Doping, Coleman: squalifica ridotta per il re dei 100, ma niente Olimpiadi

Atletica
Lia Capizzi

Lia Capizzi

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Christian Coleman ci ha provato, ha sperato che potesse essergli favorevole il posticipo di un anno dei Giochi, ma gli è andata male. Il TAS ha parzialmente accolto il suo ricorso contro la squalifica doping riducendo la sua sanzione da due anni a 18 mesi. Questo sconto di 6 mesi implica che Coleman non potrà partecipare alle Olimpiadi di Tokyo (23 luglio-8 agosto). La sua squalifica infatti parte dal 14 maggio 2020 e scade il 14 novembre 2021

Nel maggio del 2020 Coleman era stato squalificato 24 mesi per doping per aver saltato tre controlli in un anno.  Si tratta del mancato rispetto dei whereabouts, ogni atleta deve essere disponibile a sottoporsi a controlli antidoping a sorpresa, deve cioè fornire quotidianamente una finestra oraria di 60 minuti durante la quale deve essere sempre reperibile. Se vengono saltati tre controlli nell’arco di 12 mesi scatta la squalifica. Nello specifico Christian Coleman non era in casa, dove invece avrebbe dovuto restare, durante il controllo del 9 dicembre del 2019. Disattenzione, pressapochismo o invece una decisione intenzionale per nascondere qualcosa? Lo statunitense ha sempre dichiarato di aver lasciato la sua abitazione per recarsi nel centro commerciale vicino. Dopato o non dopato, sicuramente si è trattata di una mancanza di professionalità. Se sei il campione del mondo della gara regina dell’atletica devi essere scrupoloso e diligente, oltretutto Coleman era già in una situazione di “zona rossa”: alle spalle aveva già due violazioni di test non effettuati in precedenza. Sapeva bene quindi che un successivo test mancato gli sarebbe stato fatale, sarebbe stato il terzo controllo saltato.

 

Per il TAS Coleman ha effettivamente commesso una violazione delle regole antidoping, ai sensi dell'articolo 2.4 delle regole antidoping di atletica leggera mondiale, ma il grado di negligenza dell'atleta deve essere inferiore a quello stabilito nella decisione impugnata: “Se il funzionario incaricato del test a sorpresa avesse provato a contattarlo - pratica non prevista ma di uso comune in questi casi -, probabilmente l'atleta sarebbe riuscito a farsi sottoporre al test secondo le regole”, si legge nel dispositivo con il quale il Tribunale di Arbitrato Sportivo motiva la diminuzione della squalifica stabilendo come appropriato un periodo di ineleggibilità di 18 mesi. Tanto basta per fargli saltare i Giochi di Tokyo 2020+1.