Buffon: "Potrei smettere anche tra dieci anni, ma ora non voglio pensarci"

Calcio

Il portiere del Paris Saint Germain si è raccontato nel corso di una lunga intervista a L’Equipe, toccando diversi temi legati alla sua vita professionale e anche a quella privata: "Non so ancora quando smetterò e nemmeno voglio saperlo, ma le emozioni che mi ha regalato il calcio saranno irripetibili. Ho 40 anni e non posso comportarmi come quando ne avevo 20, se continuassi a farlo sarebbe un problema"

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A tutto Gigi Buffon. Una carriera da leggenda per il portiere italiano, che dopo una vita trascorsa a difendere i colori della Juventus ha deciso di accettare una nuova sfida in Francia, al Paris Saint Germain. Già protagonista di diverse ottime prestazioni in Ligue 1, il portiere quarantenne si è raccontato nel corso di una lunga intervista concessa a L’Equipe. Un Buffon inedito per i francesi, che hanno potuto conoscere diversi lati del giocatore e dell’uomo. Non soltanto temi calcistici, l’ex numero uno bianconero ha affrontato anche diversi argomenti legati alla sua vita privata. Prima, però, una previsione sul futuro: Buffon ha confessato di non aver ancora pensato a una data per il suo ritiro. "Negli ultimi anni ho imparato che fissare un limite sarebbe un errore. Quando avevo 32 anni pensavo che avrei smesso all’età di 35 anni – ha detto il portiere italiano -, ma in quel caso le circostanze mi spinsero a continuare. Così mi ero prefissato di fermarmi a 38 anni, ma non è stato così. Sono arrivato a 40 anni e sono ancora qui. Non so quando smetterò, potrei farlo tra sei mesi o un anno, ma anche tra dieci. Non voglio chiedermelo e non voglio nemmeno saperlo. Ma di una cosa sono sicuro, le emozioni che mi ha regalato questo mondo, la vita dello spogliatoio e tutto il resto saranno irripetibili, nient’altro potrà darmele. Nella vita ci sono delle fasi, è una cosa che bisogna accettare. Quando finirà tutto non rimarrò sorpreso. Tutto sarà assolutamente diverso da ciò che è stato fino a questo momento, questo lo so".

Avere 40 anni

Buffon ha poi parlato di alcuni lati della sua vita personale, a partire dal rapporto con la moda. "Quando ero giovane e giocavo nel Parma sono stato uno dei primi a voler giocare con la maglia della squadra: in casa giocavo con la seconda divisa dei giocatori di movimento, in trasferta usavo la prima maglia. Lo facevo per dimostrare che volevo far parte della squadra, era questo il mio modo. E tagliavo le maniche della maglia. Ma non lo facevo per lanciare mode, non ho mai desiderato essere alla moda – ha proseguito il numero 1 del PSG -, io voglio soltanto stare bene con quello che indosso ed avere il mio stile". Differente da quello degli altri colleghi: "Sì, sono ancora un calciatore e vivo in mezzo ai miei compagni. Mi piace vestire sportivo, ma ho anche dei figli. E ho 40 anni, quindi non posso vestirmi come i miei compagni di squadra o come una persona di 20 anni – ha spiegato -: sotto questo punto di vista preferisco non essere alla moda, ma rimanere elegante. Negli ultimi anni ho avuto tante responsabilità. Sono diventato il capitano della Nazionale italiana e della Juventus, per questo ho assunto tante responsabilità nei confronti del gruppo. Mi sembra comunque una evoluzione naturale nella carriera di un giocatore tra i 30 e i 40 anni. Certamente quando ero giovane era tutto diverso. E per certi versi era anche più bello: potevo fare quello che volevo, ma se a 40 anni ti comporti come quando ne avevi 20, allora vuol dire che c’è un problema".

Essere leali

In chiusura Buffon si è soffermato su un valore importante nella vita di un calciatore, la lealtà. A tal proposito L’Equipe cita la scelta del portiere di rimanere alla Juventus nonostante la retrocessione in Serie B nel 2006. "Attraverso la lealtà si può inviare un messaggio all’esterno, nel calcio questa cosa è amplificata. Ai tifosi, rimanendo leale, si può trasmettere qualcosa di importante, si può dire che anche nei momenti difficili tu ci sei sempre. Noi giochiamo per la gloria, per i soldi, per i trofei e per molte altre cose, ma anche per un grande sentimento di appartenenza che proviamo. Non tutti lo capiscono, perché la nostra è una professione non semplice da comprendere. Io, ad esempio, non posso giudicare l’operato di un ingegnere nucleare, perché non so nulla di ciò che fa. Il calcio, però, è uno sport popolare, quindi accettiamo le critiche. Spesso possiamo non gradirle, ma le accettiamo. In quanto persone siamo anche vulnerabili e, purtroppo, c’è anche chi non capisce e influenza l’opinione pubblica. I rapporti che ci sono tra di noi non vengono spesso capiti – ha concluso Buffon – ,ma sono davvero importanti".