un anno implicano una squalifica doping per due anni.

 

Dopo Christian Coleman, campione iridato 2019 nei 100 metri (squalificato lo scorso ottobre per due anni, l’americano nel frattempo ha presentato appello al TAS di Losanna), dopo Salwa Eid Naiser, campionessa 2019 nei 400 metri (la velocista del Bahrain ha ricevuto una sospensione provvisoria ma non è stata squalificata, la Federazione Internazionale di Atletica ha fatto ricorso al TAS chiedendo che invece venga sanzionata), dopo il keniota Elijah Manangoi (titolo mondiale nei 1500 metri a Londra 2017) ecco che Manyonga è il quarto nome illustre a cadere nelle rete dell’antidoping. Solitamente li definiamo campioni che fanno i furbi, che svicolano, che si fanno un baffo degli ispettori antidoping. Il caso di Luvo invece è diverso, questa sospensione nasconde molto altro, il suo doping non è un mezzo per barare, è un tunnel buio di una vita umana. Ancora una volta è ripiombato nel baratro, da 10 anni continua a cascarci. Manyonga è cresciuto a Mbekweni, sobborgo povero di Paarl in Sudafrica, dove sin da piccoli ci si stordisce con pillole di Crystal Meth, denominata la droga dei poveri perché dà euforia e toglie la fame, non a caso la comparsa di tale stupefacente risale alla Seconda Guerra Mondiale utilizzato dai soldati per non sentire i morsi della fame e per caricarsi di adrenalina.

 

Manyonga fin da piccolo ha spiccata doti atletiche, una velocità esplosiva e una falcata che lo fanno saltare più lontano di tutti, nel 2011 conquista l’oro nel salto in lungo ai Mondiali Juniores. E’ un predestinato, su di lui ci sono aspettative molto alte quando mancano pochi mesi alle Olimpiadi di Londra, ma l’infanzia difficile lo riporta sempre tra i disperati dei vicoli di Mbekweni dove inizia a drogarsi. Viene beccato, positivo al Crystal Metal, addio Londra 2012, squalificato per 24 mesi ridotti poi a 18 mesi per pietas umana, i giudici tengono conto del misero contesto dal quale proviene. Orfano di madre, la fortuna di Manyonga è trovare due angeli custodi in John McGrath e Mario Smith. Il primo è un irlandese, ex nazionale di canottaggio, trasferitosi a Città del Capo per insegnare kickboxing, il secondo è lo storico allenatore. I due lo aiutano economicamente, pagano la sua riabilitazione, lo incitano a non mollare. La rinascita di Luvo si inceppa quando Smith muore in un incidente stradale ed è qui che McGrath da esperto in arti marziali si trasforma in un allenatore di atletica pur di non abbandonarlo. Nel 2015 Manyonga torna ad allenarsi seriamente, ogni giorno al Centro Sportivo dell’Università di Pretoria. La grande atletica scopre un campione pazzesco, un ragazzo dall’enorme sorriso, un saltatore carismatico che alle Olimpiadi di Rio nel 2016 sale sul podio con l’argento al collo. Un anno dopo l’apoteosi, grazie ad un salto di 8.48 metri si laurea campione del mondo 2017 a Londra, proprio nella città in cui la maledetta droga gli aveva tolto la possibilità di gareggiare sei anni prima. La sua storia fa il giro del mondo, è l’esempio di chi cade ma si rialza, è il simbolo di come lo sport possa salvare la vita. Ogni volta che salta è una emozione, è medaglia d’oro anche ai Campionati Mondiali di Birmingham Indoor 2018.

 

L’ultima volta in gara lo abbiamo visto sotto al podio, arrivato quarto ai Mondiali di Doha 2019, poi però qualcosa in lui è mutato, si è esclissato, è sparito. Dove diavolo è finito, si chiedono tutti? Il suo nome ricompare nel 2020 non per meriti sportivi ma perché a maggio viene multato per essersi ubriacato e aver violato il coprifuoco in vigore in Sudafrica. A dicembre la sorella lancia un appello in una intervista al Sunday Times di Johannesburg, si rivolge direttamente a lui: “Luvo stai sprecando la tua vita, devi riprenderti, torna in riabilitazione”. Niente da fare. Luvo risponde che non è vero, che non si sta drogando, che non si allena ma che sta bene, epperò mentre lo dice i suoi occhi vagano nel vuoto: “Sto cercando di combattere le mie battaglie – confessa al sito TimesLIVE del Sud Africa. “Ho vestiti sparsi per il mondo, sto un po’ a Paarl e un po’ a Port Elisabeth, non so quale sia la mia strada nel futuro”. Click. La luce del campione carismatico si è spenta di nuovo.

 

Nelle sue condizioni, confuso e vagabondo, è palese che abbia saltato tre controlli antidoping nel 2020. La beffa è che la notizia diventa ufficiale proprio l’8 dicembre cioè il giorno del suo compleanno, 30 anni. Al posto delle candeline arriva una sospensione provvisoria, a breve diventerà una squalifica definitiva che potrebbe essere pure raddoppiata, non per due ma per quattro anni in quanto recidivo (dopo la prima positività del 2011). Ma non è questo il punto, non stiamo più parlando di un atleta imbroglione, di un campione che salterà le Olimpiadi di Tokyo. Qui c’è un uomo che da 10 anni continua a ricadere nella dipendenza, continua a combattere contro demoni che non gli danno tregua. Ed è tutto terribilmente triste.