"Ragioniere, batti lei?": da 50 anni nel mito di Fantozzi

Agli inizi degli anni Settanta la società risulta indigesta anche ai registi che avevano sempre prediletto rappresentarne gli aspetti più gustosi: ridicolizzare i grimpeur del boom e mettere allegramente sul piatto i vizi del perbenismo borghese non basta più, misurare con gag o battute ad effetto le arretratezze e i ritardi con cui la mentalità dell'italiano medio reagisce ai processi di modernizzazione lascia ormai il tempo che trova. Dopo un lungo e fulgido ciclo solare in cui prevale l'interesse per le trasformazioni collettive e i loro riflessi sugli individui, di colpo, anche gli autori delle pellicole più brillanti risentono del mutamento della temperatura politica, del crollo delle tensioni ideali, e, quasi senza preavviso, il baccanale consumistico del miracolo economico si trasforma in una danza macabra: non c'è più niente da ridere. I maestri della commedia vengono colti da un leggero sospetto: tra loro s'insinua il dubbio che il genere sia diventato un terreno arretrato di impegno e di confronto e urge fissare le nuove coordinate narrative del comico nel 'Terrore' del post-Sessantotto, che si facciano i conti con la dottrina civile di Francesco Rosi, Elio Petri, del giovane Marco Bellocchio. Nascono così In nome del popolo italiano di Dino Risi e un Borghese piccolo piccolo di Mario Monicelli, che firmano insieme a Ettore Scola I Nuovi Mostri, 'manifesto' di una comicità debordante nel grottesco più nudo e crudo pennellata di una tragicità dai contorni sempre più smaccati, teatrali, sanguinosi. E poi, c'è Fantozzi. Paolo Villaggio aveva realmente frequentato gli uffici di una compagnia siderurgica e proprio da questa esperienza trarrà ispirazione per partorire il clamoroso - quanto inatteso - successo editoriale del suo personaggio, upgrade dell'embrionale Giandomenico Fracchia. Siamo nel 1971 e il volume pubblicato da Rizzoli può sovrapporsi alla disperazione - autentica, palpabile - del Ludovico Massa-Gian Maria Volonté de La classe operaia va in paradiso, perché in fondo sono due maschere della stessa medaglia: il ragioniere gogoliano soggiogato dalle gerarchie manageriali e dalle ingiustizie quotidiane murato nei vecchi gabinetti dell'azienda per settimane senza che nessun collega se ne accorga; il cottimista stakanovista sotto il peso della catena di montaggio e dell'alienazione. Asserviti al sistema, entrambi provano a ribellarsi, ma devono inginocchiarsi a un potere 'occulto': il kafkiano Lulù alla mercé di un 'soggetto' intangibile ; Ugo al cospetto del Megadirettore Galattico, "colui che nessun impiegato al mondo era mai riuscito soltanto a vedere. Correva voce che non esistesse neppure, che non fosse un uomo, solo un'entità astratta". Ma l'operaio perde un dito nella pressa della 'macchina', e un giorno ne verrà schiacciato; Fantozzi è immortale e per questo non ci commuove, anzi. "Io, Pina, ho una caratteristica: loro non lo sanno, ma io sono indistruttibile, e sai perché? Perché sono il più grande 'perditore' di tutti i tempi. Ho perso sempre tutto: due guerre mondiali, un impero coloniale, otto – dico otto! – campionati mondiali di calcio consecutivi... e la testa, per un mostr... per una donna come te". Il 27 marzo del 1975 - esattamente 50 anni fa - il libro svolazza al cinema e il primo Fantozzi - scandito dal "voice over" dello stesso istrione ligure, diretto da Luciano Salce e sceneggiato da Leo Benvenuti e Piero De Bernardi - sbanca il botteghino, incassando 6 miliardi di lire. Sarà il più 'sportivo' della saga con il sequel del '76 . C'è il tennis, con il ragioniere in "mutanda ascellare aperta sul davanti e chiusa pietosamente con uno spillo da balia, grosso racchettone 1912, elegante visiera verde con la scritta "Casinò Municipale di Saint Vincent"; e il dialogo tutto coniugato al congiuntivo... imperfetto con il fido Filini . Contiene l'insospettabilmente dignitosa sfida a biliardo con il cavaliere conte Diego Catellani ; c'è lo sci, di cui il nostro eroe - pur di rivaleggiare con il geometra Calboni ed entrare finalmente nelle grazie della signorina Silvani - millanta di essere stato un "azzurro". Perfino la nautica . E, naturalmente, il calcio, grande passione del sampdoriano Villaggio: la partita della nuvoletta, l'archetipo della sfiga, vinta dagli ammogliati sugli sposati "per 3 infarti a 2 annegati". Nel 2015, per il quarantennale, l'attore svelò la genesi della sua creatura: "La parte comica venne fuori dall'eredità di un mio soggiorno a Londra da cameriere e poi successivamente come cabarettista in navi da crociera; quella più drammatica dal mio lavoro impiegatizio alla Cosider, talmente tragica da far ridere. Veniva considerato un vicino di casa cretino, un clown da circo, quasi un estraneo, poi lentamente noi italiani ci siamo scoperti, proprio come lui, almeno per l'80 per cento incapaci di essere competitivi e per una buona parte purtroppo anche dei falliti rispetto alle proprie aspirazioni. Mentre ora ci si può riconoscere tutti, persino con gratitudine". Oggi, in occasione del cinquantesimo anniversario, il primissimo capitolo della mitologia fantozziana tornerà in sala nella versione restaurata dalla Cineteca di Bologna e Villaggio - scomparso il 3 luglio del 2017 a 85 anni - ne sarebbe strafelice. "Da giovanissimo, con Fabrizio avevamo il sospetto che non avremmo mai sfondato. Ma devo ammettere che me ne andrò con la consapevolezza di avercela fatta. Perché? Mi incontrano per strada e mi abbracciano, soprattutto le donne. E mi dicono: 'grazie, perché con Fantozzi ci hai insegnato molte cose. Prima di tutto ad accettarci'".

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