“Soddisfazione è oggi. Per tutto quello che ci accade, dentro e fuori dal campo. Andare al Quirinale, giocare Juventus-Fiorentina all’Allianz con 40.000 persone. Qualificarsi per un Mondiale. E avere l’attenzione che stiamo ricevendo adesso". La capitana bis si racconta in una puntata speciale de "Le Signore del Calcio", in onda domenica 2 giugno alle 16.45 e 22.30 su Sky Sport Mondiali e disponibile su On Demand
“Noi siamo la generazione della svolta perché prima c’è stato un buio di più di 20 anni. E noi stiamo portando oggi il calcio femminile nella casa di tutti quanti. Soprattutto i genitori cambiano la prospettiva, portano le bambine a giocare. Siamo quelle che stanno sdoganando questo sport. In quel senso siamo la generazione della svolta”.
E’ Sara Gama a parlare, la capitana “ bis” della Nazionale e della Juventus, l’attivista sin da giovanissima della causa del calcio femminile, la dirigente che da anni siede in Consiglio Federale, la ragazza colta e sensibile alle cause civili, il personaggio iconico e simbolico sempre più ricercato da media e sponsor, addirittura divenuta volto di una Barbie da collezione. Lo scorso novembre, in occasione dei festeggiamenti al Quirinale per i 120 anni della Figc, la sua lettera ha colpito ed emozionato il presidente Mattarella, e con lui tutti quelli che hanno assistito alla cerimonia: per una che da sempre deve evitarli, un gol segnato e di gran peso. Ma tutto questo non deve farci dimenticare che Sara è anche regina sul campo di gioco, con la sua vocazione naturale a guidare e dirigere la difesa. Billy Costacurta, che la vide giocare al “Mazza” di Ferrara dopo averla premiata per le 100 presenze in maglia azzurra, ha dichiarato di aver rivisto in lei il senso dell’anticipo di Fabio Cannavaro. Molte delle nostre speranze mondiali passano proprio da queste sue capacità, perché per superare il girone potrebbe contare e non poco anche la differenza reti. La aiuterà in questo compito il sentirsi a casa anche in terra transalpina, avendo giocato per due stagioni nel Paris Saint Germain.
Alcune tue compagne in Nazionale hanno iniziato a giocare a calcio staccando le teste alle bambole e palleggiando. Tu che sei diventata la bambola per eccellenza...
“Io non staccavo la testa alle bambole. Preferivo altri oggetti che assomigliassero ad un pallone. La bambola, la Barbie, era un po’ lo stereotipo, non era il massimo dell’accostamento per una donna. Ma quando la Mattel ha deciso di fare una Barbie che invece ha totalmente un altro significato, che vuole ispirare le bambine delle nuove generazioni, che vuole insegnare a loro che possono diventare tutto ciò che vogliono, il messaggio è totalmente diverso”.
Come ti sei avvicinata al calcio?
“Ho sempre giocato a calcio, fin da quando ero piccola. Ho imparato probabilmente prima a calciare che a camminare. Mi ci sono avvicinata perché era scritto nelle stelle. Dico questo perché nessuno nella mia famiglia giocava a calcio ed erano più che altro appassionati di motori. Mentre io avevo sempre la palla tra i piedi. Finché poi a 7 anni, il mio migliore amico mi ha detto: vieni a provare da noi. Da lì ho cominciato a giocare in una squadra vera”.
Ci sono stati momenti in cui hai pensato di abbandonare il calcio?
“I momenti che mi hanno fatto chiaramente riflettere di più, questo vale per la vita di tutti gli atleti, sono quelli in cui ho avuto dei grossi infortuni. È chiaro che lì, in quei momenti, mi ero sempre preoccupata del mio futuro, anche per quello avevo studiato e per il mio percorso universitario. Quando ero a Parigi ho continuato a studiare lingue. È chiaro che nei momenti degli infortuni era più forte in me questo sentimento, questa paura del futuro perché ti dici: oggi giochi, ma domani non lo sai, tutele non ce ne sono. E’ un ragionamento che ognuna di noi è costretta a fare. Ed è bene che uno lo faccia, perché bisogna pensare per il proprio futuro”.
La parola “sacrificio”. Cosa ti viene in mente?
“I sacrifici uno gli fa abbastanza a cuor leggero, quando hai passione nel fare qualcosa. Chiaro che mi viene in mente le ore spese in viaggio per andare agli allenamenti. Le ore di notte passate sui libri, perché prima non hai tempo. Però alla fine queste sono le cose belle. Ogni sacrificio viene ripagato e sicuramente oggi è ripagato con l’attenzione che finalmente abbiamo. Sono stati grossi sacrifici, anche più del dovuto. La strada non è proprio in discesa, ma va bene così”.
Hai giocato due anni al PSG, in Francia. Nella nazione che ospiterà i prossimi mondiali e che sta sviluppando più di tutti questo movimento.
“L’esperienza in Francia è stata formativa perché all’epoca arrivavo da un contesto italiano in cui non esistevano i club professionistici nel calcio femminile. Sono andata lì a fare, innanzitutto, la professionista. Perché li ero una vera professionista. Per me, all’epoca, era un sogno. Poi ho fatto un’esperienza a Los Angeles. Avevo questa voglia di fare un’esperienza all’estero, perché era importante anche a livello di vita. Ho imparato molto, ma probabilmente dal punto di vista calcistico sarebbe potuto andare meglio. Ho avuto un grosso infortunio al mio primo anno. Il secondo anno ho giocato, ma meno, perché eravamo una squadra molto competitiva. Con 10 straniere top player internazionali. L’altra metà della nazionale francese. Però devo dire che nel complesso è stata una buona esperienza. Chiaramente sono migliorata con loro, perché il livello era 10 volte il livello di quello italiano”.
Ci sono diverse generazioni di calciatrici. Le pioniere, quelle che hanno giocato il primo mondiale nel 1999, come la vostra allenatrice, e poi voi. Cosa vuol dire essere “La generazione della svolta nel calcio femminile”?
“Le pioniere, chiamiamole così, chiaramente sono quelle che hanno lottato quando davvero non c’era niente. Hanno davvero iniziato questo sport. Oggi abbiamo qualcuna di queste pioniere che raccolgono i frutti delle loro battaglie. Non vivendole da giocatrici, ma magari facendo l’allenatrice o le dirigenti”.
Ti senti di ispirazione?
“Noi stiamo diventando i modelli che non abbiamo avuto. Noi li stiamo creando adesso. E piano piano ci siamo resi conto che già ispiriamo la gente. Perché ci rendiamo conto delle bambine che corrono da noi e dei tifosi che seguono il calcio femminile. E’ una bella cosa”.
Come si arriva al cuore delle persone? In questo caso, al cuore dei genitori?
“Per arrivare al cuore della gente c’è solo una maniera ed è quello di essere veri e trasmettere la propria passione. Non c’è altra via. È il motivo per il quale adesso tanta gente si sta appassionando al nostro sport. Perché davvero riescono a cogliere nei nostri sguardi, nei nostri gesti, la genuinità e capiscono da dove arriviamo e cosa stiamo facendo oggi. Quindi non ci si può non entusiasmare. Poi è importante perché anche i genitori si accorgono e iniziano a vivere la cosa più serenamente. Non è tanto da arrivare al cuore dei genitori, ma quanto alla testa dei genitori. Oggi ci sono una Juventus, una Fiorentina, un Milan, una Roma che aprono le loro sezioni femminili. E l’autorità di questi club ha un impatto importante sull’immaginario dei genitori e quello collettivo. E questi sono i risultati”.
La partita all’Allianz
“C’è stata tanta emozione, sia da parte nostra che delle ragazze della Fiorentina. Lì sul momento non ho pensato molto perché poi quando entro in campo scindo completamente le due cose ed ero molto concentrata. C’era tanto pubblico. Chiaramente ero cosciente che eravamo lì. Ho pensato a quel pubblico come se fosse un pubblico che avevo già visto altre volte in altri stadi. Certo, la cosa era differente, quando giochi a casa tua con 40.000 persone portate dal tuo club, è un altro effetto".
Che raporto hai con i tuoi colleghi della Juventus?
“Io parlo con Giorgio Chiellini perché condividiamo anche dei ruoli politici. Siamo rappresentanti del consiglio direttivo, io come Consigliera Federale. Quindi ci occupiamo delle necessità dei calciatori e delle calciatrici e di quello che sta attorno e che ha una parte importante. Con Giorgio ci sentiamo e ci vediamo quando abbiamo le riunioni e quindi c’è un rapporto un po’ più stretto”.
Forse nessuno meglio di te poteva rappresentare questa nazionale in questo periodo
“Diciamo che ci sono varie convergenze astrali che oggi vogliono che rappresenti l’Italia. Sono gli altri che riconoscono più che altro questa cosa in me, perché noi non ci facciamo caso a queste cose. È chiaro che in un momento particolare della nostra società avere un capitano della nazionale che rappresenta quella che oggi è la società globalizzata, dove le culture si mescolano, è normale ed è bello che sia così”.
Quando canti l’inno ovviamente ti senti italiana perché sei italiana. Ma dietro che cosa c’è?
“Quando canto l’inno è l’inno, punto. Non ci sono dubbi, non ci sono influenze di altri posti. È chiaro che in me ho varie cose. Ho una famiglia, da parte di mia madre, che arriva dall’Istria. Ho quella di mio padre dal Congo. E io sono nata a Trieste. Quindi è un bel mix. Mettiamola così. Però è un mix che finisce solo in una maniera e con una parola, che è Italia. Quindi basta quella per definirmi”.
La parola “soddisfazione”
“Soddisfazione è oggi. Per tutto quello che ci accade, dentro e fuori dal campo. Andare al Quirinale, celebrare i 120 anni assieme ai ragazzi, andare a giocare Juventus-Fiorentina all’Allianz con 40.000 persone. Qualificarsi per un Mondiale. E avere l’attenzione che stiamo ricevendo adesso.
Insomma sono queste le cose che poi ti soddisfano. E il calore della gente attorno e di chi si sta appassionando e sta conoscendo questo sport. Questa è una grossa soddisfazione e ti dice che hai fatto bene a fare quello che hai fatto”.
Questa lunga intervista nell'appuntamento speciale con "Le Signore del Calcio", in onda domenica 2 giugno alle 16.45 e 22.30 su Sky Sport Mondiali e disponibile su On Demand.