Bayern-Chelsea, la finale che può fermare il tempo

Champions League
Chelsea-Bayern, Di Matteo-Heynckes: una finale che è anche scontro generazionale
di_matteo_heynckes

Le carte d'identità spesso mentono. Il "giovane" Di Matteo è arrivato in finale con un calcio dal sapore antico ma efficace, dando fiducia ai senatori; si troverà contro il "vecchio" Heynckes, che si aggrappa ai suoi talenti e gioca sempre all'attacco

di Vanni Spinella

Su una panchina siede il giovane che predica il calcio dei vecchi. Sull’altra, il vecchio che lancia i talenti e adora le bollicine.
In assenza di protagonisti da copertina (ci sarebbero, ma non si chiamano Messi o Cristiano Ronaldo come tutti si aspettavano e auspicavano), la finale di Champions tra Chelsea e Bayern Monaco diventa sfida tra Di Matteo e Heynckes, e tra le loro filosofie di gioco quasi agli antipodi.

“Vecchio dentro” Di Matteo, così saggio, misurato, rispettoso degli anziani: appena promosso sulla panchina del Chelsea (al posto di quel ragazzino saccente che risponde alla sigla di AVB) per prima cosa ha rimesso gli antichi monumenti al proprio posto, partendo dal busto di Drogba al centro dell’attacco; poi ha riunito e ascoltato il consiglio il saggi; infine ha recuperato la memoria e l’orgoglio di quel Chelsea che tanto bene aveva fatto negli anni precedenti. In un clima di serenità ritrovata, la resurrezione calcistica di Torres è stata la logica conseguenza.

Alla “casa di riposo” riorganizzata da Di Matteo si contrappone l’ostello gestito da Heynckes che, sulla scia dei predecessori olandesi (Van Gaal e Jonker), da sempre campioni nel lancio dei giovani, ha proseguito valorizzando la “kanteren” bavarese, da cui è già uscita gente come Schweinsteiger, Muller o Lahm.
Via libera alla cessione del vecchio Klose, formazione perennemente a trazione anteriore, con i magnifici Muller-Robben-Ribery-Gomez davanti. Risultato: una stagione di alti e bassi, una squadra dalla personalità adolescenziale, capace di sprofondare in deprimenti sconfitte che le sono costate il titolo in Bundesliga, per poi esaltarsi di notte, costringendo il grande Real a tirare (rigori) fino a tardi.

Lo specchio di tutto ciò è la lavagna. Tatticamente, il giovane Di Matteo presenta un calcio quadrato, solido, lineare: esattamente come era lui da centrocampista. Da quando ha preso in mano il Chelsea (ribaltando il 3-1 del San Paolo, contro il Napoli) ha alternato moduli, fatto esperimenti, cercato la quadratura. Ma senza mai esagerare, senza cadere nella tentazione di voler rendere evidente la mano dell’autore. Le pennellate decisive le ha lasciate a Drogba, Lampard, Ramires.
È passato dal 4-2-3-1 (modulo prevalentemente casalingo) al prudente 4-4-1-1 di Lisbona, per poi esibirsi nel famoso calcio all’italiana quando c’era da eliminare il Barcellona. Senza vergognarsi delle sue origini, mostrando grande spirito di adattamento (tipicamente italiano) e senza farsi mancare, ogni tanto, un sano contropiede. Parola che da sempre, nel mondo del calcio, sa di muffa; ma chissà perché, alla bisogna, tutti gli allenatori le danno una spolveratina.

Il 67enne Heynckes, dal canto suo, non ha mai scordato di essere stato un grande attaccante, in gioventù. Cannoniere del Borussia Monchengladbach negli anni Settanta, giunto sulla panchina del Bayern ha dato qualche indicazione alla difesa, lasciando le sorti dell’attacco nei piedi dei suoi imprevedibili campioni: 4-2-3-1, con Toni Kroos (in origine un trequartista) che fa spesso uno dei “2” davanti alla difesa.
Insomma, una squadra che senza rinunciare al rigore teutonico sa concedersi giocate fantasiose e dare spettacolo (7-0 al Basilea, il Marsiglia che aveva eliminato l’Inter spazzato via, l’impresa con il Real Madrid).
Giovanotti legati al passato, vecchie volpi che guardano al futuro: che confusione.
Ma, con queste premesse, è naturale pensare che per una sera anche il tempo possa fermarsi. A guardare.