Un autocanestro per vincere: 50 anni fa un Mou nel basket
BasketEra il 18 gennaio 1962: una furbata simile a quelle ideate oggi dallo Special One fa scalpore. A mettere in scena il clamoroso autocanestro fu il Real Madrid del basket, allenato dallo scaltro Pedro Ferrandiz: un trucchetto per vincere perdendo la partita
FOTO - 120 anni e non sentirli. Buon compleanno caro vecchio basket - Valentina, bomba sexy sul parquet
di Vanni Spinella
Oggi, nell’era di Morgan e di Mourinho, non farebbe più notizia. Cinquant’anni fa fece scalpore, tanto da suggerire una modifica del regolamento. Perdere apposta una partita allo scopo di vincere: possibile?
Sì, lo è. O meglio, lo era.
Allo stesso modo in cui oggi può essere vantaggioso farsi ammonire di proposito (metodo Mourinho, poi copiato da quei bacchettoni del Barcellona di Guardiola). O così come può essere utile, per un giudice di X-Factor, aggredire verbalmente un proprio pupillo, allo scopo di farlo apparire debole, indifeso e quindi bisognoso di essere sostenuto dal pubblico da casa (trucchetto psicologico perfettamente riuscito a Morgan – il cantante, non il portiere De Sanctis – se non fosse che poi, ammettendo candidamente la propria strategia, alla votazione successiva il suo pupillo è stato massacrato. Forse per ripicca, forse proprio da tutti quei pecoroni che ci erano cascati la prima volta).
Ad ogni caso, finte scenate e ammonizioni tattiche hanno il loro antenato nell’ “autocanasta”. Morgan e Mourinho hanno il loro maestro in un coach di basket spagnolo, Pedro Ferrandiz, che esattamente 50 anni fa (era il 18 gennaio del 1962), in una partita tra il suo Real Madrid e l’Ignis Varese, ordinò ai propri giocatori di farsi un “autocanestro”.
Si giocava in quella che a Varese chiamano ancora la “Palestra dei pompieri”, e quella sera si rischiò di doverli chiamare sul serio, per tenere a bada il pubblico di casa inferocito… per la vittoria.
Ma procediamo con ordine.
A due secondi dalla fine di una gara di andata di Coppa dei Campioni, Varese e Real Madrid sono sul punteggio di 80-80, scaturito al termine di una rimonta straordinaria da parte della squadra italiana, caricatissima dall’impresa e con la bava alla bocca.
Così, piuttosto che prolungare l’agonia nei supplementari e rischiare di subire una larga sconfitta, difficile da rimontare nella gara di ritorno, Coach Ferrandiz chiama il time-out e illustra ai suoi il piano, ordinando l’autocanestro.
Lorenzo Alocen ubbidisce e infila la palla nella propria retina: Varese vince di 2 sulla sirena. Risate del pubblico di casa, che inizialmente non capisce e si fa beffe di Alocen: finché il sospetto non si trasforma nella certezza di essere stati ingannati, e per poco i giocatori del Real Madrid non vengono inseguiti fin dentro gli spogliatoi.
Era chiaro: Coach Ferrandiz aveva concesso la battaglia, per concentrarsi sulla vittoria della guerra. Ed ebbe ragione: a Madrid, il Real non perdeva mai (complici alcuni arbitraggi discutibili, si dice) e quella volta non fece eccezioni. Al ritorno finì 83-62 per gli spagnoli.
Inevitabili le questioni morali che si sollevarono. Ferrandiz non andò contro alcuna regola, se non quelle non scritte dell’etica sportiva. Ma fino a che punto si spinge il confine tra etica e strategia? Ed è giusto impegnare le proprie risorse cognitive nella ricerca del modo migliore per aggirare il regolamento? E ancora: quando un allenatore o un atleta smette di essere considerato furbo e diventa scorretto?
In risposta agli interrogativi, il basket disse immediatamente stop alle “furbate” e l’autocanestro volontario fu abolito. A 50 anni di distanza, mentre nel calcio ci si accorda con il portiere avversario su come tirare un rigore, resta un episodio lontano, da ricordare con il sorriso.
di Vanni Spinella
Oggi, nell’era di Morgan e di Mourinho, non farebbe più notizia. Cinquant’anni fa fece scalpore, tanto da suggerire una modifica del regolamento. Perdere apposta una partita allo scopo di vincere: possibile?
Sì, lo è. O meglio, lo era.
Allo stesso modo in cui oggi può essere vantaggioso farsi ammonire di proposito (metodo Mourinho, poi copiato da quei bacchettoni del Barcellona di Guardiola). O così come può essere utile, per un giudice di X-Factor, aggredire verbalmente un proprio pupillo, allo scopo di farlo apparire debole, indifeso e quindi bisognoso di essere sostenuto dal pubblico da casa (trucchetto psicologico perfettamente riuscito a Morgan – il cantante, non il portiere De Sanctis – se non fosse che poi, ammettendo candidamente la propria strategia, alla votazione successiva il suo pupillo è stato massacrato. Forse per ripicca, forse proprio da tutti quei pecoroni che ci erano cascati la prima volta).
Ad ogni caso, finte scenate e ammonizioni tattiche hanno il loro antenato nell’ “autocanasta”. Morgan e Mourinho hanno il loro maestro in un coach di basket spagnolo, Pedro Ferrandiz, che esattamente 50 anni fa (era il 18 gennaio del 1962), in una partita tra il suo Real Madrid e l’Ignis Varese, ordinò ai propri giocatori di farsi un “autocanestro”.
Si giocava in quella che a Varese chiamano ancora la “Palestra dei pompieri”, e quella sera si rischiò di doverli chiamare sul serio, per tenere a bada il pubblico di casa inferocito… per la vittoria.
Ma procediamo con ordine.
A due secondi dalla fine di una gara di andata di Coppa dei Campioni, Varese e Real Madrid sono sul punteggio di 80-80, scaturito al termine di una rimonta straordinaria da parte della squadra italiana, caricatissima dall’impresa e con la bava alla bocca.
Così, piuttosto che prolungare l’agonia nei supplementari e rischiare di subire una larga sconfitta, difficile da rimontare nella gara di ritorno, Coach Ferrandiz chiama il time-out e illustra ai suoi il piano, ordinando l’autocanestro.
Lorenzo Alocen ubbidisce e infila la palla nella propria retina: Varese vince di 2 sulla sirena. Risate del pubblico di casa, che inizialmente non capisce e si fa beffe di Alocen: finché il sospetto non si trasforma nella certezza di essere stati ingannati, e per poco i giocatori del Real Madrid non vengono inseguiti fin dentro gli spogliatoi.
Era chiaro: Coach Ferrandiz aveva concesso la battaglia, per concentrarsi sulla vittoria della guerra. Ed ebbe ragione: a Madrid, il Real non perdeva mai (complici alcuni arbitraggi discutibili, si dice) e quella volta non fece eccezioni. Al ritorno finì 83-62 per gli spagnoli.
Inevitabili le questioni morali che si sollevarono. Ferrandiz non andò contro alcuna regola, se non quelle non scritte dell’etica sportiva. Ma fino a che punto si spinge il confine tra etica e strategia? Ed è giusto impegnare le proprie risorse cognitive nella ricerca del modo migliore per aggirare il regolamento? E ancora: quando un allenatore o un atleta smette di essere considerato furbo e diventa scorretto?
In risposta agli interrogativi, il basket disse immediatamente stop alle “furbate” e l’autocanestro volontario fu abolito. A 50 anni di distanza, mentre nel calcio ci si accorda con il portiere avversario su come tirare un rigore, resta un episodio lontano, da ricordare con il sorriso.