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Accadde oggi: Milan-Barça 4-0. La faccia di Cruijff e quella foto con la coppa

Champions League

Vanni Spinella

Il 18 maggio 1994 il Milan gioca una delle più belle partite della sua storia. Il capolavoro di Savicevic, il riscatto di Desailly, ma soprattutto l'orgoglio ferito di Cruijff, che alla vigilia aveva regalato autentiche perle di spacconeria

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La leggenda vuole che si fosse già fatto scattare le foto con la coppa. Era uno a cui non piaceva perdere tempo, Johan Cruijff. Così, alla vigilia di quella finale di Champions League praticamente “già vinta”, si era portato avanti con l’album dei ricordi. Al fischio finale sarà un’altra la foto di copertina di quell’album: è un primo piano, Cruijff tra lo sgomento e l’incredulo, ferito nell’orgoglio, eppure non ancora del tutto convinto, nonostante il tabellone reciti chiaramente Milan-Barcellona 4-0.

"Non vedo come possiamo perdere"

Il 18 maggio 1994 è il giorno della festa annunciata, in casa Barça: i catalani vinceranno la Coppa. Non è un presentimento: lo sanno. Il più convinto di tutti è proprio Cruijff, l’allenatore. Tanto per capirci, ecco un compendio delle dichiarazioni che nei giorni prima della finale di Atene riesce a regalare ai giornalisti (e poi diteci se riuscite a trovarne un altro così, al giorno d’oggi). «Le finali sono sempre state la mia specialità, la paura non so cosa sia». «Il Milan dice che siamo favoriti? Li capisco: giocando come sa, il Barcellona può vincere qualsiasi partita». «I tifosi del Milan si godano questo Barcellona: agli italiani non capita tutte le settimane di vedere una squadra che gioca bene come la nostra». E ancora: «Il calcio siamo solo noi, l’Europa deve incoronarci: il mondo ha bisogno di veder trionfare il gioco offensivo e spettacolare di cui siamo il simbolo». «I greci si schiereranno dalla nostra parte: se amano il bel calcio, saranno costretti a farlo». «Dio, nella carriera e nella vita, mi ha aiutato tante volte e mi sono ormai convinto che Lassù qualcuno mi ama. Sì, Dio è mio amico». Gran finale con «Non vedo proprio come possiamo perdere la Coppa dei Campioni».

"Se ce ne fanno 3, ne faremo 4"

Leggenda da giocatore, rivoluzionario del calcio totale, Cruijff applica gli stessi concetti della sua meravigliosa Olanda anche ora che allena e i risultati, indubbiamente, si vedono. Il suo Barcellona è una gioia per gli occhi, trascinato dalla coppia di attaccanti migliore sulla piazza: Romario-Stoichkov. Ha appena vinto il titolo in Spagna (con una buona dose di fortuna: solo grazie a un rigore fallito dal Deportivo contro il Valencia all’ultimo minuto. Ecco perché si è convinto che Dio tifi Barça) e viene da 15 partite di campionato (14 vittorie e un pareggio) in cui ha segnato 60 gol subendone 15, che significa sì prenderne in media uno a partita, ma anche restituirne 4 alla volta. Dati che rispecchiano alla perfezione la sua celebre massima, quella che dice «Se gli avversari ci segnano 3 gol, bene per lo spettacolo. Perché noi ne faremo almeno 4…». E se te ne segnano 4?

"Ho visto un Milan malandato..."

Non si può dire che se la passi altrettanto bene quel povero Diavolo di un Milan che Fabio Capello ha appena portato a vincere lo scudetto nonché alla seconda finale di Champions consecutiva (l’anno prima l’aveva persa contro l’Olympique Marsiglia), ma che appare ormai al termine del suo ciclo vincente. Si trascina stancamente, privo di guizzi. La sua arma migliore, la difesa impenetrabile su cui ha fondato i suoi grandi successi, è a pezzi: Baresi e Costacurta, la coppia di centrali titolari, sono squalificati per la finale. Non c’è storia, sulla carta: il Barcellona ha già vinto.

Quando poi Tony Bruins Slot, collaboratore di Cruijff, rientra dall’Italia dove ha spiato il Milan e consegna al principale la sua relazione, l’ottimismo si trasforma in vero entusiasmo: «Ho visto un Milan malandato non soltanto in difesa, ma soprattutto nel gioco collettivo», riferisce. «Baresi e Costacurta sono difficilmente rimpiazzabili più per come organizzano a voce la disposizione dei compagni che per i loro compiti in sé». In effetti Capello si sta scervellando alla ricerca della soluzione al suo enorme problema, provando in allenamento tutte le combinazioni possibili: Tassotti al centro, poi a destra e infine a sinistra con Maldini in mezzo, Desailly arretrato in difesa, Filippo Galli sì Filippo Galli no. L’idea più accreditata era quella di non spostare Maldini dalla sinistra, fascia su cui avrebbe dovuto contenere le scorribande di Stoichkov: al centro quindi sarebbe scalato Desailly, con Albertini-Boban in mezzo al campo. Poi una disastrosa amichevole contro la Fiorentina (a cui presenzia anche la “spia” di Cruijff) induce Capello a cambiare i piani: la velocità di Robbiati e Baiano – ottimi giocatori, ma non Romario – aveva fatto impazzire la difesa rossonera così rattoppata e allora l’allenatore si convince che infondere sicurezza alla squadra sia la priorità. Si punta sull’esperienza dei singoli schierati ognuno nel suo ruolo più congeniale. Tassotti a destra, nel suo habitat naturale, al centro con Maldini giocherà Galli, 7 partite da titolare in stagione.

"Noi abbiamo Romario, loro Desailly"

Mentre Capello risolve il suo cubo di Rubik, Cruijff continua ad andare all’attacco, e stavolta si concentra sulla differenza che corre tra lui e l’allenatore del Milan: «Una considerazione semplice ma significativa del nostro diverso modo di pensare il calcio: il Milan ha avuto per tre mesi nelle sue mani Romario, rinunciando infine ad acquistarlo. Ne abbiamo approfittato subito noi, versando 400 milioni di pesetas (circa 5 miliardi di lire) al Psv. E loro, poi, hanno pagato al Marsiglia una cifra quasi doppia per un giocatore come Desailly». Parole che non suonano come un complimento rivolto al francese.

Ogni conferenza di Cruijff è uno show: dispensa lezioni di tattica e spiega il suo modulo ideale, l’1-10, che non è una trovata alla Oronzo Canà ma la conseguenza del fatto che nelle sue squadre «soltanto il portiere deve assolvere la stessa funzione durante tutta la partita. Gli altri devono saper innanzitutto attaccare e, sia pur in diverse posizioni, anche difendere. Per sorprendere la squadra avversaria e rompere i suoi equilibri è indispensabile che nel corso di una stessa partita i giocatori sappiano scambiarsi tra loro i ruoli». In due parole: calcio totale. Così superiore da potersi permettere di sfidare anche la scaramanzia. Se il Milan, per la finale, sceglie la solita maglia bianca portafortuna, Cruijff annuncia che non abbandonerà il blaugrana, nonostante con quei colori abbia perso la sua unica finale sulle tre disputate da allenatore del Barcellona (Coppa delle Coppe ‘91 contro il Manchester United). Contro la Sampdoria, nella finale di Coppa Campioni del ‘92, ad esempio, aveva trionfato in arancione, mentre la Coppa Coppe ’89 l’aveva vinta in “azul”…

"Meglio scattarle dopo"

Al contrario, la conferenza alla vigilia di Capello è un tiro al bersaglio dei giornalisti spagnoli, che ormai parlano come Cruijff: a ogni domanda non perdono occasione per ricordargli che sarebbe la sua seconda finale consecutiva persa e che, qualora se lo fosse scordato, parte sfavorito. Capello, la solita espressione da duro, replica con poche parole: «Bene. Vuol dire che abbiamo un vantaggio psicologico». Aggiungeteci la storia delle foto con la coppa e capirete che in casa Milan iniziavano ad averne abbastanza. Quando la notizia giunge alle orecchie dei rossoneri, l’unico a commentare è Savicevic: «Di solito è meglio scattarle dopo», dice il Genio.

E allora torniamo a quella foto, quella che ritrae la faccia di Cruijff al quarto gol del Milan, il gol dello “strapagato” Desailly che si è preso la sua rivincita e ha chiuso i conti dopo la doppietta di Massaro e la magia di Savicevic, autore di un pallonetto da urlo sopra alla testa di Zubizarreta (con i greci ad applaudire, perché quello è il bel calcio). Il Milan e i suoi eroi regalano decine di cartoline adatte per ricordare una simile notte di gloria: eppure, Johan riesce lo stesso a prendersi la scena, stavolta del tutto involontariamente, perché è inevitabile tornare col pensiero alle sue frasi e farsi una risata vedendolo ridicolizzato in quella maniera. Sul fatto che sia giusto o meno, si può anche discutere: ma l’impressione è che se la sia proprio andata a cercare.