Buon compleanno Marcello Lippi: i 70 anni di un italiano vero

Calcio

Alfredo Corallo

Marcello Lippi e i "suoi ragazzi" il 9 luglio del 2006 a Berlino, campioni del mondo (foto Getty)
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Il ct dell'Italia campione del mondo compie 70 anni, nato il 12 aprile del 1948 a Viareggio. Una carriera inimitabile con la Juve, l'esperienza in Cina, le sue passioni per il mare, la musica, la simpatia giovanile per il Milan. Amatissimo dai suoi ragazzi in quell'avventura Mondiale piena di storie diventate ormai "leggendarie": dagli "occhiali" di Berlino al "barbiere" Oddo, allo scherzo del salmone... 

MARCELLO LIPPI, TUTTE LE INNOVAZIONI TATTICHE

Cosa non ha fatto in questi 70 anni Marcello Lippi. A Viareggio, da bambino, consegnava bomboloni ai bar per conto della pasticceria del papà. L'elettricista, per un anno. Il pittore, sì: era portato per il disegno. Un richiamo giovanile per la medicina e il suo sogno neanche tanto nascosto di diventare un cardiochirurgo. La musica, una venerazione per Mina, che alla "Bussola" era di casa (anche lui, grazie al cugino direttore di sala che lo lasciava imbucare). Mina, Celentano e una leggera preferenza per i Beatles (sui Rolling Stones, ça va sans dire). Ha cantato, al Festival di Sanremo: nel 2010 con Emanuele Filiberto e Pupo, "Italia amore mio", e chi se non lui. Se parliamo di sentimenti... la prima vera cotta l'ebbe per Rachel Welch: da giovanissimo, su un poster un po' osé, segnò su un seno dell'attrice americana il suo gruppo sanguigno.

Ma il grande amore della sua vita sarà Simonetta, che sposerà il 1° luglio del 1974 e da lei avrà Davide e Stefania. A una settimana dalle nozze si schiantò con la sua Flavia Coupé, tamponò un camion in una galleria e si risvegliò a La Spezia, ma non si fece un graffio (ha sempre ammesso di essere un tipo fortunato, tesi confermata da Aldo Agroppi che una volta - carnevalescamente - disse: "In confronto a quello di Lippi, il culo di Sacchi era un coriandolo"). Bello. Non per niente a Cesena, al debutto da allenatore in Serie A il 27 agosto del 1989, battuto 3-0 dal Milan di Sacchi (lupus in fabula) i giornali locali titolarono: "Sconfitta all'esordio per il Paul Newman della Romagna". Un accostamente che, tra l'altro, all'attuale commissario tecnico della Cina è sempre garbato. Come il Milan...

Giovane rossonero

"Da ragazzino abitavo in via Roma e all'epoca, durante il Torneo di Viareggio, in quella zona veniva ad alloggiare la primavera del Milan. Così, quando i giocatori andavano ad allenarsi in Pineta - ha confessato l'anno scorso in occasione del suo 69° compleanno, invitato al Gran Caffè Margherita della sua città - io ed alcuni miei compagni ci offrivamo come raccattapalle. Finché non ci regalarono due magliette e con quelle che ci comperarono i nostri genitori formammo una squadra. Da lì nacque questa simpatia per il rossoneri...". 

Antifascista

Cominciò da mezzala nel vivaio della Stella Rossa. "Era una specie di cellula comunista - leggiamo da un'intervista del Corriere datata 2007 - ma la politica non c'entrava, anche se in pullman ci facevano cantare «Bella ciao» e «Soffia il vento». L'anno prima giocavo nella squadra dei preti". Di estrazione socialista, non mai dimenticato le sue origini. A gennaio, sollecitato dal sindaco di Stazzema, comune antifascista, si è iscritto all'anagrafe virtuale istituita dal municipio toscano. "Da versiliese sento molto questo impegno - ha dichiarato - siamo cresciuti nel mito della Resistenza, consapevoli di cosa era accaduto in questa terra. Oggi viviamo in un mondo che sembra andare a scatafascio, si vedono e si sentono episodi inquietanti. Ecco perché dobbiamo impegnarci tutti perché certe cose non succedano più". 

Sampdoriano

Nel 1964 si trasferì a Genova, nelle giovanili della Sampdoria. Trasformato in libero da Cherubino Comini, diventerà capitano e bandiera blucerchiata per 9 stagioni. Non prima di essere soprannominato "Quintalino", nel 1968, durante il servizio militare, perché giocava poco e prendeva chili... Fino all'esordio in Serie A, il 28 settembre del 1970 a Cagliari, una data storica perché coincise con l'inaugurazione ufficiale dello Stadio Sant'Elia. Davanti a 65mila spettatori e di fronte ai "messicani" Riva e Domenghini fece un figurone (sebbene uscì sconfitto per 2-1). Quella e altre prestazioni gli valsero anche la convocazione di Enzo Bearzot nella Nazionale Under 23 per due match: Italia-Israele a Bari (2-0) e Austria-Italia (2-1) a Klagenfurt. 

Modello

L'allenatore di quella Sampdoria era Fulvio "Fuffo" Bernardini, che considera il suo modello e che non manca mai di ricordare. "Una persona di grande cultura, che sapeva sempre metterti a tuo agio. All'epoca era uno dei pochi calciatori ad essersi laureato, tanto è vero che lo chiamavamo il «dottore». Ai tempi della Samp abitavamo entrambi a Bogliasco e capitava spesso di andare insieme a pescare. E parlavamo di tutto, non soltanto di calcio. Mi sono sempre detto che se fossi riuscito a prendere da lui anche soltanto il 5 per cento delle sue doti, sarei stato una persona felice. Un giorno, preparando una partita con il Milan, decise di piazzare Corni su Rivera ma si raccomandò: «Marcalo ma non stargli troppo vicino. La gente paga ed è giusto che possa ammirare i suoi numeri...». Senza dubbi è stato lui la figura più importante della mia vita professionale". 

Bagnino 

A fine carriera la promozione con la Pistoiese in A (c'era anche Guidolin in quella squadra) e l'ultima esperienza nel 1982 in C2 a Lucca, dove tornerà da allenatore nel 1991, già forte delle esperienze con la Primavera della Samp, a Pontedera, Siena, Pistoia e naturalmente la salvezza "miracolosa" all'esordio in A con il Cesena, esonerato da Lugaresi nell'annata seguente. Alla Lucchese prese il posto di Corrado Orrico, volato all'Inter. "I tifosi lucchesi, in quanto viareggino, non mi hanno mai amato. Per loro ero il bagnino, quello che piantava gli ombrelloni sulla spiaggia. La stagione iniziò alla grande, ma alla prima sconfitta dagli spalti cominciarono ad insultarmi proprio perché viareggino. E io risposi per le rime, ricordando che le loro mogli e le loro fidanzate venivano al mare a Viareggio e giù con le allusioni. Non me l'hanno mai perdonata...". 

Bergamasco-napoletano

Nonostante tutto... l'ottavo posto di Lucca gli valse una nuova chiamata in A, dall'Atalanta, con cui nel 1993 sfiorò la Coppa Uefa schierando il trio d'attacco Perrone-Ganz-Rambaudi. Qualificazione che arrivò a Napoli, chiamato da Ottavo Bianchi, nel frattempo diventato general manager di una società ormai orfana di Maradona e sull'orlo della crisi finanziaria, ma con un gioiello in cassaforte: Fabio Cannavaro, che Lippi fa esordire giovanissimo. "Quando ci siamo conosciuti giocavo nel Napoli ed ero uno scugnizzo con tanti sogni nel cassetto - gli auguri di Cannavaro su Instagram - grazie a te qualche sogno di quel cassetto l'ho realizzato. Grazie anche per tutte le cose che mi hai insegnato e che ogni giorno cerco di trasmettere ai miei giocatori". 

Interista, anzi no

Lippi è ormai un allenatore in rampa di lancio, cercato dalle big. A farsi avanti è l'Inter, ma qualcosa va storto. "Dieci giorni prima di firmare per la Juve - rivelò Lippi sempre al Corriere - mi aveva chiamato Ernesto Pellegrini. Andai a cena a casa sua, sua moglie mi fece scrivere qualcosa per fare la prova grafologica, sembrava fosse andato tutto bene. Una settimana dopo mi chiama il direttore sportivo Mariottini per confermarmi che tutto era okay, ma che il presidente aveva ancora bisogno di tempo. E siccome questa risposta non arrivava, firmai per i bianconeri". 

L'Avvocato

Lippi si presenta alla Juventus con l'ambizione di riportare lo scudetto a Torino dopo 9 anni di digiuno. Farà molto di più, tra la prima gestione (1994-99) e la seconda (2001-2004) vincerà praticamente tutto: 5 campionati, una Champions (più altre due finali perse), Supercoppa Intercontinentale ed Europea, una Coppa Italia, 4 Supercoppe italiane. Costruisce un modello di squadra aggressiva, muscolare, operaia, affamata, lancia il giovanissimo Del Piero (preferendolo gradualmente a Roberto Baggio, incrinando i rapporti con il Codino, fino alla definitiva rottura) e getta di fatto le basi per la vittoria del suo Mondiale, che conterà su 9 elementi del blocco bianconero. "I miei primi mesi alla Juve furono difficili, come previsto. E l'Avvocato Agnelli allora fece una delle sue battute, mi pare all'uscita da San Siro. Disse che per quell’anno era più facile che la Ferrari vincesse il mondiale di Formula Uno, piuttosto che la Juve lo scudetto. Vincemmo lo scudetto e l'Avvocato venne al campo d'allenamento, ricordò quella frase e mi disse che il 90 per cento del merito di quella vittoria era mio". 

Juventinità

All'Inter ci finirà nell'estate del 1999, ma le cose non andarono come previsto, o forse sì. Certo è che Vieri e Ronaldo non poterono quasi mai giocare insieme, il Fenomeno s'infortunò a novembre e al ritorno in campo, che era proprio un 12 aprile nella finale di Coppa Italia con la Lazio si "ruppe" di nuovo. Sarà il "nemico" Baggio a regalargli il 4° posto con la doppietta nello spareggio di Verona contro il Parma, ma l'uscita nel preliminare con gli svedesi dell'Helsingborg e la "sparata" dopo la sconfitta di Reggio Calabria alla prima di campionato spinsero le parti a chiudere i rapporti. "All'Inter - ha dichiarato a dicembre su Dugout - non ero ben visto perché difendevo la mia juventinità, questo non poteva funzionare. Ma che soddisfazione vincere lo scudetto del 5 maggio...". 

L'Italia chiamò

Un po' meno per Marco Materazzi, che quel giorno a Roma con la Lazio era in campo, ma c'era anche a Berlino e quella volta - da interista in un gruppo di juventini - la soddisfazione se la levò lui, segnando il gol del pareggio nella finale di Berlino. L'Italia ci arrivò dopo un percorso cominciato nel 2004, quando la Federazione scelse di affidare a Lippi la panchina della Nazionale. Un cammino partito in salita per Marcello - come piace scaramanticamente a lui - sconfitto in amichevole dall'Islanda, fino al capolavoro Mondiale nel bel mezzo di Calciopoli, osannato alla fine da tutto il Paese senza distinzione di colori e fedi calcistiche. Artefice assoluto di un gruppo che lo seguiva e lo e amava alla follia, condividendo anche tante storie divertenti. 

"Allora Massimo, te la senti? Ti senti pronto?". Oddo che non aveva ancora giocato un minuto di quel Mondiale - ma che in compenso aveva tagliato capelli e stappato birre a tutta la truppa - saltò in piedi: "Certamente Mister, sono prontissimo! "Bene, allora ti aspetto nello stanzino del barbiere così mi puoi dare una sistemata ai capelli". E poi quella degli occhiali, che oggi sono esposti al Museo della Fifa di Zurigo. "La prima cosa che ho fatto dopo il rigore di Grosso? Salvare gli occhiali...". Perché con Gattuso che da un istante all'altro poteva saltarti al collo minacciandoti un "Mister, se te ne vai ti ammazzo" non si sa mai. 

Ma perché Grosso? "Perché Grosso è quello dell'ultimo minuto. Si è procurato il rigore con l'Australia allo scadere (realizzato poi da Totti ndr), con la Germania ha segnato alla fine, così ho scelto di fare calciare il quinto a Fabio". E lui? "Mister, ma è sicuro?". Goooooooooooooool.

Lo scherzo del salmone. Racconta Lippi: "Il giorno prima della finale dovetti pagare una scommessa che avevo fatto con la squadra. Avevo detto che se fossimo andati in fondo avrei fatto il bagno nel laghetto dietro il campo d'allenamento, il problema è che era melma quella, e non acqua". Spiegherà meglio Zambrotta: "Ha radunato l'intera squadra, si è tuffato ed è sparito. Inghiottito dal fango. È riemerso con in mano un pesce decisamente grande. E decisamente morto". Comprato e buttato in acqua dal cuoco, impossibile non accorgersene. A meno che non ti chiamassi Iaquinta: "Però, che culo mister!". 

Tornati a Duisburg, dopo il trionfo dell'Olympiastadion? "Non mi piace il casino, ho bevuto un bicchierino con i collaboratori, sono salito in camera, ho acceso un sigaro e ho rivisto tutta la finale. Questo per me è il modo più bello di festeggiare". È fatto così.

Veni Vidi Vici

Nel 2010 l'atmosfera non fu la stessa e l'Italia tornò a casa in fretta dal Sudafrica. Dopo un periodo di riposo, dedicato alla famiglia, al nipote Lorenzo e alle sue adorate passeggiate sul lungomare, la partenza per la Cina, dove oggi è più famoso di Marco Polo. Con il Guangzhou Evergrande vince tre volte la Chinese Super League e conquista la Champions League asiatica, spingendosi fino alla semifinale del Mondiale per Club con il Bayern Monaco. Ct della Nazionale cinese dal 2016, punta alla Coppa d'Asia che si svolgerà negli Emirati Arabi l'anno prossimo. Interpellato spesso sulle sorti dell'Italia, prendiamo in prestito una sua recente dichiarazione in merito al suo futuro che riannoda il filo del nostro racconto: "Di certo non tornerò a sedere su una panchina di una squadra italiana perché in Italia quello che dovevo fare l'ho già fatto".