Tra Luca Banchi e la Virtus il tempo era scaduto

La rivoluzione in una notte: persa la partita contro l’Alba Berlino, è arrivata la scelta irrevocabile, nonostante il tentativo di dissuasione da parte di qualche giocatore: dimissioni. Luca Banchi, con una mossa rara e che gli fa molto onore, ha deciso di rinunciare alla panchina della Virtus e al suo contratto. È finita male, dunque, un’avventura che aveva fatto sognare a lungo. "Amarsi ancora" è il coro che l’anno scorso tante volte avevano intonato i tifosi bianconeri, deliziati dal gioco e dai successi della loro squadra. Quella è stata davvero una squadra da amare, per il basket che ha saputo esprimere, per i risultati che ha ottenuto in buona parte della stagione. Quella Virtus oggi non c’è più, Banchi non ha più riconosciuto quel gruppo capace di andare tante volte oltre i propri i limiti grazie ad uno splendido lavoro di squadra, ad una grande distribuzione di responsabilità. Quest’anno le cose sono cambiate e lo si è capito presto: le beghe tra i soci e i loro effetti sulla costruzione della squadra, poi formata senza criterio e in fretta e furia; l’arrivo di una stella ormai cadente come Will Clyburn, poche volte di impatto ma capace di minare la serenità dello spogliatoio; il calo, fisiologico, di alcuni giocatori ormai in là con gli anni. Banchi ha provato a tenere insieme tutti questi pezzi ma il mosaico era, ed è, talmente fragile da disintegrarsi ogni volta nei finali di partita. Fino alle ultime scelleratezze di Clyburn: il fallo di Brescia a cinque secondi dalla fine, ingiustificabile, che è costato la seconda sconfitta in campionato, e i due tiri sbagliati contro l’Alba nel finale di quarto quarto e dell’overtime, decisivi ma presi con una superficialità puerile. Luca Banchi ne ha avuto abbastanza: ha sopportato a lungo le ingerenze e l’immobilismo della società, ha sopportato anche i momenti difficili, vedere però che nel suo gruppo c’era chi remava contro ha reso la cosa insopportabile. E le dimissioni sono state una naturale conseguenza. Al suo posto ora c’è Dusko Ivanovic, uno dei cosiddetti santoni del basket: classe 1957, tiratore micidiale tra gli anni ’80 e ’90, si segnalò come l’uomo d’esperienza della bellissima Jugoplastika che rese famosi nel mondo i giovanissimi, all’epoca, Toni Kukoc e Dino Radja. Quella squadra di Spalato vinse tre Coppe dei Campioni di fila tra il 1989 e il 1991. Dusko si fermò a due perché fu uno dei primi dell’ex Jugoslavia, lui montenegrino di Podgorica, a tentare la carriera europea, prima a Girona e poi a Friburgo. E fu proprio in Svizzera che cominciò una carriera da coach ormai ultratrentennale che lo ha portato a vincere tanto in Spagna ma niente in Europa, nonostante i passaggi in squadre del livello di Barcellona, Khimki e Panathinaikos. Indissolubilmente legato al Baskonia, ha reso la squadra di Vitoria, Paesi Baschi, una delle grandi d’Europa, portandola due volte alla finale di Eurolega: la seconda nel 2005, persa contro il Maccabi; la prima nel 2001, quando dovette inchinarsi allo strapotere proprio della Virtus Bologna, all’epoca di Messina, Ginobili e Smodis. Quella stessa Virtus che l’anno scorso seppe fermare alla soglia dei playoff battendola due volte, prima a Bologna nell’ultimo turno di stagione regolare, poi a Vitoria nel secondo play-in che rese inutile l’impresa virtussina di Istanbul a casa dell’Efes. Insomma, la Virtus in qualche modo era nel destino di Dusko Ivanovic, noto a tutti come sergente di ferro, capace di imporre allenamenti massacranti, amato o odiato, allo stesso modo, dai giocatori. In casa Virtus alcuni lo adorano, Shengelia e Polonara su tutti, che con lui al Baskonia hanno anche vinto un campionato spagnolo. Altri sembrano davvero adatti ai suoi metodi, mentre una terza parte dello spogliatoio, se non comincia a rigare dritto, rischia davvero il posto con tanto di allenamenti punitivi. Del resto la stagione è da sistemare, soprattutto in Europa visto che la Virtus ogni anno ha una wild card da meritarsi: con le buone maniere di Banchi c’è chi non ha ascoltato e si è un po’ seduto, ora è arrivato il momento delle maniere un po’ più cattive.

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