Perché il 28 dicembre è il giorno di Roberto Baggio

La trattativa per ottenere l’intervista con Roberto Baggio il giorno prima della proclamazione del suo Pallone d’oro - 28 dicembre 1993 - non fu particolarmente difficile, come spesso succede quando un contatto extra-professionale si rivela prezioso sul lavoro. Conoscevo da tempo Antonio 'Toto' Ricciotti, l’agente della IMG Italia specialista in giocatori di basket, ma al quale il patron Cino Marchese aveva affidato Roberto Baggio, fresca acquisizione del ramo italiano dell’agenzia che a livello mondiale rappresentava gli atleti più ricchi e famosi. All’epoca la Gazzetta dello Sport era la sede naturale per la celebrazione di un evento così rilevante - erano undici anni che non avevamo un Pallone d’oro , e ci sembravano tantissimi - e poi il giurato italiano del tempo era il grande Roberto Beccantini, collega alla Rosea. Così Toto mi aveva accompagnato a Torino, dove 'Baggino' ci aspettava. Noi cronisti di allora abbiamo sempre chiamato Roberto 'Baggino' per distinguerlo da 'Baggione', ovvero l’omonimo Dino, che era voluminoso il doppio. E proprio 'Baggione', poco più di un mese prima, aveva segnato al Portogallo a San Siro il gol che ci qualificava al Mondiale del ‘94. Un torneo al quale saremmo andati con il miglior giocatore dell’epoca. “Non sfuggo alle mie responsabilità - disse Roberto in apertura d’intervista - so bene che questo trofeo ti appiccica l’etichetta di numero uno al mondo, e siccome altri tre o quattro dei miei compagni in azzurro meritano un posto fra i primi dieci, sappiamo bene cosa andremo a fare in America il prossimo anno. Proveremo a vincere”. Prima di proseguire, vediamo la classifica del Pallone d’oro 1993: lo juventino Baggio aveva vinto con 142 punti, distanziando Dennis Bergkamp, da poco approdato all’Inter dall’Ajax, a quota 83. Molto lontano anche il terzo, Eric Cantona del Manchester United, 34. Poi Alen Boksic a 29, Michael Laudrup a 27 e i due milanisti Franco Baresi e Paolo Maldini sesto e settimo a 24 e 19 punti. E quindi tre uomini nei primi sette costituivano un’ossatura d’eccellenza per la Nazionale di Arrigo Sacchi. 'Baggino' mi fece visitare la palestra privata che si era fatto costruire in casa, rivelando per la prima volta la faticosa routine delle sue giornate. “Da otto anni devo lavorare con i pesi più volte alla settimana, due ore a seduta, per mantenere sempre al massimo il tono muscolare. Il ginocchio non ha problemi, il tendine sì, nel senso che se perdo un po’ di tono è ad alto rischio infortuni. Da otto anni non so cosa siano le vacanze, o meglio devo organizzarle tenendo presente quest’esigenza. E ovviamente le due ore sono supplementari rispetto all’allenamento con la squadra”. Il sacrificio di aggiungere molto lavoro individuale a quello collettivo spalancava la visuale alle sofferenze passate da Roberto nei primi anni di carriera, quando tra Vicenza e Firenze passò due stagioni praticamente senza giocare per i postumi delle operazioni alle ginocchia. “Rischiare di dover smettere prima ancora di avere iniziato è stato il modo più alto di misurarmi con me stesso. In realtà non ho mai pensato di non farcela: mi ripetevo che ogni minuto passato su un lettino d’ospedale mi avrebbe fortificato per il futuro, e così è stato. Però i continui rinvii del ritorno in campo mi sono pesati. Presi molto male l’ultimo, quando ero ormai certo di essere pronto e invece i medici mi mandarono altri 15 giorni a Formia per un ulteriore potenziamento. Ricordo che tornai in camera e spaccai tutto, scientificamente. Per fortuna fu l’ultima volta, poi tornai in campo per 15 minuti a gara, e c’era da vergognarsi perché dopo 10 boccheggiavo dalla fatica. Ma ero vivo”. Il discorso si spostò poi sulla sua fede buddista, che all’epoca pareva una gran stravaganza, e Baggio approfittò del ricordo di Ruud Gullit che dedicò il suo Pallone d’oro a Nelson Mandela per 'premiare' Daisaku Ikea, il presidente della sua scuola di fede Soka Gakkai. Ma l’aspetto più interessante del suo pensiero intimo, così portato alla rilassatezza, era la traduzione in campo: “Ogni mia giocata nasce da un pensiero istantaneo ma non istintivo. Mi capita di prendere la rincorsa per calciare una punizione sopra la barriera, e decidere all’ultimo secondo di aggirarla. Quando arrivo da solo davanti al portiere, e devo decidere se dribblarlo o calciare subito in porta, pretendo che sia un pensiero a guidarmi, per quanto rapidissimo. Voglio che le cose accadano per un perché. Il gol più bello della mia carriera è quello che segnai al Napoli con la maglia della Fiorentina , quando andai in porta dopo aver percorso tutto il campo palla al piede: saltato Alemao, il primo degli avversari ad affrontarmi, decisi dentro di me che sarei arrivato fino in fondo. Sentivo di poterci riuscire, e man mano che i napoletani superati crescevano di numero mi era sempre più chiaro che l’entusiasmo di avrebbe fatto segnare un grandissimo gol. Deciso cinquanta metri prima, quando pareva impossibile”. Quell’anno Baggio aveva guidato la Juventus alla vittoria in coppa Uefa, ma il clic con lo scudetto non era ancora scattato: sarebbe venuto due stagioni dopo, l’ultima sua in bianconero, allenatore Lippi. Il Pallone d’oro, però, era il coronamento di un sogno di bambino, e 'Baggino' tornò alla squadra Allievi del Vicenza col quale tutto era cominciato: “Richiamavamo fino a tremila spettatori al campo tanto eravamo bravi e talentuosi, divertenti da veder giocare. È strano che di quel gruppo soltanto io sia arrivato ai vertici mentre gli altri si sono persi per strada, alcuni pagando anche prezzi terribili. Un giorno - ero a Verona - apro il giornale e trovo la foto di uno di loro: arrestato per spaccio di eroina. Sono stato male per lui, e anche per me perché certi rischi li corri quando non hai ancora l’esperienza per riconoscerli. Ho avuto la fortuna di scamparli perché ragionavo da adulto già a 15 anni, tale era la voglia di farmi strada nel mondo del calcio. Ricordo il primo e ultimo spinello della mia vita, quattro boccate e poi via a letto, con la camera che girava a mille all’ora e io che mi sentivo in una centrifuga…”. Sette mesi dopo l’Italia avrebbe provato sul serio a vincere il Mondiale ‘94, concluso dal rigore calciato alle stelle proprio da Roberto nella serie finale contro il Brasile. Poi sarebbe arrivato lo scudetto con la Juve seguito dall’addio, l’esperienza non esaltante di due stagioni al Milan , la strepitosa annata di Bologna , gli anni all’Inter con Ronaldo, il luminoso tramonto a Brescia, con l’ambizione mancata di disputare a 35 anni il suo quarto Mondiale. La delusione fu cocente, e il 28 dicembre 2003 - esattamente dieci anni dopo il giorno del Pallone d’oro - Baggio annunciò che a fine stagione si sarebbe congedato dal calcio. Mai decisione fu così rispettata e granitica: sono passati 21 anni e ancora oggi 'Baggino', che vive ad Altavilla Vicentina, lascia di sé tracce rare e sfumate, distante da un mondo che è stato il suo per così tanto tempo - e a che livello! - ma che in fondo non gli è mai piaciuto.

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Paolo Condò