"Ci siamo, ecco come il Sudafrica si prepara al Mondiale"

Mondiali
Ecco come i tifosi sudafricani si preparano a vivere il Mondiale
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Mentre tutte le Nazionali stanno raggiungendo i propri ritiri nelle città sedi dei Mondiali, Fabio Tavelli è giunto a Johannesburg da dove seguirà la rassegna iridata. Questo è il racconto di come il Paese africano si sta preparando al grande evento

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di FABIO TAVELLI

da Johannesburg (Sudafrica)

Johannesburg mi accoglie con il sole. Gli occhi di Jonhatan e dei suoi tre colleghi che si prenderanno cura di noi sono un po’ assonnati ma lieti. Lieti di darci il benvenuto nella loro terra. Dal loro abbigliamento deduco che fuori non fa poi così freddo. Ci sono 9 gradi, ma al sole si sta proprio bene. Qui mi dicono sia quasi sempre così. Ovvero quando in cielo non ci sono le nubi, l’azzurro è intenso e deciso.

Al controllo passaporti il primo momento di sconforto quando una coda lunghissima ci pare un gran premio della montagna sul Tourmalet. Ma subito ci accorgiamo che per chi è sbarcato per lavorare per Sud Africa 2010 c’è una corsia preferenziale. Oltre al passaporto bisogna però esibire un documento che certifichi che si è qui proprio il mondiale. Ce l’abbiamo tutti a portata di mano. Anche Pierluigi Pardo. Che lo esibisce addirittura stampato su carta a colori. Peccato che Pier abbia stampato il fac-simile e che quindi quel pezzo di carta non certifichi proprio nulla…qualche momento di imbarazzo da parte sua e…ecco la carta di un buon inviato: il suo pc portatile. Alla velocità della luce Pardo estrae il suo notebook e si connette alla posta elettronica. Arriviamo io e lui davanti ai doganieri. Passiamo praticamente in contemporanea. Senza intoppi.

Mi colpisce all'interno dell'aeroporto un grande cartellone con l'immagine sorridente di Nelson Mandela che dà il benvenuto a chi è appena arrivato. Il volto del vecchio padre della patria è tranquillizzante. Il saluto di Mandela è in molte lingue del mondo e, forse per rispetto verso i campioni in carica, c'è anche quello nella nostra. Peccato che la scritta "Benvenuti a Sud Africa" evidenzi un po' di desuetudine all'uso della lingua di Dante.

Non tutti coloro che arrivano in una città sede di un evento di tale portata sono in grado di districarsi con facilità. Non tanto per problemi di lingua ma soprattutto perché spesso negli aeroporti il caos regna sovrano. La Fifa, ma anche il Cio per le Olimpiadi, mette quindi a disposizione un gruppo di persone vestite con i loghii dei mondiali bene in vista a disposizione di chi arriva e non sa dove andare a sbattere la testa. Sono per lo più studenti universitari che raccolgono qualche soldo divertendosi e sentendosi utili alla causa. Ognuno di loro ha al petto una spilla con l'indicazione della lingua che parla. In passato, quando ho avuto occasione di seguire Mondiali o Olimpiadi ho avuto bisogno di loro. Quello che in passato non avevo mai visto però è una ragazza con il burqa. La sua divisa è la medesima delle altre. Ce n'è anche una con un velo islamico ma con il volto completamente scoperto. E poi c’è lei. Misteriosa e inavvicinabile per un occidentale. Avrei voluto andare a leggere sulla targhetta il suo nome ma ammetto di non averlo voluto fare per non rischiare di metterla in qualche modo in imbarazzo.

Nel frastuono di tifosi messicani che arrivano alla carica del loro classico "Mexico, Mexico, ra ra ra" ecco che c'è un po' di movimento dalla parte opposta. C'è una ragazza che non sarebbe passata inosservata anche se non ci fossero state le telecamere a seguirla. Al mio "who's she?" il cameraman risponde con stupore: "Miss Cile!"…come se io non potessi non sapere… A quache metro di distanza arriva anche miss Uruguay. Lei però porta una fascia con la scritta che annuncia il titolo vinto ed allora non ho bisogno di chiedere.

Mi colpisce, usciti dall'autostrada, la bellezza della zona di Bassonia dove c’è il residence Bakara: lì mi aspetta il mio compagno di lavoro Angelo Mangiante. Anche il Bakara, come tutti i complessi qui intorno, ma direi anche come ogni singola casa in questa zona, è contornato da un muro di cinta alto un paio di metri. E se non bastasse c'è pure sopra il filo spinato elettrificato. Segnale evidente di un benessere che si sente comunque minacciato o che non vuol fare da bersaglio alla rabbia di chi ha avuto di meno.

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