Bojan: "Al Barcellona soffrivo di attacchi d'ansia, ma nessuno voleva parlarne"

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L'attaccante spagnolo, oggi in prestito all'Alaves, ripercorre i momenti della sua carriera e i problemi che che gli hanno impedito di affemarsi ad alti livelli. Da «nuovo Messi» a flop, ecco cosa ha condizionato il talento della Cantera blaugrana

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"Amo il calcio e nessuno mi porterà via questa passione. Sono orgoglioso della mia carriera, orgoglioso di quello che ho vissuto e anche se ci sono stati momenti difficili, incluso quest'anno, devo essere forte. Sono ancora giovane, mi diverto a giocare e non ho intenzione di fermarmi". A parlare è Bojan Krkic, un giocatore che ha sempre dovuto convivere con l'etichetta di «nuovo Messi», un paragone che lo ha aiutato inizialmente ad esplodere ma che poi, nel corso degli anni, lo ha fortemente condizionato frenandogli la crescita. Gli inizi precoci al Barcellona, i primi trofei, la Champions League, il trasferimento alla Roma come primo grande colpo dell'era americana, e poi ancora il prestito al Milan e le esperienze con l'Ajax, lo Stoke, il Mainz e l'Alaves. "C'è una frase che dice: «Quanto era bello il football quando non c'erano i social, quando era semplicemente calcio» ed è la sensazione che ho provato in Inghilterra: l'essenza di questo sport, il suo odore - racconta Bojan al Guardian -. Se sei un calciatore ci sono forze potenti che non puoi controllare, opinioni che non puoi fermare perché la società è gelosa di te e tutti possono entrare nella tua vita. Non devi lasciarti influenzare, ma non sempre è facile. Quelli di noi che hanno sentimenti, che sono sensibili, che possono essere colpiti in queste situazioni, hanno bisogno di essere protetti. I calciatori sono molto giovani e vengono esposti facilmente al giudizio degli altri. Capita anche ai minori di 15 anni, giocatori che hanno Twitter e ricevono già insulti. È una cosa brutta che infanga il club e il calcio in generale".

Esperienze che un giorno spera possano portarlo a insegnare calcio ai giovani ragazzi, a superare le difficoltà che ha affrontato lui fin da ragazzino. "Ho segnato 900 gol nelle giovanili del Barça ed è qualcosa che ti perseguita per tutta la carriera - continua il classe 1990 che ricorda poi la sua rapida ascesa tra le fila blaugrana -. È successo tutto molto in fretta. A 17 anni la mia vita è cambiata completamente. Sono andato alla Coppa del Mondo Under 17 a luglio e nessuno mi conosceva; quando sono tornato, non potevo nemmeno camminare per la strada. Qualche giorno dopo ho fatto il mio debutto contro l'Osasuna, tre o quattro giorni dopo ho giocato in Champions League, poi ho segnato contro il Villarreal. In termini calcistici è andata bene, ma non personalmente. La tua testa si riempie finché non arriva un momento che è il tuo corpo a dire di fermarti. Ho battuto il record di debutto di Messi e ho dovuto convivere con questo, con la gente che dice che la mia carriera non è andata come previsto. Beh, se mi paragoni con Messi quale carriera ti aspettavi? Ci sono molte cose che la gente non sa. Non sono andato all'Europeo del 2008 a causa di problemi di ansia, ma abbiamo detto che stavo andando in vacanza. Sono stato convocato dalla Spagna per la partita contro la Francia, il mio debutto internazionale, ed è stato detto che ho avuto una gastroenterite, mentre in realtà ho avuto un attacco d'ansia. Ma nessuno vuole parlarne, il calcio non è interessato a queste storie".

"Mi volevano convocare all'Europeo, ma dissi no alla Federazione"

Lo spagnolo ripercorre le sensazioni vissute in quei minuti: "Contro i transalpini sono entrato nello spogliatoio tranquillo, ma poi ho iniziato a sentire dei capogiri, mi sono fatto prendere dal panico e mi hanno fatto sedere sulla panchina - afferma -. È la prima volta che ho avvertito una sensazione del genere, ma poi è capitato altre volte. Ho iniziato una cura psicologica per superare queste paure, sono stato sotto trattamento da febbraio fino all'estate. L'ansia colpisce tutti in modo diverso, c'era qualcuno che sentiva come se il cuore facesse 1000 battiti al minuto. Il mio stato era diverso, avvertivo capogiri continui, 24 ore al giorno. Tutti alla federazione lo sapevano, dal Ct Aragonés al direttore sportivo Hierro. Quest'ultimo mi manda messaggi ogni settimana per chiedere come sto e il giorno prima che vengano ufficializzate le convocazioni mi dice che sarei stato chiamato. Sono in macchina per dirigermi agli allenamenti e lo avviso: «Mi fa male dirlo, ma non posso andare all'Europeo». Quando sono arrivato al Camp Nou poi, Carles Puyol era lì e mi dice: «Bojan, sarò al tuo fianco fino in fondo, sarò lì per te». Gli rispondo: «Puyi, non posso. Sono in terapia, sono al limite».

Il giorno dopo ho visto un titolo sui giornali: «La Spagna chiama Bojan e Bojan dice di no». Quel titolo mi ha ucciso, è come se non mi importasse nulla della Nazionale. Ricordo di essere stato a Murcia e le persone mi insultavano, pensando che io non volessi giocare. È stato difficile, anche se a quel punto non mi importava molto di quello che la gente diceva. Ciò che faceva male era che il titolo provenisse presumibilmente dalla Federazione. Mi sentivo molto solo. Ci sono ancora persone che ancora oggi mi chiedono: «Perché non sei andato?». Non l'ho mai detto perché ero spaventato, ero malato. Non sapevo cosa stavo facendo. Ricordo che feci un'intervista a Barça TV in cui dichiarai che avevo bisogno di una vacanza. Sapevo che non era la cosa giusta, ma era solo un tentativo di spegnere il fuoco. Le persone fanno fatica ad ammettere che le cose non stanno andando bene, tutto si sorvola perché ciò che conta per il calcio è che tutto vada bene. Ho ancora la cicatrice di quella ferita".

"Barcellona condiziona la tua carriera, ma non dimenticherò ogni momento vissuto con i blaugrana"

"Per me sarebbe stato facile rimanere al Barcellona e non giocare, ma ho dovuto lasciare il club - conclude infine Bojan -. Forse a volte avrei dovuto essere più paziente, ma sono sempre stato onesto nel prendere le decisioni migliori. Ho sempre voluto giocare e ho affrontato il mio percorso tra Italia, Olanda, Germania e Inghilterra, ma Barcellona condiziona tutto. Le persone non apprezzano quello che fai. Una cosa che mi hanno sempre detto è che se fossi stato più un figlio di p..... la mia carriera sarebbe andata diversamente. Ma quando ho provato a rivestire un ruolo più cattivo in campo ho perso completamente me stesso. A 18 anni mi sentivo un privilegiato e ora la cosa più importante che mi restano non sono i trofei, ma le esperienze, ciò che ho vissuto, ciò che è qui nel mio cuore. Nessuno potrà mai rubarmelo. E quelle persone che hanno parlato male di me mi dimenticheranno. Se Víctor Valdés, il più grande portiere della storia del Barcellona, ​​è stato dimenticato, come potrebbero non dimenticarsi di me? Quello che resterà sarà solo il mio orgoglio e i momenti unici che tanti altri giocatori non hanno mai vissuto".