La seconda impresa di Pedote al Vendée Globe: "Il mio giro del mondo in 85 giorni"

Il 4 febbraio 2025 alle 9.34, Giancarlo Pedote ha tagliato la linea del traguardo dopo 85 giorni, 20 ore e 32 minuti di regata, conquistando la 22ª posizione in classifica al suo secondo Vendée Globe, il giro del mondo in barca a vela in solitario, senza scalo né assistenza. Una cosa per pochi. E oggi, poco più di un mese dopo, racconta che esperienza è stata, ma soprattutto cosa si prova a tornare a casa dopo oltre 80 giorni in mezzo all’oceano, navigando da solo, per qualcosa che è molto più di una regata. “Rientrare a casa è sempre un momento bellissimo perché ritrovi la normalità dopo un periodo in cui affronti le difficoltà, dove ti chiedi spesso ‘Riuscirò questa volta a rientrare a casa?’, dove a volte i problemi tecnici ti mettono davani a dei punti interrogativi importanti, in una regata così lunga e così estrema in cui la stanchezza si fa sentire” racconta in esclusiva a Sky Sport Insider. “È un'usura molto lenta, una curva costante in cui la stanchezza si fa sentire. Quindi poter ritrovare la pace e la bellezza dell'arrivo, riabbracciare la propria famiglia è un momento meraviglioso”. Una moglie, due figli, che lo hanno sempre appoggiato nelle scelte e nelle sue avventure, anche se questo voleva dire stare lontani oltre due mesi e vedersi solo in videochiamata. “La mia è stata una scelta, e la mia famiglia ha capito perfettamente che se io reprimessi questo aspetto di me stesso soffrirei ancora di più e quindi sono sempre stati felici di vedermi felice nel mio elemento” spiega, raccontando come è stato vivere oltre 80 giorni senza di loro. “Una distanza così lunga è forzatamente un elemento di mancanza da entrambe le parti, ma in un certo senso ravviva molto, perché riaccende un rapporto oltre la banalità della consuetudine. Mi sono mancati tanto, ma devo dire che al giorno d’oggi grazie alla tecnologia siamo riusciti comunque a farci la chiamata quando si poteva, più o meno regolarmente. Io ho sempre parlato sia con Stefania, mia moglie, sia con i miei bambini delle giornate, della scuola, di cosa facevano con gli amici. Come se fossi in realtà in ufficio, o come una persona normale che sta facendo un lavoro da un’altra parte”. La lontananza si è fatta sentire ma Giancarlo ha trovato il modo di poter condividere più tempo possibile con loro, anche a distanza, pur continuando a inseguire il suo sogno e le sue passioni: la navigazione, il mare e la sua barca, con la quale ha un rapporto stretto e difficile da spiegare. “È un rapporto per me di fusione totale, mi sono sempre sentito parte della barca. Per esempio, non riesco a navigare con la musica o le cuffie: è impensabile, perché devo sentire tutti i rumori della barca. In questo modo capisco se ci può essere un problema strutturale o meno, nonostante faccia delle continue verifiche. Può sembrare una cosa un po' strana, ma se la barca sbatte, ho bisogno di sentire come sbatte e per certi aspetti soffro con lei, tengo duro con lei. Ricordiamoci che grazie a lei riesco comunque a compiere il giro del mondo: sono emotivamente connesso. A volte, quando la barca sbatte forte, sento le fitte nello stomaco, non riesco a non soffrire. E proprio per questo a volte cerco di cambiare rotta, di prendere le onde in un modo diverso per far sì che la struttura tenga. Perché non dimentichiamoci che in questa regata, se vuoi fare un buon piazzamento, devi prima di tutto finire”. Il Vendée Globe è sicuramente una competizione, certo, ma in gioco c’è molto altro. Navigare in solitaria senza scalo né assistenza, ti costringe a fare i conti con te stesso, con le tue sole forze. Con delle difficoltà e degli imprevisti. “Le difficoltà per me sono sempre state legate ai problemi tecnici. Per esempio salire in testa all’albero, o quando ho avuto l’avaria al timone. Lì non c'è stato molto da fare: certo gli interventi da un punto di vista di tempo erano piuttosto corti, il problema però è che mi ha compromesso tutta la gara", racconta con un po’ di amarezza Pedote. “Poi ho avuto un’avaria al foil, si è aperta una sessione di 14 ore di lavoro. Quindi, il problema del motorino d'avviamento il giorno dopo: altre 14 ore di lavoro, con anche la paura di non tornare a casa. Questi sono stati un po' i momenti complessi della regata, fondamentalmente il problema tecnico è ciò che penalizza la gara e ciò che anche ti fa chiedere ‘Riuscirò ad arrivare in fondo?’”. Ma di fronte a tutte queste problematiche, delicate e anche non proprio facili da gestire, Giancarlo Pedote ha mai pensato per un secondo di mollare? “No, non l'ho mai detto, non è una cosa che mi appartiene. Chiaramente ho detto ‘Speriamo stavolta di farcela’. Ma bisogna distinguere le cose. Ci sono alcuni tipi di avarie, come quella dell’anemometro, che è un grosso handicap perché il tuo pilota deve sempre condurre in modalità bussola, ma si può gestire. Viceversa un’avaria al timone o il motore che non si accende più e non puoi più ricaricare le batterie, può compromettere tutta la regata. Non è più un discorso di velocità, lì c'è l'interrogativo “Torno o non torno?”. Però ecco “mollo tutto”, no: non è una frase del mio vocabolario. Piuttosto ‘Ce la metto tutta ma non sono certo che nonostante tutti i miei sforzi, questa volta andrà a buon fine’. Questo sicuramente l’ho pensato”. Una regata che lo ha messo a dura prova, nonostante l’ambizione di migliorare l’ottavo posto di quattro anni prima. La partenza è stata perfetta, e nella prima settimana si è trovato addirittura primo. Poi però tutti i problemi raccontati lo hanno costretto ad ‘accontentarsi’ di un ventiduesimo posto. “Questo è un senso di impotenza enorme che chiaramente uno impara a gestire nel tempo. Sono 30 anni che vado in barca: ho vissuto queste situazioni in ogni tipo di regata. Ho imparato a non esaltarmi nei momenti in cui le cose vanno bene, così come a non disperarmi quando le cose non vanno bene. Mi sono sempre detto: ‘Sto facendo tutto quello che è necessario per permettere alla barca di andare al meglio con ciò che ho disposizione? Sì, bene, perfetto’. Lo faccio, giro pagina e non do un giudizio. Lo faccio e basta. Un po' come quando spiego ai miei figli l'importanza di prendere le vitamine d’inverno. Dico sempre questo: certe cose non vanno messe sul piano del gusto o del disgusto. Lo fai punto e basta, e quindi allo stesso modo cerco di approcciarmi alla regata”. Avendo già partecipato a un Vendée Globe qualche hanno fa, Giancarlo sapeva perfettamente a cosa stesse andando incontro. L’esperienza precedente lo ha sicuramente aiutato, ma c’è stato comunque il tempo per rivivere sensazioni ed emozioni, e scoprirne di nuove, imparando e arricchendosi sempre un po’ di più. “Sono stato molto contento del mio primo Vendée Globe in termini tecnici e di risultato, visto che non partivo con una barca nuova. Proprio per questo alla partenza del secondo mi son detto: ‘Tieni soltanto l'esperienza, ma dimentica tutto’. Perché spesso, nella vita, proprio quando pensi di saper fare qualcosa è lì che sbagli. Diciamo che quello che mi sono portato dietro è stata la gestione, per esempio dell'alimentazione o dell'abbigliamento tecnico. Oppure sapere cosa fosse il grande Sud: indubbiamente tutte quelle cose sono state un plus. Poi in realtà ho trovato un Sud molto più caldo del previsto: nel primo avevo sofferto molto il freddo, mentre questa volta mi ero portato tante cose che in realtà sono rimaste nei sacchi. Quella è stata una piacevole sorpresa, per esempio. E poi sicuramente il fatto di averne concluso uno ti fa dire mentalmente di potercela fare. Chiaramente ci sono stati tutti gli imprevisti tecnici, che sono stati un po' dei colpi di accetta costante sul tronco. Spero di aver risposto nel migliore dei modi, il risultato andrà digerito”. Sensazioni ed emozioni che in un’esperienza del genere sono amplificate al massimo, sia in positivo, sia in negativo. Perché stare da soli, senza un interlocutore diretto per così tanto tempo, ti porta a riflettere a lungo e profondamente. In realtà però Giancarlo non è mai stato davvero solo. C’è stata la sua famiglia, come scrivevamo, ma anche i numerosi fan che sui social lo hanno seguito in ogni aggiornamento, facendo il tifo per lui, incoraggiandolo e appassionandosi al viaggio intrapreso intorno al mondo. “È una cosa nata lentamente e poi intensificata: ho ricevuto un sacco di messaggi, soprattutto nel periodo della pandemia, dove tante persone mi hanno confessato che grazie ai video che ho pubblicato, sono riusciti a trovare degli stimoli per superare delle situazioni difficili e per poter lottare su dei punti per loro complessi. Capire che con tutto questo puoi aiutare delle persone per me è sicuramente un grande stimolo e una grande fonte di piacere. Alla fine mi sono accorto che tutto questo è anche forse più importante di quello che può essere il risultato, perché poter fare qualcosa che lascia una traccia a un altro essere umano e lo può aiutare, penso che sia la cosa più bella che si possa fare per gli altri”. E dunque il viaggio di 85 giorni di Giancarlo Pedote è diventato quello di tutti noi: con lui abbiamo condiviso gioie, dolori, soddisfazioni, emozioni e tanto altro. Ora però, da uomo di mare, non sente la mancanza di riprendere a navigare? “Nel mio futuro c'è indubbiamente il mare, ma è appena passato un mese dal mio rientro, quindi vorrei lasciar sedimentare le cose. Quando atterri sei in un turbine di emozioni, è un po' come se le onde del mare fossero molto agitate”, conclude. Con gli occhi che già gli si illuminano a pensare alla prossima avventura: “Quando sei impegnato su tanti fronti, non hai neanche il tempo di guardare con calma l'orizzonte. Adesso aspetto che il moto ondoso si calmi, che il mare sia uno specchio, e che quindi possa pensare veramente, su un foglio bianco, a quale sarà il prossimo capitolo da scrivere”. E noi aspettiamo di conoscere la tua prossima missione, Giancarlo.

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Andrea Colnago