Champions League, crollo Psg: ecco perché era un flop (o quasi) annunciato

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L'eliminazione del Paris Saint-Germain per mano del Real Madrid ha evidenziato tutti i limiti di una rosa zeppa di stelle ma anche di alternative non all'altezza. L'uscita anticipata dalla Champions poteva essere evitata? I 400 milioni di euro stanziati per Neymar e Mbappé potevano essere spesi meglio?

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Bisgona partire dalle certezze. Sempre, anche quando si perde. (Ri)partire da quei fattori che possono assicurare stabilità e la possibilità di rimettersi subito in sesto. Il Psg, di certezze, ne ha ben poche. Neymar, Cavani, Mbappé, il tridente da sogno, quello che mezza Europa gli invidia, non giocherà più in Champions League per il resto della stagione. L'eliminazione dei parigini per mano del Real Madrid certifica come Unai Emery e tutta la proprietà non siano riusciti a rendere qualche star e buoni giocatori un gruppo coeso, unito, vincente. Se in Francia il campionato è quasi chiuso (+14 sul Monaco secondo), all'estero, in Europa, non è lo stesso: il Psg, per il secondo anno di fila, esce agli ottavi. Sempre contro una spagnola, sempre una big, perché dopo i gironi sono tutte squadre potenzialmente vincitrici. L'anno scorso fu il Barcellona, col 6-1 clamoroso della rimonta al Camp Nou al ritorno, mentre quest'anno tocca a chi appena scende in campo in Champions sente il profumo della vittoria: il Real. Ma perché questo flop? Come mai il Psg, nonostante i 402 milioni di euro stanziati (solo per i cartellini) per Neymar e Kyllian Mbappé, è ancora allo stesso livello della scorsa stagione?

Mancano le alternative

Non si può che partire da un dato oggettivo: nonostante i 222 milioni di euro sganciati al Barça per pagare la clausola di Neymar e i 180 stanziati per riscattare Kyllian Mbappé dal Monaco, dopo averlo preso in prestito gratuito per aggirare i paletti del Fair Play Finanziario, il Psg è allo stesso punto di un anno fa. Proprio il FFP può essere un punto di partenza per rifondare il progetto: acquisti più mirati, a tappare le lacune di una gestione a tratti scellerata da parte della proprietà e, quindi, meno spese folli a rimpolpare costantemente il reparto offensivo dimenticandosi degli altri ruoli. In porta, forse, si è fatto l'unico intervento sensato: visto il flop-Trapp, si è ripartiti da un giocatore del vivaio, Alphonse Areola, autore contro il Real di una partita più che sufficiente. In difesa, al contrario, non esistono alternative al quartetto titolare formato dai tre brasiliani Dani Alves, Thiago Silva e Marquinhos e dal francese Kurzawa. Meunier non ha mai convinto, Berchiche non vale assolutamente la fama del Psg e le sue ambizioni europee, mentre l'unico giovane è Kimpembe, primo e unico sostituto dei due difensori centrali brasiliani. Troppo, troppo poco.

Il centrocampo: Verratti, Motta e il modulo

È insieme alla difesa il reparto che più di tutti soffre la mancanza di alternative, anche se per altre ragioni, le quali vanno di pari passo con le idee di un allenatore (Emery) che è obbligato a giocare con il 4-3-3 per poter mandare in campo contemporaneamente Mbappé, Cavani e Neymar. Il modulo, infatti, impedisce a tanti giocatori di talento e gamba di poter rendere al massimo delle proprie potenzialità: Giovani Lo Celso è un potenziale campioncino ma è un trequartista, spesso adattato a centrocampista centrale con compiti di impostazione del gioco; Julian Draxler e Angel Di Maria, mezze punte, per trovare un po' di spazio devono retrocedere spesso sulla linea di metà campo come mezz'ali, anche se soprattutto ora che Neymar è infortunato, l'argentino può giocare in posizioni più consone alle sue caratteristiche. Lassana Diarra, invece, non rientra in questa categoria: giocatore più che navigato, è veramente l'unica alternativa reale a centrocampo, anche se non vale il Psg. Per concludere, quindi, il 4-3-3 obbliga Emery a giocare davanti alla difesa con Thiago Motta (classe 1982, contro il Real all'ultima in Champions in carriera) nonostante gli evidenti problemi fisici, con Rabiot (unica nota positiva) mezz'ala sinistra. L'altro interno, purtroppo per noi italiani, è sempre più vittima di errori sciocchi in campo: Marco Verratti. Le sue ultime due partite importanti hanno certificato la sua immaturità e il fatto che forse, il giocatore italiano più quotato all'estero, sia un mezzo flop. Dopo il giallo da diffidato preso nell'andata Svezia-Italia, che gli costò il ritorno di San Siro, ecco il rosso per doppia ammonizione al Parco dei Principi. Difetto di personalità, forse, sicuramente i numeri parlano chiaro: ottavo rosso in carriera al Psg, dieci gialli e due espulsioni in stagione, troppo per chi viene considerato il centrocampista italiano più forte in circolazione. Al punto da beccarsi un 2 in pagella dalla redazione de L'Equipe.

L'allenatore e la Ligue 1

Se le idee societarie sul mercato saranno difficili da cambiare, le certezze sembrano invece essere legate all'allenatore e al campionato. Probabilmente nella prossima stagione Unai Emery non sarà l'allenatore del Psg, con i vertici del club che già nella serata post-eliminazione avevano pensato a un allontanamento dello spagnolo, ma, mancando le alternative, il divorzio (visto anche il contratto in scadenza nel prossimo giugno) arriverà a fine stagione. Due eliminazioni su due anni a Parigi sono troppo anche per la società, che dopo la doppia operazione estiva Neymar-Mbappé puntava a ben altri obiettivi che la sola vittoria della Ligue 1. Un campionato, comunque, ben poco allenante, che forse non prepara abbastanza i giocatori alle partite di Champions League, dove ogni squadra gioca un calcio molto più aggressivo e offensivo, trovando letteralmente impreparati giocatori abituati a stravincere le partite in Francia. Per questo motivo, secondo "Le Parisien", il Psg punta a diversi profili per il post-Emery: tanti italiani (Conte, Allegri, il ritorno di Ancelotti) e non solo, con Luis Enrique, Pochettino e lo stesso Zidane che piacciono parecchio, intrigando la proprietà per la capacità di vincere rapidamente.

L'attacco

Ed è qui il vero dilemma. Ripartire dall'attacco stellare senza stravolgerlo di nuovo o modificare il reparto per poter integrare la rosa (negli altri reparti) con giocatori all'altezza? La seconda via permetterebbe di poter dar vita a un progetto, magari più volto ai giovani e meno alle star attuali, anche se gli sceicchi hanno dimostrato fin dall'insediamento di voler vincere più con le figurine che con le idee. E se questa mentalità in Francia a volte basta, in Europa non funziona. Non basta spendere per vincere, serve un gruppo unito, un allenatore vincente, un progetto. Un cambio di rotta (cedendo Neymar?) potrebbe davvero dare la scossa a un ambiente che non vince un trofeo europeo (Intertoto 2001) da troppo tempo e vorrebbe tornare ad alzare una coppa. Quella dalle grandi orecchie, per ora, resta un'utopia. Almeno finché non cambieranno le cose.