Aleesami: "De Zerbi il mio modello. Sogno di tornare in Serie A per allenare"

La prima cosa che si nota chiacchierando con Haitam Aleesami è quanto ancora padroneggi l'italiano, nonostante abbia lasciato il nostro Paese ormai sei anni fa: "Merito dei massaggiatori, che non parlavano una parola di inglese", dice scherzando. I suoi modi di fare incarnano lo spirito del Bodø/Glimt: gentile, umile e disponibile, ma anche deciso e ambizioso, con un obiettivo ben preciso in testa anche per il futuro. Intanto, il presente dice Champions League, che sia lui sia il club giocheranno per la prima volta in assoluto, dopo il netto 6-2 con cui hanno piegato gli austriaci dello Sturm Graz nella doppia sfida valida per la fase preliminare. Chiamato dalla società a marzo 2025 per portare esperienza in una squadra in enorme crescita ma ancora molto giovane, Aleesami si gode il momento e la tranquillità di una piccola città come Bodø, ideale per far crescere i suoi bambini in un ambiente sano e non frenetico nonostante i successi sportivi della squadra. Pensando al domani. Quando il futuro, ne è sicuro, lo porterà in panchina, magari in Italia, grazie ai consigli di Roberto De Zerbi. Ciao Haitam, come stai? L’ultima volta in Italia ti abbiamo visto con la maglia del Palermo tra il 2016 e il 2019. Che ricordo hai di quel triennio e della Serie A? “Sono stati tre anni difficili: per la piazza, per la squadra. La prima stagione in Serie A è stata mentalmente durissima. Abbiamo cambiato cinque allenatori diversi, e ognuno di loro ha rivoluzionato tutto lo staff. Palermo secondo me meritava di più. Però sono cose che fanno parte del calcio e che fanno parte anche della vita. Il ricordo è comunque molto bello. Essere in Serie A, per me che da bambino sono cresciuto tifando Juventus, era un sogno. Mi sono trovato a casa. Palermo è una città meravigliosa: ho imparato tanto, ho imparato la lingua. Quando ripenso a quel periodo, nonostante le difficoltà, credo di essere cresciuto tanto, anche come uomo”. Pensi che avresti potuto fare qualcosa di meglio? Hai qualche rimpianto di quel periodo? “Sicuramente. Ti dico la verità, secondo me tutti potevamo fare meglio: il gruppo giocatori, lo staff e anche la società. Tutti, dal primo all’ultimo. Va detto anche che noi calciatori non abbiamo mai trovato stabilità. Sai, quando si cambia allenatore non è mai facile. Dopo due settimane è andato via Ballardini ed è arrivato De Zerbi, l’unico che ha provato a fare il suo calcio senza pensare al risultato. Quando è andato via lui, tutti gli altri avevano solo un obiettivo. Si giocava per salvarci, per non fare degli errori, si parlava sempre e solo di vincere. Qui al Bodø/Glimt, per esempio, non si parla mai di vittorie, si parla solo di prestazioni, di performance: si lavora sulla fase difensiva, sulla fase offensiva, su cosa fare quando si perde la palla. Mentalmente per un calciatore è completamente diverso. Qui mi posso concedere di pensare solo a fare il mio lavoro”. Tu hai giocato in tanti campionati diversi, in Serie A e anche in Serie B. Secondo te qual è la differenza principale fra un campionato come quello italiano e quello norvegese? “La cultura, senza dubbio. Quando ho giocato a Palermo, posso parlare solo di quella realtà, gli allenatori erano sempre sotto pressione. E quando un allenatore è sotto pressione mette pressione anche ai giocatori. Qui è completamente diverso. In Norvegia diamo molta più importanza al gruppo. Questa è la cosa più importante che non c'era a Palermo. E anche la cosa che mi ha dato più fastidio: a Palermo non siamo mai riusciti a fare gruppo. Qui c'è un ambiente più leggero. C'è un gruppo che pensa solo a giocare a calcio, composto da persone che pensano solo a fare i calciatori”. Perché hai scelto Bodø? Tu sei nato a Oslo, una grande città. Come mai hai scelto di venire fin quassù? “Sono tornato in Norvegia solo l'anno scorso, in un club piccolo della capitale. Lì ho fatto sia il giocatore sia il terzo allenatore nello staff tecnico. Mi ero detto che sarei tornato a casa, a Oslo, e avrei cominciato a pensare al post carriera. Stavo già guardando al futuro. Avevo firmato tre anni di contratto come giocatore-assistente apposta per cominciare a imparare a lavorare come allenatore. Abbiamo fatto benissimo sul campo e mi sono trovato anche a mio agio con il gruppo e con lo staff, è stata un’esperienza formativa. Visti i risultati mi ha chiamato il Bodø/Glimt: cercavano un veterano con diversi anni di carriera all’estero, si sono mostrati molto interessati. Non ho mai giocato la Champions League, mi sono voluto dare un’ultima possibilità che alla fine siamo riusciti a cogliere . Perché ho 34 anni, non so quanto tempo mi resta ad alto livello: era impossibile non cogliere questa occasione”. Saresti disposto a chiudere la carriera qui al Bodø, se ci fosse la possibilità? “Ho firmato due anni di contratto, ma voglio andare avanti a giocare anche dopo questi due anni. Vedremo nei prossimi mesi”. Com’è la vita qui per un calciatore? Rispetto a grandi città come Oslo o Palermo. “Vivere a Palermo è meraviglioso: si mangia bene, ci sono tante spiagge per le famiglie. È una bellissima città. È un altro mondo rispetto a qui. Però ti dico la verità, per un calciatore è quasi la stessa vita. Perché ti svegli, vai al campo, ti alleni, sei stanco, fai un po' di fisioterapia: la routine è bene o male sempre quella. Quando ero a Palermo eravamo solo io e mia moglie, c'era il tempo per uscire, frequentare e conoscere la città. Ora abbiamo due bambini, la vita è diversa. Oslo assomiglia più a Palermo, da un certo punto di vista. Perché è la capitale, la vita va veloce, tutti sono stressati e concentrati sul lavoro. Qui non c'è nemmeno il traffico. La vita è più leggera. Sono molto più sereno e rilassato qui. È ottimo per la famiglia”. Com'è invece l'ambiente negli spogliatoi? Tu sei qui solo da pochi mesi, che primo impatto hai avuto? “La cosa più importante qui in Scandinavia non è la fase tattica, non è solo il campo: è il gruppo. Ognuno si trova a proprio agio nella squadra, c'è meno ego rispetto ad altri club o altre realtà più blasonate. È un ambiente veramente fantastico”. E parlando di gruppo, qual è la qualità migliore di quello di cui fai parte qui al Bodø/Glimt? “L’unità. Quando ci confrontiamo con lo staff tecnico, il mister mette tutti sullo stesso piano. Siamo tutti insieme. Facciamo la fase offensiva e la fase difensiva insieme. Se qualcuno fa un errore non c'è problema. Per me è un aspetto fondamentale nel calcio”. Il fatto di essere quasi tutti norvegesi e danesi quanto incide sull'unità del gruppo? “Tantissimo. Condividere in un certo senso un background culturale aiuta a creare una chimica di squadra molto più rapidamente. Un’altra differenza rispetto a quando giocavo in Serie A è la rivalità tra compagni. Qui al Bodø/Glimt abbiamo 11 giocatori che sono più o meno titolari, ma c'è sempre e comunque l’incoraggiamento di chi è in panchina. A Palermo, per esempio, avevamo 13/14 giocatori che giocavano tanto, però nel lungo periodo si vedeva che cominciava a crearsi una sensazione di ‘gelosia’: il gruppo che non giocava non era contento e con il passare dei mesi hanno ‘mollato’. Però fa parte nel calcio. Mi era successo anche in Francia. La lealtà, qui, è una cosa fondamentale, ne parliamo sempre”. Avete centrato un risultato storico per il club: la prima qualificazione in assoluto in Champions League per il Bodø/Glimt. Quanto eravate convinti di potercela fare? “La mentalità del club è sempre concentrata sulla performance, non sull’obiettivo. Non ce l’avessimo fatta ci avremmo riprovato l’anno prossimo. Però negli ultimi mesi ne avevamo parlato nello spogliatoio. Venivamo da una semifinale di Europa League, persa tra l’altro contro una squadra davvero forte contro il Tottenham. Da quella doppia sfida abbiamo imparato tanto, l’abbiamo usata come base da cui ripartire per centrare questo obiettivo storico per il club”. Prima hai fatto un accenno al tuo sogno di diventare allenatore in futuro. Ti vedremo in Italia un giorno? “Magari! Sarebbe un sogno. Dicevo sempre che avrei voluto continuare nel mondo del calcio anche dopo aver concluso la carriera da giocatore, ma dopo aver avuto mister De Zerbi ne ho avuto la certezza. Credo sia il mister più forte che ho mai avuto, sta facendo molto bene anche al Marsiglia. Grazie a lui ho imparato tante cose, tutti i calciatori che conosco che hanno avuto a che fare con lui ne hanno parlato benissimo. È un allenatore che sa come farti crescere, come valorizzarti e farti aumentare l’autostima. Con lui hai la possibilità di tentare il dribbling ma anche di sbagliarlo, è un tipo di calcio davvero divertente. Grazie a De Zerbi ho capito una volta per tutte che avrei voluto prendere la strada della panchina”. Ti manca qualcosa dell’Italia? Sei più tornato? “Tutto. Il cibo, la vita, la gente: vivere lì è stato bellissimo. Ci sono tornato diverse volte con la famiglia per le vacanze, a Milano e a Roma. Sono tornato anche a Palermo. È una città meravigliosa. E una grande piazza, anche se tosta. Si respira l’amore per la squadra. Spero torni presto in Serie A. Anche il calcio ovviamente mi manca. Per me la Serie A rimane il campionato più bello del mondo”.

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Simone Dagani