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Liga, la rinascita del Valencia "italiano": Zaza è tornato

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Luca Cassia

Simone Zaza e Gonçalo Guedes, coppia d'oro del Valencia targato Marcelino (Foto Getty)

Allo sbando nelle ultime due stagioni con 7 cambi in panchina e scarsi risultati, il Valencia è 2° da imbattuto nella Liga con 5 vittorie di fila. Merito di Marcelino, allenatore scartato dall'Inter eppure uomo della rinascita attingendo dalla Serie A. E super Zaza vede il ritorno in Azzurro

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Come poteva rinascere il club spagnolo più italiano di sempre? Lo spiega la delegazione della Serie A presente nella rosa del Valencia, tutti protagonisti agli ordini di Marcelino García Toral. Proprio lui, allenatore dell’Inter "per una notte" un anno fa prima dell’avvento di Pioli. C’è tanta Italia nella rivoluzione silenziosa della squadra, due volte al 12° posto in altrettante stagioni e con 7 cambi in panchina nell’ultimo biennio. Tritacarne alla guida tecnica che non ha risparmiato nemmeno un altro azzurro come Cesare Prandelli, ex ct della Nazionale che nei tre mesi di gestione vagava per il centro sportivo alla ricerca dei suoi giocatori, tanto per delineare il caos nella tana dei Pipistrelli. Musica drasticamente cambiata in questa Liga: unica imbattuta insieme al Barcellona, corazzata che la precede al comando per punti (+4) e gol fatti (26 contro 25), certo è che l’ultima striscia di 5 vittorie consecutive ha dell’incredibile. Sugli scudi troviamo Simone Zaza, degno portacolori di una maglia già indossata da connazionali come il recordman straniero Amedeo Carboni (375 presenze) e Moretti, Di Vaio e Corradi, Fiore e Lucarelli fino a Tavano senza dimenticare Ranieri in panchina. Non è un caso che accanto all’ex Juventus abbiano ritrovato smalto diverse conoscenze del campionato italiano.

Il sergente Marcelino

Al vertice della società dalla primavera del 2014 siede l’imprenditore singaporiano Peter Lim, inizialmente confortato dal 4° posto ottenuto da Nuno Espírito Santo. Peccato che l’ultimo biennio l’abbia visto alternarsi in panchina con Voro (tre volte) e Neville, Ayestaran e Prandelli fino alla nomina di Marcelino, reduce dallo sgarbo interista e da un anno sabbatico ma già apprezzato per curriculum con l’ultima voce al Villarreal. È lui l’erede designato al Valencia che non vince un titolo da un decennio: poco mediatico e quasi dittatoriale, lavoratore e amante dell’organizzazione tattica, doti condivise con un’icona del club come Rafa Benítez che da esordiente trionfò nella Liga nel 2002. Asturiano e sergente di ferro a partire dal rigido regime alimentare imposto ai giocatori, imperativo seguito dall’aggregazione di un gruppo a pezzi, Marcelino impone ordine e disciplina da tempo sfuggenti. Parole d’ordine sostenute da Mateu Alemany, ex presidente del Maiorca e direttore generale del club, suo braccio destro nella campagna acquisti.

Sforbiciati gli esuberi, addirittura 17 con Diego Alves, Enzo Perez e Negredo su tutti, le operazioni in entrata coinvolgono new entry mirate e giovani in cerca di riscatto. Qui entrano in gioco gli "italiani" dalla Serie A: l’ex Juventus Neto si prende la porta, Kondogbia e Murillo in prestito dall’Inter ritrovano la meteora Montoya, tutte conoscenze di Zaza a sua volta riscattato dai campioni d’Italia per 16 milioni di euro. A costo zero arrivano due gioiellini come Gonçalo Guedes e Andreas Pereira, mentre lo sforzo economico per Gabriel Paulista va ricondotto alla stima di Marcelino dai tempi del Villarreal. Rinforzi pagati 39 milioni complessivi a differenza dei canterani, altro pallino dell’allenatore asturiano: rigenerato Gayà, terzino del vivaio come Vidal e Lato, talenti prodotti in casa al pari di Carlos Soler convertito in esterno. Giocatori e motivazioni che ribaltano gli scenari del Valencia in pochi mesi, svolta dettata dalla nuova era in panchina.

Rivoluzione tattica

Il 4-4-2 è l’abito fedele per questo Valencia, manifesto di organizzazione e verticalità nonché d’interpreti ritrovati a partire da capitan Parejo, mai così vicino all’addio eppure tornato centrale per tempi e leadership. La coppia d’attacco titolare risponde a Zaza e Rodrigo, 11 gol in due nella scorsa stagione, bottino già superato in poche settimane e alimentato dall’estro di Santi Mina: tutti attaccanti mobili per aderire al meglio alla profondità richiesta dall’allenatore. Bene anche la difesa, tradizionalmente un punto di forza nel calcio di Marcelino: porta inviolata in 4 partite, linee strette e reparto compatto sebbene ancora poco armonico. Transizioni ed equilibrio, pressing alto e ripartenze: alla base c’è un calcio pragmatico ma efficace, filosofia imposta sulle individualità presenti in rosa. Vi dice nulla l’origine povera della paella valenciana? Il principio è basato su un piatto dove è facile amalgamare tutto, esattamente ciò che fatto Marcelino. In questo modo spiccano le geometrie di Parejo e i muscoli di Kondogbia (2 reti personali), spina dorsale puntellata dall’attaccante Rodrigo a segno 6 volte nelle ultime 7 partite. Un ex Benfica come Guedes, pagato 30 milioni di euro dal PSG eppure rivedibile a Parigi: il Mestalla diventa subito terreno fertile per questo 20enne tutto strappi e dribbling, 3 gol e 5 assist a renderlo il giocatore portoghese più brillante nella top 5 europea. Veste la maglia numero 7 e no, non è Cristiano Ronaldo.

¡Zaza amenaza!

Non ci siamo dimenticati del bomber lucano, 8 gol in 9 partite alle spalle del Pichichi della Liga, Leo Messi a quota 11 reti. Uno stato di forma eccellente per l’ex Juventus, 7 volte a segno con gli ultimi 8 tiri in porta, bilancio realizzativo che tiene il passo con l’intero parco attaccanti del Real Madrid. Era dal 1977 che uno straniero del Valencia non andava in gol per 5 gare consecutive: l’ultimo fu Mario Kempes, parallelo che già stuzzica dalle parti del Mestalla a distanza di 40 anni. Un rapporto non senza screzi quello con Marcelino, bravo a gestirlo sia negli eccessi (vedi il derby contro il Levante) sia a responsabilizzarlo evitando di cercare alternative sul mercato. Zaza è inarrestabile dallo scorso 19 settembre con la tripletta rifilata in 8 minuti al Malaga, tris che in società non registravano dal 2009 con David Villa. Si è quindi meritato il premio di miglior giocatore del mese della Liga, tuttavia anche ad ottobre ha sempre lasciato il segno.

Pasta obbligatoriamente integrale e una patente automobilistica ancora da maturare, Zaza viaggia alla media di un gol ogni 87' in forma mondiale: l’evidenza spinge a candidarlo per lo spareggio di novembre contro la Svezia, esame cruciale per l’Italia di Ventura. Difficile dimenticare la sera del 2 luglio 2016, sconfitta ai rigori contro la Germania sancita pure da quel suo penalty con tanto di rincorsa divenuta virale. Dalla notte di Bordeaux il centravanti di Policoro ha impiegato tre maglie e 294 giorni per tornare a segno: scarso ambientamento in Inghilterra al West Ham, segnali di ripresa da gennaio in Spagna fino alla riscossa in questa Liga dopo l’addio alla Juventus. Ventura lo apprezza come Balotelli, altro attaccante che all’estero cerca lo smalto perduto, chissà che non possa dargli fiducia ad un passo dai Mondiali. Stima che Zaza ha finalmente ritrovato, rinascita comune al Valencia abbandonata la tempesta. Più di tre anni fa l’allora ct Antonio Conte, esordiente alla guida della Nazionale, puntò tutto su lui e Immobile: "coppia ignorante" per loro stesso ammissione, indubbiamente i due attaccanti italiani più prolifici in questa stagione.