Lipp-ip hurrà! Storia di idee tattiche nate da un sigaro

Calcio

Vanni Spinella

Esiste un Lippi "filosofo", al quale piace risolvere problemi. Nel corso della sua carriera l’ha fatto spesso, con invenzioni che hanno dato la svolta alle sue squadre: Nedved trequartista, Zambrotta terzino e in un certo senso… anche il tiro "alla Del Piero"

Chissà se le pensava durante le sue nuotate solitarie al largo, prima del classico spaghettino con le arselle a cui non riesce a dire di no; o se gli venivano in mente standosene seduto in poltrona a fumare l'amato sigaro. Le idee sono tutto, specie per un allenatore. E Marcello Lippi, che lo sa bene, le ha sempre cercate, ma non inseguite con affanno. Ha sempre pensato calcio, la mente al lavoro 24 ore su 24, ma allo stesso tempo c’era spazio anche per la nuotata, lo spaghettino, il sigaro. Poi, all’improvviso, Eureka!

Esiste anche un Lippi “filosofo”, che pochi conoscono. Uno a cui piace discutere nel senso più puro del termine: tesi che si confrontano, le idee che circolano, la risoluzione di un problema. Ha scritto un libro, “Il gioco delle idee”, in cui cerca di spiegare la sua filosofia, sintetizzabile in questa frase: “Cos’è un’azione ben riuscita se non un pensiero concreto in grado di aggirare un ostacolo?”. Quelli che ha risolto in carriera, come vedremo, sono per lo più problemi tattici, ma c’è modo e modo di farlo. Il suo ha sempre contemplato la presenza di un sigaro.

Il tridente che si sacrifica

Giunto alla Juventus, nel 1994, ecco subito il primo problema da risolvere. I bianconeri non vincono da anni, c’è una squadra rinnovata da assemblare, anche la dirigenza è tutta nuova. Agnelli gli dà il benvenuto a modo suo: «Quando sono arrivato l’Avvocato disse che la Ferrari aveva più possibilità di vincere il Mondiale che la Juve di vincere il campionato: quando vincemmo lo scudetto mi chiese scusa per quella frase». Lippi si mette al lavoro e costruisce una Juventus solidissima con i mastini Ferrara e Kohler a fare la guardia a Peruzzi, Carrera libero, Torricelli a sinistra, un centrocampo di corridori con due tra Di Livio, Conte e Deschamps che ruotano attorno al perno Paulo Sousa, regista dalla verticalizzazione facile. In attacco Baggio, Vialli e Ravanelli, con Del Piero che impiega poco a imporsi nonostante i suoi 20 anni. Un tridente che all’epoca non adotta neanche il Brasile che ha appena vinto il Mondiale, quello del tandem Romario-Bebeto.

La particolarità sta nel fatto che nel tridente di quella Juventus non ce n’è uno che non si sbatta: corsa continua, cercando sempre la profondità. Quando la squadra ha la palla tra i piedi ragiona giusto il tempo di trovare la via verticale più rapida per arrivare alla porta: dalla difesa al centrocampo, dal centrocampo all’attacco. Due linee rette, la strada più breve possibile, e davanti quei tre che si fanno trovare, vanno negli spazi. Vialli torna attaccante da doppia cifra (17 gol in campionato), dopo due stagioni in cui ne aveva sommati 10 in tutto; Ravanelli si sfianca e segna (15 reti, 30 contando anche le coppe), venendo ricordato ancora oggi come un classico esempio di attaccante che sa fare benissimo la fase difensiva, ripiegando per dare una mano ai compagni, senza risparmiarsi mai (ricordate il gol all’Ajax dalla linea di fondo? L’ha fatto perché non ha mai smesso di crederci); Baggio è il più sfortunato dei tre, fermato da un infortunio a novembre, ma il suo erede ventenne è già pronto in casa, e il merito di Lippi non sta tanto nell’accorgersene quanto nell’avere il coraggio di promuoverlo titolare senza tentennamenti, dando il via alla leggenda di Del Piero.

Proprio Del Piero parte da sinistra e si accentra, posizione che gli permette di inventare il suo gol preferito. Ancora loro, le idee: con ciò non vogliamo certo dire che il gol "alla Del Piero" l’abbia inventato Lippi, ma a lui va il merito di aver messo Pinturicchio a pestare quelle zolle, all’inizio della sua carriera in bianconero.

Muratori e falegnami: lavoratori alla riscossa

Quella che costruisce al suo arrivo, portandosi dietro il fido Ventrone e i suoi metodi da marine, è una Juve muscolare che stritola gli avversari innanzitutto sul piano fisico. Sarà uno dei motivi che porteranno alla rottura con Baggio, che in quella stagione si spacca il ginocchio destro già fragilissimo. Lippi va dritto per la sua strada (lo farà tante altre volte, in carriera: per informazioni chiedere a Panucci, Cassano o Balotelli): è convinto di poter costruire una squadra vincente anche senza di lui e assembla un mix di faticatori e ragionieri.

Anche in attacco c’è da sudare, naturalmente. Si assiste così alla già citata rinascita di Vialli, ma anche alla valorizzazione di Ravanelli, che con il Trap era percepito come un buon gregario. «Trapattoni – raccontava Penna Bianca – ci dice sempre che c’è chi nasce per fare l’architetto, chi per fare il geometra, chi per fare il muratore. Ecco, io appartengo alla terza categoria e ne sono orgoglioso». Il muratore dal capello imbiancato che corre ingobbendosi viene trasformato da Lippi, che ne esalta la propensione al sacrificio ma ne riscopre anche il fiuto in zona gol (storici i 5 in un colpo che rifila al Cska Sofia in una partita di Coppa Uefa, finita 5-1). Discorso simile, gol a parte, per un altro umile lavoratore, il “falegname” Torricelli, una vita nelle serie minori (lavorando nel frattempo in un mobilificio: ecco spiegato il soprannome Geppetto) fino a che Trapattoni non ne intuisce il potenziale. Un altro perfetto “muratore”, nella sua classificazione. Lippi non lo snatura: gli toglie solo le briglie. La fascia sinistra diventa roba sua, Torricelli è sempre tra i più utilizzati, se parte titolare (cioè quasi sempre), Lippi non lo leva mai, nonostante il compito che gli viene richiesto sia tra i più sfiancanti.

Nedved, da mezzala a trequartista

Il 2001 è l’anno del Lippi-bis, con il ritorno alla Juventus dopo la sfortunata parentesi interista. Marcello e Signora si risposano, e tornano entrambi a vincere. Tutto nasce da una nuova rivoluzione: stavolta arrivano Buffon, Thuram e Nedved, pagati con le cessioni di Inzaghi e Zidane. “Più divertente che utile”, quest’ultimo, secondo l’Avvocato: Lippi, per la verità, l’aveva trovavo utilissimo nel corso della sua prima era juventina, lasciandolo libero di creare sulla trequarti e ricevendone in cambio capolavori inestimabili. Il problema (da risolvere) si pone quando da quella casella sparisce il miglior trequartista del mondo e bisogna ridisegnare la squadra. Lippi si fa una nuotata, fuma il suo sigaro, e torna con la soluzione: il fosforo di Zidane lo sostituiamo con i muscoli di Nedved. Il ceco, appena arrivato dalla Lazio, lo conoscono tutti: è una fantastica mezzala dal gol facile, praticamente inesauribile, ma non esattamente un fantasista. Occorrono poche partite per capire che la cosa funziona ugualmente, con Nedved che parte dalla sinistra in quello che in fase difensiva sembra un 4-4-2 per poi accentrarsi e piazzarsi tra le linee quando la Juve attacca. Dietro a Del Piero e Trezeguet (30 gol in due in campionato) rappresenta una nuova fonte di gioco offensivo, ma può anche sfruttare molto più facilmente il suo gran tiro dal limite. Parliamo di uno che come allenamento (extra) disponeva palloni lungo tutto il perimetro dell’area di rigore e poi li calciava in porta, destro o sinistro non faceva differenza, per migliorare la conclusione da qualunque posizione, perché in partita non sai mai dove potrebbe presentarsi l’occasione propizia. Sarà per questo che la sua assenza nella finale di Champions contro il Milan è uno dei più grandi rimpianti del popolo juventino?

Il “piacevolissimo problema” di Zambrotta e Camoranesi

Un anno dopo, nel 2002, arriva dal Verona Mauro German Camoranesi, ala destra italoargentina che nell’Hellas si è messa in mostra con ottime doti di dribbling, cross e corsa. L’ideale per sostituire l’infortunato Zambrotta, che su quella corsia viaggia come un treno. A ottobre, quando Zambrotta torna a disposizione, «mi ritrovai con un piacevolissimo problema: due grandi calciatori per un ruolo», racconta Lippi. In casi come questo – sovrabbondanza di talento – la scelta migliore che si possa fare è quella di non scegliere, ed è esattamente ciò che fa l’allenatore, ritenendo che «i grandi calciatori devono giocare sempre, anche a costo di cambiare ruolo». Tra uno e l’altro preferisce entrambi, inventandosi un cambio di rotta per Zambrotta, trasferito a sinistra, ma non per fare l’ala, e qui sta il colpo di genio. «Proposi a Gianluca di provare a giocare difensore esterno a sinistra, dicendogli che a mio parere aveva le caratteristiche perfette. In poco tempo calciava e crossava quasi meglio di sinistro che di destro». In effetti Zambrotta diventa rapidamente uno dei migliori terzini sinistri in circolazione per diverse stagioni. Inutile sottolineare che l’accoppiata Camoranesi-Zambrotta verrà riproposta pari pari nella Nazionale del 2006.

La promozione di Cannavaro

Vale il discorso già fatto per Del Piero: certi talenti non sono difficili da riconoscere. Ma quanti hanno il coraggio di affidarsi totalmente a loro? Quando Lippi arriva al Napoli (estate 1993), dopo un’ottima stagione con l’Atalanta, Fabio Cannavaro è un ragazzo di 21 anni proveniente dal vivaio: impiega una partita per diventare una colonna della difesa. «Mi ero accorto delle sue qualità già durante il ritiro estivo», dice Lippi, poi, complice un avvio di campionato incerto con due sconfitte nelle prime due gare (Sampdoria e Cremonese), l’allenatore decise di rimescolare le carte. Alla terza lo schiera titolare accanto al più esperto Ciro Ferrara con il doppio vantaggio di dare freschezza alla difesa e di far maturare una promessa con l’opportunità di imparare i trucchi del mestiere vedendo da vicino uno dei migliori. «Giocò la prima partita e non perse più il posto»: figuratevi che è arrivato a sollevare la Coppa del Mondo…

Scuola Lippi

La modernità di Lippi sta anche nella sua capacità di modellare le squadre a suo piacere, maneggiando tutti i moduli: ha giocato con il libero nella sua prima Juve, passando poi alla difesa in linea l’anno dopo con il 4-3-3; ha provato un’Inter con il 3-3-1-3 che mutava fino a diventare 3-5-2 (potendo contare pochissimo sulla supercoppia Vieri-Ronaldo), ha adottato il rombo di centrocampo una volta tornato alla Juventus, ha vinto un mondiale con il 4-2-3-1 che poteva diventare un 4-4-1-1 in base ai movimenti di Camoranesi e Perrotta.

Uno così è inevitabilmente un professore, per chi abbia voglia di stare a sentirlo e prendere appunti. Torniamo alla Juventus con cui trionfò in Champions nel 1996: a centrocampo, dove di solito bazzicano i pensatori, Paulo Sousa, Didier Deschamps e Antonio Conte. Indovinate un po’ che mestiere fanno oggi questi tre? Dalla classe di Lippi sono usciti allenatori vincenti (e con idee): Conte ne ha persino seguito le orme arrivando alla Nazionale, Zidane (aiutato poi dalla palestra fatta al Real, anche accanto ad Ancelotti) stradomina l’Europa, Carrera è lo zar di Russia, il fido Fabio Cannavaro l’ha sostituito sulla panchina del Guangzhou Evergrande dopo avergli fatto da vice, e ha iniziato a vincere da solo. Per tutti loro, un solo grido: Lipp-ip hurrà!