Essere Rino Gattuso: la "rivoluzione" nasce dagli schiaffi (presi)
Europa LeagueDopo l'impatto "sfortunato" con il Benevento, l'allenatore del Milan ha dato gradualmente libero sfogo (anche) alle sue conoscenze tattiche, ispirate ai modelli di Ancelotti, Lippi e Conte. Ma il vero tesoro di Gattuso sono state le esperienze negative di Sion, Palermo, Creta e Pisa: da quella rabbia, come dalle prime delusioni da calciatore, nasce la sua rivoluzione
"Il gol di Brignoli? Era meglio una coltellata...". E invece non è stato un caso - oggi lo possiamo dire - che l'avventura di Gattuso sulla panchina del Milan sia cominciata nella maniera più dolorosa e "sfigata" possibile, subendo la rete del pareggio all'ultimo secondo da una squadra - il Benevento - che non aveva ancora racimolato un punto in 14 giornate e per di più segnata dal portiere, che nell'intera storia del campionato era successo un paio di volte appena. Non è stata una casualità perché sulla "lotta alla sfiga" Gattuso ci ha costruito una carriera: la sua rabbia, ovvero la sua forza, è sempre stata una reazione alle delusioni, alla frustrazione. L'ha subito presa a schiaffi la sorte, che non l'aveva certo dotato di un talento naturale. Gennaro ha capito in fretta che l'unico modo di saziare la sua fame di calcio era quello di lasciare la sua adorata Schiavonea e non farsi scappare quel treno per il settore giovanile del Perugia, che in quegli anni rappresentava il top, e non per niente sotto la guida del suo mentore Angelo Montenovo e del "visionario" dirigente Walter Sabatini vincerà due campionati Primavera, con tanto di gol in finale al Parma del futuro compagno di Nazionale Gigi Buffon.
Why always me?
Eppure, al suo primo anno di Serie A, lanciato 18enne dal "Profeta" Giovanni Galeone, retrocesse in B con gli umbri; o meglio, fuggì letteralmente dalla finestra per arruolarsi nei Rangers del generale Walter Smith, reduci da 6 titoli consecutivi. Ebbene in quella stagione 1997-98 gli scozzesi dovettero inchinarsi al Celtic, perdendo anche la finale di Scottish Cup. E al rientro in Italia, con la Salernitana - indovinate un po'? - di nuovo giù, in Serie B. Ma anche a Salerno - sia con Delio Rossi che con Francesco Oddo, papà di Massimo - Rino aveva dato tutto, convincendo il Milan, la squadra per cui tifava da bambino, di regalargli una chance. Sarà così che i rossoneri - freschi dello scudetto di Zac - non vedranno l'ombra di un titulo per tre anni. Che, a quel punto, il ragazzo fu assalito da un dubbio: "Ma non sarò io a portare sfiga?". No, se è vero che in seguito si riempirà la pancia di trofei da protagonista indiscusso: ma senza quelle "mazzate" non sarebbe diventato il campione che è diventato.
"Tranquillo, ti aspetto". "Se te ne vai, ti ammazzo"
Persino ai Mondiali tedeschi, nel 2006: senza quell'infortunio che per poco non gli impedisce di prendere parte alla spedizione azzurra, e senza la fiducia "ceca" di Marcello Lippi ("Tranquillo, ti aspetto"), insomma senza quel peso - un senso di responsabilità misto a riconoscenza - probabilmente oggi staremmo qui a parlare di un'altra storia (e ci saremmo persi il romantico "Se te ne vai, ti ammazzo" dell'Olympiastadion). Uguale la Champions di Atene, con il "fratello" Carlo Ancelotti: cosa ne sarebbe stato senza lo psicodramma di Istanbul che, in confronto, la mezza coltellata di Benevento gli sarà sembrata una carezza. Ma pure da allenatore le cose non sono cambiate, d'altronde "chi nasce tondo non può morire quadrato" non è il titolo della sua autobiografia per una licenza letteraria. Non sono state scelte casuali Sion, Palermo, Creta, Pisa.
Gli schemi dello Zamparini elvetico
Gattuso sapeva già di andare a mettersi nei guai, forse è proprio quello che cercava, accumulare incazzature, qualche ettolitro di "sangue amaro" da sputare a tempo debito, come faceva sul campo. Quando ha chiuso con il Milan dopo 14 stagioni e si è trasferito in Svizzera sapeva che il presidente Constantin era lo "Zamparini elvetico" (con la differenza che Constantin disegnava gli schemi sulla lavagna, Zampa si limitava a dettargli la formazione al telefono). Non contento del "sosia" è volato in Sicilia per conoscere di persona l'originale... e a Creta è finito per pagare di tasca propria i suoi "players with balls". Mentre a Pisa il suo sfogo contro la proprietà dopo la partita di Frosinone rimane uno dei capitoli più cliccati dell'antologia gattusiana, ai livelli della conferenza stampa della "malakia" o del "mamma mia come so' brutto" della sbornia Mondiale.
Ringhio-Revolution
Fino alla chiamata del "paesano" calabrese Massimiliano Mirabelli, direttore sportivo dei rossoneri, appena ceduti da Silvio Berlusconi ai cinesi. Un altro salto nel buio, se vogliamo: "Ci ho pensato per tre settimane. È una scelta di cuore, poi non vado in un club di scappati di casa, è il Milan". Ma in cuor suo sapeva, si sentiva già pronto per fare il grande salto, la Primavera non era che la chiave per arrivare ai "grandi". Certo, non si aspettava nemmeno lui questo impatto: la rimonta in campionato; la qualificazione ipotecata agli ottavi di Europa League già all'andata in casa del Ludogorets (ma se gli dite che stasera è una formalità vi "mangia"); una finale di Coppa Italia all'orizzonte. Ma in questi anni Gattuso ha studiato, e ora ci tiene a sottolinearlo specialmente a chi lo immagina ancora a mettere le mani al collo di Jordan o del Felipe Melo di turno. Coverciano, le esperienze "al limite" ("si cresce prendendo legnate in panchina"), la sapienza calcistica acquisita dai quelli che considera i suoi modelli: dai compagni Costacurta, Paolo Maldini e Demetrio Albertini, ai mister Ancelotti e Lippi.
Ispirato
Se da Ancelotti ha imparato la gestione dello spogliatoio e come farsi volere bene dai ragazzi ("Quando giocavamo e stavamo perdendo la prima cosa che mi veniva in mente era ribaltare il risultato per lui" racconta Ringhio); dall'ex ct ha ereditato la capacità di compiere delle scelte coraggiose. Da Galeone - ma la stessa cosa dirà di Allegri, che è un suo discepolo - ha colto l'importanza delle variazioni tattiche ("Voleva che mi inserissi come una mezzala e non lo assecondavo, forse sbagliavo, ma le mie caratteristiche erano diverse"). E poi la stima per il "mazzoniano" Antonio Conte già in tempi non sospetti, nei mesi in cui gli "soffiò" lo scudetto, nel 2012: "Conte sembrava Al Pacino - disse commentando il video di un discorso in allenamente del tecnico leccese - quando l'ho sentito sono saltato giù dal divano e ho iniziato a fare esercizi di salto. Non sto scherzando...". E in effetti, Gattuso, che nel 2011 aveva segnato proprio ai bianconeri uno dei pochi gol in carriera - con la foto dell'esultanza che furoreggia nella sua Pescheria di Gallarate - ricorda parecchio la maniera lo "stile" di Conte nel vivere la partita, in particolare il Conte che ci ha esaltato con l'Italia agli Europei. Suggestioni.
Un vizio di famiglia
Lippi, Ancelotti, Conte, ma su tutti il padre Franco, che ha anche giocato a discreti livelli ("falegname, ma calciatore nell'anima") e che soprattutto gli ha infuso la cultura del lavoro, del sudore: lui che, insieme alla moglie Costanza, era emigrato giovanissimo in Germania per sbarcare il lunario e che più di ogni altro si è goduto la notte di Berlino. Il primo a credere in Gennarino e - con buona pace della madre - a spingerlo lontano da casa, a Perugia, fino in Scozia. "Se non vuoi andare a Glasgow ti ci mando io, ma a calci in culo. Ti rendi conto che cinquecento milioni io non li guadagnerei manco se lavorassi una vita intera?". Tanto più che a Glasgow Rino troverà l'amore della sua vita, Monica, figlia di ristoratori italiani, anche loro partiti in cerca della stessa fortuna. Un vizio di famiglia.