Alex Schwazer a Sky: "Sono felice ma frastornato. Ho lottato tanto per la mia verità"
DOPINGLa fine di un incubo per Alex Schwazer e per il suo allenatore Sandro Donati. Il GIP di Bolzano ha disposto l'archiviazione "per non aver commesso il fatto": non si è dopato ma le sue provette sono state manipolate. Le accuse molto dure sono rivolte alla Wada e alla Federazione Internazionale di Atletica mettendo così in discussione l’intera credibilità del sistema antidoping. Schwazer e Donati ne parlano a SkySport, confermando la speranza di andare a Tokyo
È felice ma soprattutto frastornato Alex Schwazer. Nella casa di Racines si sentono le vocine di Ida, nata nel 2017, e del piccolo Noah nato da appena quattro mesi, sono i due figli che Schwazer ha avuto dalla moglie Kathrina Freund, presenza indispensabile che l’ha aiutato a rialzarsi dopo la squalifica di 8 anni per doping dell’agosto del 2016. C’è una donna forte che per festeggiare il proprio uomo prepara una torta con sopra il simbolo dei cinque cerchi, e c’è un marito e padre di famiglia che si emoziona. La convinzione della propria innocenza il 36enne altoatesino l’ha sempre avuta, negli ultimi quattro anni e mezzo ha lottato per dimostrare quell’ipotesi di complotto che, quasi tutti nell’ambiente dell’atletica giudicavano, invece, l’invenzione di un bugiardo cronico. Al suo fianco l’ex azzurro della marcia ha sempre avuto l’avvocato Gerhard Brandstätter e soprattutto Sandro Donati che ha assunto quasi il ruolo di un secondo papà, il 73enne maestro di sport è una figura per molti scomoda, uno degli allenatori più stimati ma pure detestati per le sue lotte al doping.
"Dopo quattro anni e mezzo sono molto soddisfatto, finalmente è arrivato questo momento che aspettavo da tanto. Le sensazioni sono un po' difficili da descrivere perché probabilmente devo ancora rendermi conto bene di tutto”, ammette candidamente Schwazer. "Ho aspettato così tanto e ho lottato così tanto in questi ultimi anni che adesso devo un po’ metabolizzare il tutto. Però sono molto contento che tutta l’energia che io, il mio allenatore e il mio avvocato abbiamo messo in questa battaglia, abbia avuto come frutto questo risultato così importante". Donati in collegamento dalla casa di Roma definisce l’intero periodo di sofferenza con pure la beffa di essere additato come allenatore di un atleta dopato, proprio lui che dell’antidoping ha fatto una ragione di vita. "È stato un incubo essere stati calunniati, essere oggetto di commenti ironici e ambigui. È stato un incubo vedere quanti avversari mi sono trovato in questa lotta contro il doping, chiamiamoli direttamente dopatori, e proprio loro hanno approfittato di questa circostanza per mescolarsi a quelli che criticavano, facevano addirittura i censori del doping: ho dovuto assistere anche a questo paradosso. Quindi l’intervento della magistratura è chiaro che abbia aiutato a uscire da questo incubo".
La speranza per le Olimpiadi di Tokyo
La battaglia non è finita, sia Schwazer sia Donati non nascondono il sogno di poter andare a Tokyo. La squalifica di 8 anni (che scade nel 2024), inflitta dal TAS di Losanna è appellabile al Tribunale Svizzero. Forti di una tale sentenza di archiviazione la speranza c’è. "Per le Olimpiadi di Tokyo io ci spero. Sarebbe una cosa bellissima per me tornare a una Olimpiade dopo quella del 2016 dove non ho potuto partecipare", conferma Alex. "L’archiviazione del Gip di Bolzano è stata una vittoria molto importante, adesso quello che potrebbe arrivare ancora è una cosa in più. Se posso avere la possibilità di partecipare alle Olimpiadi sarei molto contento. Se questo invece non succederà va bene lo stesso, l’importante era arrivare alla verità, dimostrare a tutti che io ero e sono innocente. Continuerò ad allenarmi finché c’è la speranza e la possibilità di andarci, poi vediamo ciò che succede. Purtroppo non dipende da me, io posso solo continuare ad allenarmi e sperare di avere la possibilità di andarci". La questione ora diventa di competenza della giustizia sportiva ma entrambi vi aspettate una presa di posizione da parte del Coni e della Fidal? "Il nostro sforzo durissimo è stato quello di far affiorare la verità, adesso il compito spetta alle autorità sportive italiane", precisa Sandro Donati. "Sono loro che devono farsi carico di agire di fronte alle ingiustizie palesi e ai misfatti che sono stati compiuti verso Alex. Ora ci aspettiamo qualche decisione necessaria a tutelare tutto il nostro sport perché Schwarzer fino a prova contraria è un patrimonio, oramai pulito e trasparente, dello sport italiano".
Dura accusa al sistema antidoping
Le motivazioni del Gip Walter Pelino sono un atto di accusa molto pesante alla credibilità del sistema antidoping. Serve una forte presa di coscienza sul tema. D’ora in poi un atleta con che stato d’animo consegnerà le proprie provette agli ispettori antidoping? “È evidente che lo stesso sistema antidoping dovrà trovare delle soluzioni per garantire se stesso ma per garantire anche gli atleti. Durante il controllo l’urina viene riversata in due provette che vengono portate via da coloro che hanno effettuato il controllo, quindi cosa rimane in mano all’atleta? Se c’è un fatto corruttivo nei confronti di un dipendente di un laboratorio antidoping, o ci sono interessi di carattere economico o altro ancora, chi è che garantisce l’atleta?", si chiede Donati che propone pure una possibile alternativa. "L’unica soluzione è una terza provetta che l’atleta possa depositare in un laboratorio accreditato con tutti i crismi della qualità e a quel punto verrebbe aperta solo a certe condizioni, solo nel caso di una positività".
"Un sistema è da rivedere"
Da Bolzano sostiene la tesi del suo mentore Alex Schwazer: "Non è una novità che le provette si possono aprire, lo sappiamo dalle Olimpiadi di Sochi che erano nel 2014. In questi sette anni e mezzo non è cambiato niente, anzi no perchè hanno utilizzato delle provette nuove che si sono rivelate peggiori di quelle vecchie e quindi sono tornati a utilizzare quelle vecchie. Già questo fatto dice che bisognerebbe rivedere tutto il sistema, soprattutto per gli atleti. Io conosco i ragionamenti di noi atleti, ognuno di noi pensa: ah, a me non succederà mai. Ma la verità è che noi atleti abbiamo poche sicurezze: tu fai un controllo antidoping e dai le tue urine ma poi non le vedi più, non c’è una terza provetta che resta all’atleta per sicurezza o al proprio Comitato Olimpico. Forse sarebbe il caso di ragionare su questo aspetto, proprio in base alla mia vicenda e a quanto successo in Russia. Me lo auguro per lo sport e soprattutto per gli atleti".