Il Filosofo e il Maestro arrivano a sfidarsi dopo aver percorso strade molto diverse in carriera: uno al Barça, l'altro in banca; Pep subito vincente, Sarri ha scalato le categorie. Alla fine, però, i due percorsi li hanno portati a incontrarsi, in una notte di Champions
L’anno è il 1999: uno stava al Barça, l’altro ancora in banca. Eppure, entrambi già studiavano da allenatore. Pep, da posizione privilegiata: perno del centrocampo di uno dei club più importanti al mondo, non si perdeva una parola dei maestri che lo istruivano dalla panchina. Van Gaal, Robson, prima ancora Cruijff, l’uomo che lo illuminò. Ogni tanto si ritrovava a chiacchierare di tattica anche con un giovane assistente al quale stava stretto il ruolo di “traduttore”. Mai avrebbe pensato che sarebbe inciampato in quel Mourinho decine di volte in carriera, ritrovandoselo sempre tra i piedi fino a dar vita a uno dei dualismi più frizzanti del calcio dei nostri tempi. All’epoca si diceva: Guardiola è già un allenatore in campo, studia da mister, sarà la sua strada. Così è stato: una retta via che dalla cabina di regia in campo l’ha portato alla panchina, con un paio di esperienza “extracurriculari” – come quelle nel Brescia di Baggio e Mazzone, nella Roma o in Messico, ai Dorados – di cui lui sottolinea ogni volta che può l’importanza nel suo processo di maturazione.
Quel pensiero fisso
Nel frattempo, mentre Pep palleggia con Figo, Rivaldo, Kluivert, ma anche con gente che finirà per fare il suo stesso mestiere come Luis Enrique, Frank de Boer e Cocu, nella provincia italiana c’è un quarantenne che medita di lasciare il lavoro, quello in banca, sicuro e tutto sommato ben retribuito, per fare “l’unico mestiere che avrei fatto gratis”. All’epoca Maurizio Sarri è un impiegato della Montepaschi: gira l’Europa (allora era destino…) lavorando anche in Svizzera, Lussemburgo, Germania e Inghilterra, ma la sua vera passione è il calcio pensato. Da difensore, rude, di quelli che non fanno sconti alle caviglie, non era un granché: molto meglio come allenatore, a Stia, Seconda Categoria toscana. Poi Faellese, Cavriglia, Antella, Valdema, Tegoleto: un decennio, quello degli Anni Novanta, speso in provincia tra Promozione ed Eccellenza, lavorando in banca di mattina e sperando che arrivassero presto le 17 per lasciare la scrivania e correre ad allenare.
Sarri (in fondo al centro della tavolata) a cena con (e nello) spogliatoio dello Stia (foto da casentino2000.it)
Lo stesso decennio, dal 1990 al 1999, Guardiola lo dedica tutto al suo Barcellona, partendo dalla cantera e diventando capitano, vincendo 6 volte la Liga, sollevando la Coppa dei Campioni in finale contro la Sampdoria, aggiungendo alla bacheca Coppa delle Coppe, Supercoppa Europea, Coppe del re, Supercoppe nazionali e pure un oro olimpico, a casa sua, nel 1992, con la nazionale spagnola. Dalle premesse pare impossibile che due così, un giorno, possano arrivare ad affrontarsi, uno contro l’altro, studiandosi a vicenda dalle panchine dei rispettivi club e scambiandosi cordialità e messaggi di stima.
E invece, eccoli, il Filosofo e il Maestro, davanti alla scacchiera per un Manchester City-Napoli che si preannuncia come scontro tra i maggiori cervelli pensanti calcio del panorama europeo. Ci sono arrivati attraverso percorsi diversissimi, ognuno seguendo la propria strada, il proprio destino, perché per dirla alla Sarri “un allenatore che indovina la piazza ideale ha un gran fiuto o un gran culo”, e lui di sicuro ha fiutato bene quando ha scelto Napoli.
Studenti modello
La svolta nel 2000: mentre Sarri lascia la banca, spiegando ai familiari che per allenare il Sansovino e inseguire il proprio sogno ha bisogno di dedicare il 100% del suo tempo al calcio (“Studio calcio anche 13 ore al giorno”, dirà), Guardiola gioca l’Europeo con la Spagna (eliminato ai quarti dalla Francia) e inizia a meditare una nuova esperienza lontano da casa.
Nel 2001 accetta l’offerta del Brescia, sei mesi alla Roma e ritorna, assiste al miracoloso rientro in campo di Roberto Baggio 76 giorni dopo l’infortunio al ginocchio (è lui a cedergli la fascia, quando il Divin Codino entra), chiacchiera con Mazzone, studia il calcio italiano e anche quello a cui era stato educato fin da bambino, fatto di passaggi e possesso palla, ma da una prospettiva diversa, quella di chi invece storicamente predilige difesa e contropiede. Un’esperienza voluta, a fine carriera, per arricchire il proprio bagaglio in vista del grande salto. Così come è una scelta consapevole quella di andare in Messico, per trascorrere gli ultimi 5 mesi di calcio giocato ai Dorados: lì allena Juan Manuel Lillo, tecnico che Guardiola stima in modo particolare, così come saranno frequenti, in quel periodo, le sue incursioni in Argentina per confrontarsi con Menotti o Bielsa.
Anche Sarri studia, nel frattempo: ora che non è più costretto a indossare la giacca, veste la tuta 24 ore al giorno (inizialmente sempre nera, per scaramanzia), ottiene la sua prima promozione in C1 (2003/2004) fino all’esordio in B (2005/2006) con il Pescara. Nel 2007, quando Guardiola torna a casa e accetta la panchina del Barcellona B per mettersi alla prova, Sarri non sta passando un buon momento. Esonerato dall’Arezzo (dove aveva sostituito l’esonerato Antonio Conte), ha preso in mano l’Avellino per poche settimane, prima di lasciare l’incarico a due giorni dall’inizio del campionato di B, in contrasto con la società; poi il Verona, e un nuovo esonero dopo aver fatto un punto in 6 partite.
Non conclude neanche la stagione 2008/2009, esonerato dal Perugia; per Guardiola, invece, quello è l’anno magico. Promosso allenatore della prima squadra, dopo un avvio stentato ha sistemato le cose e iniziato a insegnare tiki-taka. Chiuderà con uno storico triplete al suo primo vero anno da allenatore, aprendo un’era.
La chiuderà, dopo aver rivoluzionato il calcio (re)inventando il falso nueve (a Messi ha svoltato una carriera che sarebbe stata comunque grandiosa ma non così ricca di gol), prendendosi un anno sabbatico nel 2012/2013.
Ripartenze
Pep sta fermo, Sarri riparte: dopo Grosseto, Alessandria e Sorrento, ecco Empoli. Fiuto o culo, azzecca la piazza giusta. Come Guardiola, parte malissimo (ultimo con 4 punti dopo 9 giornate) ma a fine campionato sfiorerà la promozione in A, perdendo il playoff. L’anno dopo la centra, a 55 anni suonati, quello dopo ancora è l’allenatore rivelazione della Serie A.
Intanto Guardiola si è rimesso in moto, accettando la sfida del Bayern Monaco: portare un po’ di fantasia nei già oliati ingranaggi tedeschi. Pep ce la mette tutta rivoluzionando ruoli e compiti, sperimentando nuove soluzioni. Alla base c’è una filosofia, ma poi i moduli si cambiano: anche Sarri, che da allenatore-bancario usava la difesa a 3, si è convertito a quella a 4, ritenendo a lungo il 4-2-3-1 il miglior modulo prima di scoprire il 4-3-1-2 a Empoli e, oggi, il 4-3-3. La scienza del pallone ha bisogno anche di flessibilità.
L’ultima stagione in Germania di Guardiola coincide con l’approdo di Sarri a Napoli. È solo questione di tempo, ma i due sono destinati a incrociarsi, dato che adesso frequentano entrambi gli stessi ambienti. Guardiola, in Premier, si è ritrovato il “nemico” Mourinho come vicino di casa e ora lo guarda dall’alto, deciso a non abbandonare la vetta della classifica. Sarri, il suo piccolo miracolo, l’ha compiuto proprio a Napoli, disegnando il calcio più bello d’Italia, accompagnando Higuain nella storia con il record di 36 gol, dando la svolta alla carriera di Mertens, aiutando Insigne a fare il salto di qualità, portando la squadra in testa alla classifica. Strade diversissime, ognuno ha seguito la propria: e alla fine si sono incrociate, in vetta.