Lo scherzo a Totti, il "regalo" di CR7 e altre curiosità: Di Biagio, oltre il rigore c'è di più

Calcio

Alfredo Corallo

Parigi, 3 luglio 1998: Gigi Di Biagio calcia sulla traversa il rigore contro la Francia nei quarti dei Mondiali, ma si rifarà... (foto Getty)
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In attesa della doppia amichevole della Nazionale con Argentina (stasera a Manchester) e Inghilterra (il 27 a Wembley) scopriamo meglio il nostro ct, che ancora in molti ricordano soprattutto per il rigore sbagliato ai Mondiali di Francia '98: dallo scherzo a Totti al pugno di Montero, la "fuga" con Bobo Vieri dalla Pinetina e quella maglia di Cristiano che è come un "tesoro" per lui 

Gigi non ha avuto paura di sbagliare "quel" calcio di rigore, e poi un altro ancora. Sopravvissuto (in ordine sparso): alla "ghigliottina" di Saint Denis; alla "Sudden death" di Rotterdam; al 5 maggio; al gancio destro di Montero; alle maledizioni dei fantallenatori per ognuno di quei 123 cartellini gialli che s'è beccato in 15 anni di Serie A; ai gradoni di Zeman! Insomma, poteva rimanere seriamente offeso, ma di brutto-di brutto-di brutto, e pensate davvero che a uno così tremeranno le gambe stasera, terrorizzato da Messi? Non gli tremeranno perché Di Biagio non è un miracolato; e se non appartiene alla categoria dei "giocatori tristi che non hanno vinto mai ed hanno appeso le scarpe a qualche tipo di muro e adesso ridono dentro al bar" è stato proprio grazie ai celebri particolari degregoriani: con il coraggio, l'altruismo e un po' di fantasia si è meritato un'altra possibilità, l'ennesima per il ragazzo che si ri-farà, una vita da mediano e bombe a mano, cantando e portando la croce.

Un periodo ipotetico

Che poi, se vogliamo, Enzo Bearzot diventerà il più Mondiale dei ct senza aver vinto nemmemo la Coppa Italia di Serie C, l'unico trofeo nella carriera di calciatore sollevato al cielo (di Monza, 1991) da Gigi Di Biagio. E Arrigo Sacchi quasimondiale - al Milan non ne parliamo neanche - che fu "un giocatore modesto, con un fugace passato di difensore nel Baracca Lugo" (cit. Enciclopedia Treccani). Ma l'Italia ai Mondiali non ci andrà, Di Biagio questo rischio non lo correrà: se non nel 2022 e altri "se". 1) Se non dopo essere scampato alla campagna inglese; 2) "Se" Ancelotti, Conte o Mancini non accetteranno l'invito della Federazione; 3) "Se", dunque, sarà confermato ct e sarà lui che guiderà la Nazionale alla qualificazione per i prossimi Europei; 4) "Se" li vincerà. In quel caso una chance per il Qatar non potrà toglierla nessuno. Ma Di Biagio ci è abituato: tutta la carriera del nostro ct ad interim, in prestito dall'Under 21 dopo la disfatta svedese, è stata un periodo ipotetico, costellata di "se". Nel bene e nel male.

Rigorosamente

Perché se l'Italia - come avrebbe potuto e dovuto - avesse battuto la Svezia, Di Biagio sarebbe ancora alla guida degli azzurrini e oggi saremmo già qui a fantasticare sui 23 da portare in Russia, pregustando birre gelate da tracannare a litri e un sano, patriottico, sacrosanto, definitivo, fantozziano rutto libero mundial.  Ma se la volée di Roberto Baggio non fosse uscita di un tanto così Di Biagio non avrebbe preso in pieno la traversa ai Mondiali del '98 ("stump!", lo sentite anche voi?). Salvo farsi perdonare - ponendo soprattutto fine alla sua di "autoflagellazione", lenita in parte dall'accoglienza che gli fu riservata al ritorno a Testaccio, nel suo quartiere - con il rigore all'Olanda del 2000. "Fu la fine di incubo" dirà l'ex centrocampista. "Erano usciti Del Piero e Inzaghi e mister Zoff mi chiese di calciare, non esitai nemmeno un attimo". Si era presentato per primo dal dischetto: tirò (da fermo) senza guardare, e Van Der Sar lo fece passare. 

"Regà, Francesco la scava"

Finché - in pieno psicodramma oranje, con Frank De Boer "posseduto" dalla smorfia diabolica di Toldo e la "mèta" di Stam decollata verso chissà quale galassia - non arrivò il momento di Totti. "Regà, Francesco m'ha detto che la scava". Di Biagio non riesce a trattenersi dal rivelare il più teribbile dei segreti. Che per un attimo Paolo Maldini avrà pure pensato di placcarlo, ma è tardi: il Pupone è già lì pronto a inforcare la posata magica. E tutti gli azzurri, abbracciati lì a metà a campo, ad assistere inermi e speranzosi, sospesi tra l'incredulità e un pizzico di sadica curiosità per sapere di morte dovranno morire. Gol. Di Biagio non aveva detto una fregnaccia. Non quella volta, almeno.

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Scherzi a parte

Non come quella volta, ai tempi della Roma, quando insieme al complice Fabio Petruzzi trascinò con l'inganno il giovane Francesco a pranzo in una trattoria fuori porta, accolti da un oste folle di suo e per la Magica, cornuto e contento di una moglie disposta a tutto pur di scappare da un'esistenza anonima, che cita "Il postino suona sempre due volte" e provoca spudoramente la giovane promessa giallorossa, lontanissimo dall'idea di costruire una famiglia, avere dei figli. Finalmente Di Biagio e Petruzzi li lasciano soli, e lei sarà libera di giocare a fare Miranda, la Jessica Lange alla bolognese con il Jack Nicholson denoartri: "No, 'a farina no! Che poi me devo annà a fa' 'a doccia...". Interrotti sul più bello dal fatidico "Sei su scherzi a parte". Già. "Me sembrava troppo facile, 'o sapevo t... vostri".

Simpatia Zeman

Alla Roma - mai completamente amato per i suoi trascorsi laziali - Gigi ritroverà il suo vecchio maestro Zeman, che l'aveva notato a Monza prendendolo con sé per rimettere in piedi un Foggia dei miracoli bis, mutilato del tridente delle meraviglie Signori-Baiano-Rambaudi. Con l'allenatore boemo Di Biagio sviluppa il senso del sacrificio e la sua vena offensiva, acquisendo quei tempi di inserimento che in futuro - specie all'Inter - saranno uno dei suoi pezzi forti insieme alla sua proverbiale "castagna" da fuori, doti che lo porteranno a realizzare 59 gol in Serie A, compresa la punizione nel derby con il Milan e il 2-2 alla Juventus. Ma quella partita con i bianconeri rimarrà nella storia per un altro gesto tecnico: un ko, tecnico.  

Lui è peggio di me

Di Biagio non era certo uno stinco di santo, e le cento e passa ammonizioni sommate in carriera - per la disperazione dei fantacalcisti, attratti dalla sua confidenza con gol e assist - gli sono "valse" il terzo posto assoluto nella classifica dei giocatori più ammoniti di sempre (alle spalle di Giampiero Pinzi e Daniele Conti, tra i recordman anche nelle presenze, che giustificazione non è). Bronzo per i gialli, medaglia d'argento per le espulsioni: Di Biagio è secondo con 9 rossi, superato soltanto dal re incontrastato del genere, Paolo Montero, espulso 16 volte. Una dimostrazione di forza che ha toccato il punto più alto - o più basso - il 3 novembre del 2000 al Meazza, quando l'ex difensore uruguaiano si disinteressò totalmente del pallone e sugli sviluppi di un angolo colpì in faccia Di Biagio, non visto dall'arbitro Braschi. Fino alla vendetta del numero 14, che scaglierà tutta la sua rabbia sulla natica di Zidane nella punizione del 2-2 finale. 

Tutti a casa alé

Se Totti era il suo "socio" negli anni giallorossi, in quell'Inter Di Biagio legò moltissimo con Bobo Vieri, compagni anche in Nazionale e protagonisti indiscussi del Mondiale francese, come nel match dei gironi contro il Camerun: Gigi aprì le marcature di testa, girando in porta un cross al bacio di Baggio, siglando il centesimo gol della storia azzurra nella Coppa del mondo. Bobo chiuderà i conti con una doppietta. Acquistati entrambi dal club nerazzurro in quell'estate, condivideranno anche la cocente delusione del 5 maggio, segnando pure in quell'occasione le reti - che si riveleranno inutili - nel 4-2 laziale dell'Olimpico. L'episodio più famoso che li accomuna è però legato alla "fuga" dal ritiro nella notte tra l'11 e il 12 gennaio del 2003, alla vigilia della gara casalinga con il Modena. 

Ufficialmente Vieri e Di Biagio non vengono convocati da Hector Cuper per un attacco febbrile, ma qualche giorno più tardi viene fuori la verità: erano stati puniti dal tecnico argentino per aver "disertato" il ritiro di Appiano Gentile, senza preavviso. "C'era troppo caldo". A distanza di 15 anni, ospite un paio di settimane fa a Sky Calcio Club, Di Biagio è tornato sulla bravata: "Era tutto vero. Alla Pinetina c'erano degli sbalzi pazzeschi, 0 gradi o 100 gradi. Tutte le volte Bobo mi diceva: «andiamocene a casa». Una sera che stavo male gli ho detto: Bobo andiamo, dai. E ce ne siamo andati...". 

Un punto d'oro

Un gran caldo faceva di sicuro a Lisbona il Ferragosto del 2002, quando l'Inter affrontò lo Sporting nei preliminari della Champions League, che si concluderà con la finale tutta italiana tra Milan e Juve proprio a Manchester, ma all'Old Trafford (nella stessa stagione del derby milanese, in semifinale, vinto dai rossoneri grazie al miracolo di Abbiati su Kallon, un'altra bastonata da ridere per Gigi). Al Lisbona, al 20' della ripresa l'interista lascerà spazio a Mathias Almeida, non prima di essere lasciato sul posto dalla giocata di un giovanissimo portoghese con un cognome uguale a quello del Fenomeno, al debutto assoluto nella competizione continentale. CR28 va al doppio della velocità e si beve il 14 , rivelandosi al mondo.  

"Durante il riscaldamento - ha raccontato Di Biagio - ci chiedevamo tutti chi fosse quel ragazzino con la scritta Ronaldo sulla maglia. Alla fine del match d'andata (terminato 0-0 ndr) mi chiese di scambiarci le maglie: oggi ho una reliquia a casa, la maglia dell'unica partita giocata da Cristiano Ronaldo in Champions con lo Sporting Lisbona". E sì perché al ritorno l'attaccante non fu convocato, ci pensò Di Biagio a fare il Ronaldo della situazione: suo uno dei due gol (l'altro di Recoba) che regalarano la qualificazione ai nerazzurri. "In realtà ci siamo rivisti un'altra volta - ha spiegato il ct - mi ha riconosciuto, mi ha sorriso e ha ricordato quel momento". Non manca ora che l'altro pezzo della collezione, stasera a Manchester è meglio non farsi sfuggire l'occasione.