Il salto più bello di Andy Diaz deve ancora arrivare: perché può arrivare ai 18 metri

Per capire la storia e il valore di Andy Diaz Hernandez, il ragazzo cubano naturalizzato italiano neocampione europeo e mondiale indoor nel salto triplo, bisogna andare indietro nel tempo. Al 1961, quando tra il 17 e il 20 aprile, fu tentava l’invasione della Baia dei Porci, operazione gestita dalla CIA e autorizzata dal presidente John Kennedy per rovesciare il regime di Fidel Castro. Mal gliene incolse agli americani: non solo l’intervento fallì miseramente, ma soprattutto, a causa del blocco commerciale imposto all’isola, consegnò definitivamente Cuba al blocco sovietico. Ma se gli effetti politici sono evidenti, a cominciare dalla crisi dei missili che nel 1962, anche la storia dello sport finì per essere condizionata. A Cuba cominciarono ad arrivare gli allenatori russi, che con il loro magistero avrebbero assai migliorato il rendimento degli atleti cubani, soprattutto in due discipline: la boxe e l’atletica. Se nella ‘Noble Art’ spuntò, insieme a decine di campioni, Teofilo Stevenson capace di vincere tre medaglie d’oro olimpiche consecutive nei massimi e rifiutare di firmare assegni in bianco per affrontare Muhammad Alì, su piste e pedane gli effetti non furono meno importanti: da Alberto Juantorena ad Alberto Figuerola, da Ana Fidelia Quirot a Javier Sotomayor, da Ivan Pedroso a Dayron Robles, i cubani hanno cominciato a vincere nella velocità e nel mezzofondo, sugli ostacoli e nei salti. Ma c’è una disciplina dove la scuola sovietica ha lasciato una traccia di cui, tuttora, si vedono gli effetti: il salto triplo. L’arte dell’‘Hop step jump’, ‘il balzo, il passo, il balzo’, fu elevata a livelli di assoluta raffinatezza proprio dai russi, con Victor Saneyev capace di vincere tre ori olimpici tra il ’68 e il ’76 stabilendo anche il primato del mondo. Ma quando arrivarono a Cuba, i loro tecnici si trovarono al cospetto di un capitale umano straordinario. Scoprirono che le fibre bianche, quelle a contrazione veloce, dei ragazzi caraibici erano l’ideale per la specialità: i cubani non erano solo dei saltatori, ma dei balzatori di qualità unica. Da quel momento Cuba sarebbe diventata la terra di riferimento della specialità, anche se i loro titoli, da qualche anno, abbelliscono il medagliere di altri paesi. Anche qui la questione esce dallo sport: la povertà di quella terra induce alla fuga i migliori talenti, e così la potenziale tripletta di Cuba ai Giochi di Parigi è svanita: Pedro Pichardo, argento, ha trovato una nuova bandiera nel Portogallo; Jordan Diaz, oro, si è accasato in Spagna; mentre Andy Diaz Hernandez, bronzo, gareggia con la maglia azzurra. Lo ha fatto in occasione delle Olimpiadi di Tokyo, quando per fuggire ha addirittura rinunciato a gareggiare. Lo ha accolto Fabrizio Donato, grandissimo della specialità, bronzo olimpico a Londra 2012, che lo ha ospitato nella sua casa di Rieti e in 3 anni ha gestito da tecnico una qualità che non ha neppure bisogno di essere allenata: il balzatore dell’Avana deve essere semplicemente indirizzato, preservando muscoli delicati come la seta proprio per la loro eccezionalità. Il mondiale di Nanchino, più ancora dell’europeo di Apledoorn, ha chiarito che il prossimo obiettivo di Andy sono i 18 metri, quando riuscirà a calibrare la proporzione dei tre passaggi del gesto. Il triplo, nell’esecuzione ideale, non è fatto di tre balzi identici: l’hop è il più lungo, lo step il più corto, il jump di poco inferiore al primo. Andy, dopo il 6.31 del balzo, ha fatto seguire un esagerato 5.71 nel balzo e questo gli ha impedito di mantenere la giusta velocità per il salto finale: si è espresso in 5.78, quando Jonathan Edwards, in occasione del primato del mondo, aveva chiuso con 6.30. Paradossalmente, Andy dovrebbe limitare il secondo balzo per avere più disponibilità per chiudere meglio. Allora i 18 metri saranno cosa fatta e l’oro mondiale di Tokyo, a settembre, tutt’altro che un’utopia.

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Nicola Roggero