Bundesliga, Amburgo: tempo scaduto dopo 55 anni. Quali squadre non sono mai state in B?

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Luca Cassia

Dalle ore 17.00 del 24 agosto 1963, l'Amburgo ha sempre militato in Bundesliga (Foto Getty)

Cala il sipario sull'era dell’Amburgo retrocesso per la prima volta dopo quasi 55 anni in Bundesliga. Si ferma quindi l'orologio del Volksparkstadion, manifesto dell'immortalità dei tedeschi destinati alla Serie B. Una macchia ancora sconosciuta per diversi club tra Europa e Sudamerica

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Non è più tempo per i miracoli, destino che stavolta volta le spalle all’Amburgo. La fine di un’era è certificata dall’orologio del Volksparkstadion, timer digitale installato nel 2001 che ha scandito quasi 55 anni di partecipazione ininterrotta in Bundesliga. Mai una retrocessione, unica squadra tedesca a fregiarsi di una nobiltà assoluta davanti a Bayern Monaco e Werder Brema, nient’altro che un orgoglio per il club più antico di Germania con 130 anni d’esistenza nonostante le ultime stagioni complicate. È piuttosto il campionato appena archiviato a sancire la caduta degli anseatici in Zweite Liga, seconda divisione nazionale, aritmetica implacabile che alla vigilia degli ultimi 90’ concedeva flebili speranze per una nuova clamorosa impresa. Dal 2014, infatti, l’Amburgo non più "irretrocedibile" ha inanellato salvezze all’ultimo respiro: due volte graziato agli spareggi contro le piccole Greuther Fürth e Karlsruhe, un anno fa vittorioso all’88’ dell’ultima giornata ai danni del Wolfsburg poi riemerso dal playout di fine maggio. A distanza di 365 giorni il duello tra "Lupi" e "Dinosauri", così ribattezzati in virtù di una longevità ineguagliabile, ha invece archiviato l’epopea preistorica dei veterani di Germania.

Amburgo retrocesso dopo 55 anni

Una situazione da tempo compromessa, bocciatura rinviata fino all’ultimo atto complice lo slancio di risultati degli uomini di Christian Titz assunto ad interim direttamente dalla squadra 'B'. In 7 partite la sua media punti ha stracciato quella dei predecessori Gisdol e Hollerbach, 10 punti per l’Amburgo che non vinceva da novembre ed era precipitato all’ultimo posto scavalcato pure dal Colonia. Proprio un altro pezzo di storia in Bundesliga, retrocesso a fine aprile e opposto al Wolfsburg negli ultimi 90’ mentre gli anseatici ospitavano il 'Gladbach: la combinazione di risultati non lascia scampo all’Amburgo che saluta la massima serie disputata dal lontano 24 agosto 1963 e interrompe il cronometro del proprio stadio. E pensare che i tifosi dei "BundesDino" avevano proposto 1.500 litri di birra al pubblico del Colonia in cambio di un favore alla Volkswagen-Arena, tuttavia a fiumi versano le lacrime degli stessi sostenitori in precedenza riconquistati dallo smalto ritrovato con Titz: via gli striscioni minacciosi e le croci esposte al campo di allenamento, spazio all’entusiasmo della vigilia dopo alcune manifestazioni di passione come la maglia del giapponese Ito andata a ruba. Dimenticate i 15 titoli in bacheca oppure la finale di Coppa dei Campioni sollevata nel 1983 grazie a Felix Magath, fasti del passato annacquati da una stagione maledetta già costata il posto all’amministratore delegato Bruchhagen e al direttore sportivo Todt. Penultimo con 31 punti in classifica, 8 vittorie a fronte di 19 ko con il peggiore attacco del torneo (29 gol segnati). Non è un caso infatti che il miglior marcatore sia Holtby a quota 6 reti, elenco dal quale manca uno dei giocatori più rappresentativi dell’Amburgo.

Parliamo di Nicolai Müller, attaccante classe 1987 decisivo all’esordio stagionale contro l’Augusta: gol partita al minuto numero 8, festa strozzata da un’esultanza scomposta che gli costa la rottura del legamento crociato e 7 mesi ai box. Un episodio tragicomico all’alba di un campionato in caduta libera con tre allenatori transitati, sconfitte in serie e un timer che scandisce il più triste dei conti alla rovescia. Detto delle rabbiose contestazioni dei tifosi, l’Amburgo è rimasto schiacciato dalle pressioni dell’orologio del Volksparkstadion che obbliga la società ad alimentarne il corso attraverso l’abbonamento in Bundesliga. Un ticchettio onnipresente dal bus della squadra al sito ufficiale del club, ciò nonostante i fan anseatici si sono sempre opposti allo smantellamento del quadrante digitale analogamente alla mascotte Hermann, dinosauro adottato nel 2003 a dispetto dell’ironia sull’estinzione dei rettili del Mesozoico. Da qui la profonda convinzione dei fan che la squadra fosse non retrocedibile, d’altronde la rivoluzione di aprile ipotizzava una salvezza quasi utopica proprio come accaduto nelle ultime edizioni. Il 12 maggio 2018 diventa invece la data della prima storica retrocessione in Serie B: dai minuti contati all’ora del baratro, punto di non ritorno per l’Amburgo condannato dal peso della sua storia. E di un orologio che termina di accumulare giorni e miracoli, due ricordi per la nobile di Germania privata della sua unicità.

"Mai stati in Serie B"

La retrocessione dell’Amburgo impoverisce il gruppo delle squadre mai scivolate dalla massima serie, decisamente un fiore all’occhiello per tradizione e identità. Qualora Sassuolo e Crotone dovessero salvarsi, sebbene mastichino la A da pochi anni, potrebbero accostarsi all’Inter ovvero l’unico club italiano mai sprofondato nella propria storia. Un circolo esclusivo nella top 5 d’Europa, eccellenza continentale che comprende tre regine di Spagna (Real Madrid, Barcellona e Athletic Bilbao) e la candidatura del PSG. In realtà il caso dei campioni di Francia è discutibile: nel 1972 la società si divise tra il Paris FC (rimasto nella massima serie) e il Paris Saint-Germain che ripartì invece dai dilettanti in terza divisione. Dalla nascita della Premier League nel 1992 non sono mai retrocesse Arsenal e Liverpool, Manchester United ed Everton oltre a Tottenham e Chelsea, tuttavia non esistono formazioni inglesi mai relegate in B considerando i format precedenti del campionato. Nessun dubbio invece dall’Olanda (Ajax, Feyenoord e PSV ma anche Utrecht) al Portogallo con le tre nobili Benfica, Porto e Sporting Lisbona. Discorso analogo per tre club (più uno) in Turchia come in Grecia: se Istanbul premia Galatasaray, Besiktas e Fenerbahce oltre al Trabzonspor onnipresente dalla stagione 1974/75, il confine occidentale registra la straordinarietà di Olympiacos, Panathinaikos e Paok Salonicco. S’iscrivono al gruppo anche le scozzesi Celtic e Aberdeen insieme alle ex compagini dall’appartenenza sovietica, vedi la Dinamo Kiev e le moscovite CSKA, Spartak e Lokomotiv. Per gli appassionati di calcio sudamericano, certamente memori della retrocessione dell’Internacional di Porto Alegre, l’elenco contempla società prestigiose ed altre meno note alle nostre latitudini: si va dal Boca Juniors alle brasiliane Cruzeiro, Flamengo, Santos e San Paolo, tutte mai bocciate come il Colo Colo (Cile) e il Barcelona (Ecuador), gli uruguayani di Nacional e Peñarol fino alle colombiane Atlético Nacional, Millonarios  e Independiente Santa Fe. Una cerchia comunque nutrita, certamente più elitaria dopo la caduta dell’Amburgo.