Aberdeen, visita al Pittodrie Stadium: dove è nato il mito di Alex Ferguson

Calcio

Massimo Marianella

Una delle storie di sport più emozionanti: è l’Aberdeen di Ferguson, che conquistò 10 trofei in 7 stagioni negli anni ’80. Ecco un emozionante tour nei luoghi del giovane Alex, da dove è partita la strada per diventare Sir

Il campo da golf dietro la collinetta. Intorno erba alta, bionda e smeraldo, pettinata dal vento. Davanti il mare e la spiaggia dove oggi non si allenano più. Una cartolina che potrebbe fare da introduzione ad uno dei romanzi di AJ Cronin o a uno dei viaggi narrati da Dickens. Un panorama scozzese. Bello come tanti e che fa apparire nella fantasia immagini con vestiti di tweed e bottiglie di cristallo con “nettare” di color ambrato. Questa volta però è un romanzo sportivo. La scena è la vista che si gode davanti al Pittodrie e allora la mente va a notti di incredibili trionfi dell’Aberdeen anni 80.

Quelle di un giovane Alex Ferguson che lì iniziò la strada per diventare Sir affondando però, non come si fa oggi le mani nelle casse societarie per firmare giocatori da ogni angolo del mondo, ma nella più pura tradizione scozzese per rendere quel gruppo vincente e dare il via ad una avventura meravigliosa. Un calcio fatto di fisicità, corsa e grinta, ma anche estro, talento a tanta voglia di arrivare.

Le foto che sfaglia rapidamente la mia immaginazione sono quelle delle notti europee, dei successi in Scozia e di giocatori che hanno creato il mito di questo club. Leighton in porta, Mc Leish e Miller in difesa, Strachan ovunque e McGhee davanti. Grandi risultati accompagnati anche da quel velo di leggenda con le immagini di quel team che si allenava in spiaggia quando il campo d’allenamento era troppo innevato o impraticabile.

Pittodrie Stadium

Entrare nello stadio un’emozione ed è ancora più bello perché riporta più il ricordo di quei successi che le pennellate di bianco per ringiovanirlo. Uno stadio vecchio e fiero di esserlo e del suo vissuto anche se l’equilibrio tra orgoglio e nostalgia per tutti quelli che hanno vissuto quella storia, prima durante e dopo, quindi nel presente, è sempre un po' precario. L’esempio appena entrato.

"Quindi ti sei perso?"

Così mi ha stretto la mano il vecchio kit manager del club cui Malcom Panton, il capo ufficio stampa che gentilmente mi ha accompagnato in un meraviglioso tour guidato del Pittodrie, mi aveva presentato in maniera forse eccessiva rispetto ai miei meriti. Voleva essere un approccio ironico molto British, ma nascondeva anche un pizzico d’amarezza. Per quel signore che era stato testimone e, nelle sue competenze, protagonista di tanti successi anche internazionali dei Dons, ormai un giornalista d’oltre confine se arriva al Pittodrie (che in gaelico sarebbe luogo del concime) è solo perché deve essersi perso. Invece si può e si deve andare lì perché la storia in quanto tale non ha tempo e non ha scadenza.

Un mito che aleggerà per sempre

La grandezza di un club, anche se un po' impolverata, resta per sempre e le gesta di quella straordinaria squadra inizio anni 80 con la maglia rossa è ancora nella memoria di chi ama il calcio. Di chi lo ha vissuto in quell’epoca o chi ne ha colto l’onda portata dalla storia. Una squadra molto britannica che ha prima scavalcato il muro delle squadre di Glasgow in patria poi messo il nome di questa città di cemento di 200 mila abitanti del nord della Scozia sulla mappa del mondo sportivo. Il punto di partenza di carriere di successo e non solo di quella del Manager che avrebbe poi portato la parte rossa della città di Manchester sul tetto del Mondo. Purtroppo non lo è stato per il club che oggi come ahimè tutto il calcio scozzese sembra appartenere ad un altro mondo, ma un mondo che andrebbe salvato perché ha solo perso un po' il contatto con la vetta solo per motivi economici. Il tour è bellissimo ed ogni angolo. In un panorama mondiale di stadi nuovi, belli, moderni, ma tutti drammaticamente uguali, il Pittodrie è fiero della sua unicità e non solo per la bacheca dei trofei rammenta un mito che aleggerà per sempre.

Boot Room

La Boot room che serve anche da sfondo le interviste televisive a caldo nel post partita. Le foto della storia nei corridoi stretti e la Coppa delle Coppe col gagliardetto della Finale contro il Real Madrid e quella della Supercoppa Europea contro l’Amburgo che fanno bella mostra di loro ai fianchi, nella bacheca a sinistra dell’entrata principali.

Board Room

Altri due passi a destra verso la scala per la tribuna e c’è la Board room dove si firmano contratti e prendono decisioni, ma che il giorno della gara il chairman la trasforma in una sala ricevimento con cibo e vini d’annata per brindare alla partita.

Kit Room

Aria sportivamente sacra si respira nella kit room che è stata trasformata in un museo riservato a pochi. Ci sono altre foto, una mappa dell’Europa con le spille dei club affrontati nelle varie competizioni, ricordi e le maglie, di club o della nazionale, che ogni giocatore che va via dall’Aberdeen deve spedire da amico al Pittodrie.

Pittodrie Pie

Ora la media spettatori in questo stadio di 120 anni è attorno solo ai 14 mila di media, ma si mangia sempre la tradizionale e gustosa “Pittodrie Pie” di carne macinata. Oggi l’Aderdeen FC ha la stessa maglia, lo stadio, lo stemma, i colori di sempre, ma tutto è cambiato. In bacheca solo una Coppa di Lega vinta dal 1996 ad oggi ed in Europa spesso ci ferma ai preliminari. Bisognerebbe riuscire ad invertire l’ottica. Senza nostalgia. Pensare che l’Aberdeen Football Club oggi è l’eredità di un passato recente di successo e usare la storia come spinta. Perché quel romanzo sportivo è comunque stato consegnato alla leggenda.