Venezia Bruxelles for SLA, la corsa solidale di Amicabile: "La mia è una missione"

Che significa per lei correre? “Per me la corsa è vita, perché mi ha salvato. Sono caduto dalle scale dell'asilo all'età di 5 anni e per un trauma cranico mi è venuta l'epilessia. Dagli 8 ai 13 anni mi venivano dalle 400 alle 600 crisi al giorno. Non potevo avere nessun tipo di emozione, né in positivo né in negativo, perché ogni emozione significava provocare una crisi. Non potevo fare i giochi che facevano gli altri i ragazzini, anche i più stupidi, come nascondino o giocare a calcio. Non potevo permettermelo. L'unica cosa che potevo fare era correre. E allora correvo. Lo facevo nelle campagne, dove c’era poca gente, per non essere un pericolo per nessuno. I miei mi seguivano sempre, perché oltre alle 400-600 crisi brevi giornaliere, a volte capitava che ne avessi una o due più grandi. Cadevo per terra, sentivo tutto, ma non ero capace di reagire. Cadendo mi sono spaccato più volte i denti. Se fosse successo per strada, in mezzo alla gente, avrei potuto creare problemi anche agli altri. E quindi andavo a correre in campagna. Il correre mi ha portato ad avere l'ultima crisi all'età di 18 anni, quando è morta mia nonna. Da quel momento ho iniziato a poter uscire da solo, per me è stato come liberare un uccello dalla gabbia. Essere autonomo, potermi muovere da solo… per me era tutto. A 21 ho iniziato a usare il motorino e la macchina. Quando ero più piccolo avevo provato ad andare in bicicletta ma dovevo indossare sempre il casco e venivo preso in giro. Io della gente me ne sono sempre fregato, però logicamente tutto ha un limite… Anche quando ho preso la macchina, ho continuato a correre e da quando ho 30 anni ho iniziato a unire lo sport alla solidarietà. Ho fatto la prima 100 km e l’anno successivo è nato il giro del Lago di Garda. Da lì ho iniziato ad associare le corse alla solidarietà”. Quanto ha influito la sua esperienza personale nello scegliere di iniziare a correre per gli altri e per la solidarietà? “Tantissimo. Io sento di avere un debito nei confronti di chi non può fare quello che faccio io. E per me quello che sto facendo è una missione. Cerco di dare voce ai malati per coinvolgere più gente e più associazioni a fare quello che faccio io. Corro per smuovere le associazioni pubbliche, i cuori della gente e mandare più messaggi possibili”. Come sceglie le associazioni o le cause per cui si spende e corre? “Io faccio parte dei ‘Lions’ e con loro cerchiamo di fare del bene. Prima di entrare nel gruppo ‘Lions’ cercavo di coinvolgere le persone che mi sembravano più sincere e più legate ai loro progetti. Ma da solo non è facile avere tanta voce, con i ‘Lions’ è possibile far conoscere a più persone le nostre missioni. In passato siamo riusciti a coinvolgere personaggi di spicco come Marcell Jacobs e Sveva Gerevini. È stato molto bello. Per la mia prossima corsa da Venezia a Bruxelles mi stanno aiutando tantissimo i ‘Lions’ italiani e anche quelli europei che incontrerò lungo il percorso. Tutti insieme stiamo spargendo la voce, che si sta facendo largo e questo mi fa molto piacere”. Ci sono differenze quando corre per una gara competitiva, magari per fare un record, rispetto a quando corre per una buona causa? “Sì. Fare un record è solo una soddisfazione personale. Mentre quando corro per gli altri la soddisfazione non è solo mia, ma anche dell'ammalato. Quando vedo sorridere un ammalato o un suo familiare… Per me sono tutte medaglie che ho nel cuore”. Ad agosto partirà da Venezia a Bruxelles per i malati di SLA, qual è il messaggio che vuole portare con questa iniziativa? “L’obiettivo è arrivare al Parlamento Europeo, a Bruxelles, per far sentire la voce dei malati di SLA e delle loro famiglie. Parliamo di persone che sono abbandonate dalla società e dalle istituzioni. I costi per mantenere in vita un malato di SLA sono altissimi. Ho conosciuto famiglie che, dopo la morte di un loro parente, mi hanno detto ‘Fabrizio, se fosse andata avanti ancora due anni, avrei dovuto vendere la casa’. In quei momenti non si va a vedere se il conto va in rosso o no, è l'ultimo dei pensieri, si continua a spendere e si comprende la situazione quando ormai è troppo tardi o quando, come in questi casi, è venuto a mancare il familiare ammalato. È un problema veramente grande. Ho sentito e sento il bisogno di dar voce a queste famiglie. È una situazione veramente tragica. Inoltre, durante il percorso cercheremo di raccogliere fondi per acquistare una stanza all'ospedale NeMO di Gussago. Tutti possono sostenere queste iniziative, abbiamo creato un GoFundMe dove è possibile donare quanto si vuole”. Come si prepara per affrontare una corsa così lunga e impegnativa come quella che farà tra agosto e settembre? “Cuore, mente e gambe sono i tre fattori che ti portano a fare questo. Poi logicamente bisogna investire del tempo ad allenarsi. Oltre ai ‘Lions’, mi sta aiutando da un punto di vista fisico e mentale GS LOFT, persone che hanno preso a cuore il mio progetto”. Cuore, testa e gambe: una delle tre conta più delle altre? “Io le classificherei più o meno tutte tre allo stesso livello. La mente è più importante per una cosa, il cuore per un’altra, e le gambe per un’altra ancora. Però il cuore e la mente sono i fattori principali”. C’è un episodio, durante una delle sue corse solidali, che le è rimasto particolarmente impresso? “Ce ne sono diversi. Lo scorso anno ho fatto una ‘vertical run’ al Pirellone e mi ha impressionato come la causa sia stata presa a cuore da tutti. In una giornata, facendo su giù per 25.708 gradini, abbiamo raccolto 2000 euro che abbiamo dato a tre diverse istituzioni. L’anno scorso ho anche corso da Agrigento a Venezia e lungo il tragitto ho incontrato una bambina di SMA. Suo padre la porta in giro per l’Italia in carrozzina trainandola con una bicicletta. Da un mese e mezzo ero diventato nonno e mi ero portato con me le scarpine di mia nipote come portafortuna. Quando ho incontrato questa ragazzina le ho detto ‘Spero che ti ricorderai di me e per far sì che accada ti do una scarpina di mia nipote’. Lei è stata contentissima, se le avessi regalato un braccialetto d'oro non sarebbe stata così felice. Durante quella corsa ho anche avuto modo abbracciare una consigliera di un Comune di cui purtroppo ora mi sfugge il nome. Mi ha chiesto perché facessi queste corse solidali e le ho raccontato che da bambino ho avuto le crisi epilettiche. Lei si è messa a piangere e mi ha detto ‘Io ce l'ho ancora’. Sentirlo… Sono cose che ti rimangono impresse nel cuore e non c'è il modo di cancellarle”. C'è ancora un sogno che vorrebbe realizzare attraverso la corsa? Ha già in programma altre corse? “Non faccio in tempo a farne una che penso già alla prossima. L'anno scorso nel percorso da Agrigento a Venezia sono passato da Orvieto e ho avuto modo di conoscere la Sindaco, mi piacerebbe coinvolgerla in un progetto e fare su e giù per le scale nel Pozzo di San Patrizio. Adesso vediamo, da cosa nasce cosa... Mi piace anche essere consigliato e cercare di accogliere le richieste di chi è in difficoltà. Quando si tratta di qualcosa a scopo benefico… mi sciolgo. Scusatemi… Ogni tanto mi emoziono a parlarne . Questo è il mio modo di pensare la vita, sperando sempre che la gente intercetti nel modo migliore quello che sto facendo”.

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Emiliano Tomasini